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Quando una persona chiama la polizia per dire che sta andando in autostrada e sono tutti contromano si tende a pensare che il matto sia lui, e che abbia imboccato l’autostrada nel verso sbagliato. Quando le telefonate però diventano prima due, poi tre e quattro, magari di gente che da quel tratto di autostrada è uscita e può raccontarlo, si inizia a pensare che non sia automatico che i matti siano loro. O che quantomeno la verità possa stare nel mezzo.
Più categorico Valentino, che conferma diverse dichiarazioni espresse a mezza voce in precedenza – l’aver capito subito, dal primo test, la gravità della situazione tecnica della Desmosedici ma anche l’aver realizzato già durante il primo anno come un ritorno alla competitività per la V4 bolognese in tempi brevi non rappresentasse che una chimera. Parole molto dure, rafforzate da una dichiarazione di stima per Stoner quale mai si era sentita, stante l’antipatia che li aveva sempre divisi. «Casey ha fatto un lavoro incredibile con la Ducati e se riguardo la sua telemetria non capisco come abbia fatto. La gente pensa che Stoner fosse molto veloce, ma poco intelligente e per questo alla fine ha fatto il botto. Ma la realtà è che con la Ducati ha dovuto guidare sempre oltre il limite, andare più forte possibile. E se guidi così, alla fine ti schianti»
Una valutazione strettamente legata alla parabola della competitività della Desmosedici ma soprattutto all’atteggiamento della Casa madre almeno fino all’ultima svolta, avvenuta con l’ingaggio di Gigi Dall’Igna. «Alla fine non è questione di pilota – Ducati ne ha provato uno, poi un altro, poi un altro ancora. Ne ho sentite di tutte, "proviamo Biaggi!", e alla fine c’è stata un sacco di gente che ha provato la Desmosedici. Non è solo questione di pilota, anche se qualcuno non è d’accordo: i tecnici Ducati, per esempio, che l’hanno voluta far guidare a De Angelis, ma anche ad un altro italiano prima di Valencia. Non è questione di pilota, è la combinazione moto-pilota che deve funzionare, e sono felice di aver contribuito a dimostrarlo restando qui cinque anni a lottare»
Non è nemmeno difficile decifrare nelle dichiarazioni di Dovizioso, ancora sotto contratto ed in ogni caso troppo professionista per lasciarsi andare a commenti inopportuni, ma soprattutto in quelle di Crutchlow, un’ulteriore riprova di quanto sia grave la malata Desmosedici. E del fatto che la politica dei piccoli passi immaginata ed attuata da Durheimer e Gobmeier – sempre meno credibile se non nella mai troppo nascosta veste di unico sistema per traghettare in un qualche modo un’organizzazione verso una diversa organizzazione – abbia fallito miseramente. Se qualcuno credeva che nel 2012 si fosse toccato il fondo, l’impressione è che all’inizio dell’anno si sia preso il badile e iniziato a scavare.
Mettiamoci anche qualche segnalazione che sta spuntando fra i media specializzati indirizzata a lasciar pensare come nel calderone tecnico della Desmosedici, soprattutto in zona telaio, stia bollendo qualcosa più di quanto non si veda da fuori e il quadro assume di colpo tinte più rosee di quanto non sembri di primo acchito. Anche perché risorse e determinazione di Audi sono fuori discussione: prova ne sia il solo fatto di innestare una retromarcia rispetto a decisioni prese ad alti livelli a meno di nove mesi di distanza (il passare il timone da Gobmeier a Dall’Igna); retromarcia che, tra l’altro, offre anche la riprova della rapidità nei cambiamenti di direzione possibili all’interno del gruppo tedesco.
L’ora più buia, recita un vecchio adagio, è quella che precede l’alba. Che in Ducati il cielo all’orizzonte stia iniziando a schiarire?