SACHSEN – Inevitabilmente, si parla ancora di quello: del “miracoloso” recupero di Jorge Lorenzo, capace di correre e conquistare il quinto posto nel GP d’Olanda poco più di 24 ore dopo essere stato operato – in anestesia totale – alla clavicola sinistra, fratturata in prova. Eroe o pazzo? Né l’uno né l’altro, ma, semplicemente, un uomo adulto, un atleta che conosce perfettamente il proprio corpo. Come spiega perfettamente lo stesso Lorenzo.
“Sinceramente – spiega il campione del mondo – ero sorpreso di poter correre ad Assen, così come lo sono del mio recupero in questi giorni: ho lavorato tanto con un fisioterapista e sto già molto meglio. Naturalmente non sono al massimo della forma, però sto progredendo. Ma una cosa voglio sottolineare: quanto ho fatto io, non deve essere preso da esempio, un pilota che si rompe una clavicola, non deve correre solo perché l’ho fatto io. Ciascuno sa come reagisce il proprio fisico, qual è il suo stato mentale, non decidere di farlo solo perché un altro pilota c’è riuscito”.
COSCIENZA, NON PAZZIA
Il concetto espresso da Lorenzo è chiarissimo e perfettamente condivisibile: dire che quello che ha fatto è da pazzi è profondamente sbagliato, perché Lorenzo è un pilota e una persona responsabile e se ha deciso di correre è solo perché si sentiva in grado di farlo, senza creare pericoli per gli altri, perlomeno non di più di quelli che si possono creare facendo questo mestiere. E Jorge ha ragione quando dice che un altro pilota non deve fare una cosa simile, solo perché “l’ha fatto anche Lorenzo”: questo sì che sarebbe sbagliatissimo, perché
i tempi di recupero sono differenti caso per caso.
ROSSI: “NESSUN FAVORITISMO”
Sull’argomento è intervenuto anche Valentino Rossi, sottolineando però un aspetto differente. “Ho letto e sentito alcune polemiche del tutto infondate, tipo: a Rossi (Valentino si riferisce al suo ritorno in sella, proprio in Germania, nel 2010, dopo l’infortunio alla gamba destra fratturata in prova al Mugello, NDA) e a Lorenzo è stato dato il permesso di correre solo perché si chiamano Rossi e Lorenzo. Non è così e ci tengo che questo concetto sia chiaro.
In ogni pista del mondiale c’è un dottore diverso, che però applica un protocollo: a me, nel 2010, fu chiesto di saltellare sulla sola gamba operata, di spingere con forza sulle due gambe, di fare altre prove. Solo dopo averle superate ho avuto il benestare per correre, non perché mi chiamo Valentino Rossi. Lo stesso è accaduto
per Lorenzo: gli hanno fatto fare delle flessioni. Dato che è riuscito a farle, lo hanno ritenuto idoneo per guidare. Il caso di Edwards era diverso (anche lui era stato operato alla spalla destra, ma gli fu negato il permesso di correre in Catalunya, NDA), perché l’intervento era avvenuto meno di 24 ore prima: era passato troppo poco tempo dall’anestesia totale. Insomma,
i dottori non fanno delle preferenze, ma decidono in base a delle prove”.