Ride in the USA. Cycle Gear e Revzilla reinventano il mercato americano

Ride in the USA. Cycle Gear e Revzilla reinventano il mercato americano
Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
Questa settimana vi parlo di mercato. So che non è esattamente l’argomento più emozionante nel panorama americano, ma qualcosa di unico ed esplosivo è avvenuto di recente, qualcosa che potrebbe cambiare per sempre il modo in cui “si vende” nel nostro settore
  • Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
17 febbraio 2016
Questa settimana vi parlo di mercato. So che non è esattamente l’argomento più emozionante nel panorama americano, ma qualcosa di unico ed esplosivo è avvenuto di recente, qualcosa che potrebbe cambiare per sempre il modo in cui “si vende” nel nostro settore. O forse, semplicemente, è il segnale di un ritorno alle origini, cosa che non mi dispiacerebbe affatto.
 
Verso la fine di Gennaio sono iniziate a girare delle notizie di una possibile vendita del colosso online Revzilla.com allo stesso gruppo (J.W. Childs) che detiene il pacchetto di maggiornaza di Cycle Gear, la più nota ed estesa catena di negozi nel settore moto qui negli USA. Un articolo apparso su un quotidiano di Philadelphia, dove Revzilla ha i propri uffici, ha poi dato definitivamente fuoco alle polveri e qui, letteralmente, sono impazziti tutti.

Vi spiego perchè. Revzilla, come molti di voi già sapranno, in pochi anni ha rivoluzionato il settore delle vendite online in America, tagliando definitivamente fuori tutti i vari “cantinari” e molti negozi tradizionali che fino a quel momento complementavano il loro business vendendo per qualche decina di migliaia di dollari su internet.

Il mercato, a dire il vero, era già stato da tempo scosso dal fenomeno Motorcyclestore.com ma prima dell’arrivo di Revzilla sembrava che online ci fosse comunque ancora posto un po’ per tutti. Ho incontrato Anthony Bucci, il CEO di Revzilla, per la prima volta nel 2011 alla fiera IMS di New York, e dopo poco sono andato a trovarlo nella vecchia sede all’interno del quartiere del porto di Philadelphia. Quello che mi colpì da subito fu la passione e l’entusiasmo suo e dei suoi due soci: tipico di chi ancora non si è scontrato con le dinamiche e le arretratezze di un settore molto legato agli “attori” tradizionali.
 
Mai e poi mai mi sarei aspettato che tre “nerd”, geni della programmazione e del marketing, ribaltassero il settore così rapidamente. I loro video informativi sui prodotti diventarono ben presto lo standard a cui tutti facevano riferimento, il loro incredibile customer service allargò a macchia d’olio la base di clientela mentre la volontà di non scontare i prezzi e una accurata programmazione negli ordini conquistò i favori dei fornitori. E appena i numeri iniziarono a passare dalle decine di migliaia alle centinaia di migliaia ed ai milioni di dollari… nessuno più si sognò di mettere in dubbio la loro strategia, tantomeno si potè permettere di saltare giù dal carro del vincitore.
 
Cycle Gear, al contrario, ha avuto una parabola inversa, senza dubbio influenzata dall’enorme spostamento del mercato verso le vendite online. Va detto che i negozi Cycle Gear da sempre hanno trattato solo abbigliamento ed accessori (e non veicoli), per cui sono stati i primi ad essere colpiti duramente dalla concorrenza online. L’introduzione dei propri marchi di abbigliamento, caschi, accessori e ricambi fu senza dubbio una scelta vincente (se non obbligata) per arginare le perdite nella guerra di prezzi, ma inevitabilmente portò alla perdita di prestigio della catena, ora associata ad una serie di prodotti economici ma non esattamente di qualità.

Personalmente ho acquistato molto da Cycle Gear nel corso degli anni: hanno un buon assortimento e soprattutto la roba è li pronta per te, puoi provarla subito e non devi aspettare due o tre giorni che te la consegnino. E se hai il motore aperto e ti accorgi che ti manca un estrattore, o hai bisogno di una tuta antiacqua perchè ha iniziato a diluviare “adesso”, beh… non c’è negozio online che tenga.
In più, sui loro marchi c’è la garanzia a vita e dunque se succede qualcosa puoi sempre riportare tutto indietro a qualsiasi negozio negli USA e ti restituiscono i soldi o ti cambiano il prodotto con uno uguale o equivalente. Su una cosa hanno però fallito miseramente: crearsi una presenza online, anche con i prodotti a marchio proprietario.

Quando dunque la notizia dell’acquisto è stata confermata, il mercato ha dato fuori di matto. In pratica sarebbe come se in Italia si fondessero Amazon ed Esselunga! La paura iniziale era che i tre “nerd” di Revzilla avessero venduto per incassare i loro bravi $500 milioni (!) in puro stile speculativo dell’era “Dotcom”, e andarsene a ribaltare qualche altro mercato. I clienti sono andati nel panico pensando che il leggendario customer service di Revzilla si sarebbe presto disintegrato sotto i colpi della ragion di stato di un gruppo di investimento come J.W. Childs, mentre i fornitori si sono preparati ad essere spremuti a suon di sconti e concessioni da parte di uno stuolo di nuovi “buyer” interessati solo a far vedere numeri e percentuali di guadagno ai loro superiori.
 
Un vero tornado che Anthony Bucci in persona ha dovuto placare attraverso una lettera aperta, pubblicata sul sito di Revzilla.
Il succo del suo discorso è questo: adesso Anthony, Matt e Nick sono soci alla pari di J.W. Childs all’interno di una holding che controllerà sia Revzilla che Cycle Gear. Niente cavalacata verso il tramonto con le bisacce piene d’oro, dunque. Secondariamente, Revzilla e Cycle Gear continueranno ad operare separatamente, anche se lo scopo finale, ovviamente, è quallo di una interazione. Revzilla potrà usufruire della estesa rete di negozi Cycle Gear per conquistare l’ultimo miglio, l’anello mancante rappresentato dall’immediatezza di cui parlavo sopra, e che solo un negozio con muri e saracinesca può dare.

Un negozio “vero” permette inoltre di aggirare le politiche MAP (Minimum Advertised Price) imposte da molti fornitori: Revzilla da sempre infatti vende a prezzo pieno, ma per un business con un simile giro d’affari è sempre importante avere una valvola di sfogo dove scaricare il materiale a bassa rotazione senza preoccuparsi di compromettere la situazione online. E si sa che in molti casi, visto che comunque questo è un mercato di appassionati, gli acquisti sono del tutto impulsivi. Non hai bisogno dell’ennesimo paio di guanti con i rinforzi in kevlar, ma accidenti, solo 29 dollari per quel paio lì nella cesta di fianco alla cassa? Ecco, appunto…

I vantaggi per Cycle Gear potrebbero essere altrettanto importanti: non ci sarebbe più bisogno di spendere inutilmente tempo e denaro per costruirsi una identità online e tutte le risorse potrebbero confluire sul miglioramento della gamma e della penetrazione sul mercato. Inoltre potrebbero accedere a decine di altri marchi di prestigio che, per un motivo o per l’altro, sono scomparsi dai loro negozi nel corso degli ultimi anni.

In queste operazioni c’è sempre la possibilità che la smentita sia solo un’operazione per contenere il panico sul mercato, ma non credo che Anthony e soci si sarebbero così sbilanciati nelle loro affermazioni se avessereo voluto semplicemente gettare un po’ di fumo negli occhi a tutti in attesa che la situazione si calmasse. Lo scopriremo nei prossimi mesi!