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Ciao a tutti!
Una vita fa facevo l’acrobata-motociclista. L’acrobazia mi affascinava tanto, credo proprio che senza la moto sarei diventato un trapezista del circo, o magari un aviatore di quelli che si avvitano in verticale con il loro monomotore a doppia ala, e poi scivolano di coda a motore spento.
Le mie specialità sulla moto erano le mani incrociate sul manubrio (difficoltà modesta), la guida al contrario (seduto faccia alla targa e schiena al faro: difficoltà alta) e la guida dritto in piedi sulla sella (difficoltà molto alta). Una carriera, ve lo dico subito, finita all’ospedale con doppia frattura alla caviglia sinistra.
La stupidata più grande della mia vita a due ruote. Ero a Monza, a girare sulla pista stradale una domenica di primavera. Non avevo in mano una moto così adatta alle circostanze: la Guzzi 850 T5 era buona per i carabinieri in pattuglia, vero, però un amico aveva chiesto di fargli vedere le traiettorie e si girava quasi soli, con un ritmo da motoraduno. Dopo una mezz’ora mi stufo e decido di rientrare, e appena imboccato il corridoio dei box, per stupire una tipa che mi seguiva dalla terrazza, metto i piedi sulla sella, mollo il manubrio e mi alzo in piedi a braccia aperte.
Era un numero che facevo spesso con la mia Yamaha XS 650 bicilindrica, una moto che andava via perfettamente dritta anche a gas chiuso. Ma la Guzzi non è così: se lasci il manubrio in decelerazione lei devia a destra, e fu così che mi ritrovai in piedi nel vuoto sui sessanta all’ora. Provai a correre fortissimo appena toccato terra, inciampai sulla caviglia che si frantumava e rotolai sull’asfalto. La T5, questo è il lato peggiore della storia, sembrava puntare verso un gruppetto di piloti che lavoravano più avanti: per fortuna si schiantò sul muro cinquanta metri prima; tutti si girarono al fracasso, mi guardarono stupiti, la dinamica era poco chiara, ‘zzo è successo a quel barbuto. Io zoppicando presi la Guzzi, cercai di non guardare l’espressione della tipa sulla terrazza, e andai diretto all’istituto ortopedico Gaetano Pini urlando dal dolore. Molto più tardi rientrai a casa con il taxi e le stampelle.
Non sono pagine delle quali andar fiero, anzi: le ho confidate a poche persone nella vita e oggi mi costa un po’ raccontarvele nei dettagli, credetemi. Se mi svelo, come si dice, è a fin di bene. Perché ciascuno di noi deve farsi le sue brave esperienze, ma se qualcun altro apre l’album delle cazzate e ci fa guardare bene le figure, magari evitiamo qualche mese di ospedale e decine di migliaia di euro. E voi? Ci lasciate dare una sbirciatina al vostro album?