Omologazioni e caschi: facciamo chiarezza su ECE22-05, SNELL, SHARP

Omologazioni e caschi: facciamo chiarezza su ECE22-05, SNELL, SHARP
Abbiamo affrontato la giungla delle normative ECE e dei test SNELL e SHARP per capire meglio come funzionano e quali sono le più probanti. Sfatando nel contempo qualche luogo comune
4 aprile 2013

Uno degli argomenti più spinosi quando si parla di caschi è quello relativo alle omologazioni. Un po’ perché si tratta di un argomento giustamente importantissimo: dopotutto è la nostra zucca quella che mettiamo in gioco affidandola ad un test. Ma un po’ anche perché spesso, vittime di luoghi comuni, informazioni ormai obsolete o magari semplicemente di qualche preconcetto spesso utilizzato ad arte per influenzare l’acquisto, se ne parla a sproposito.

 

Le filosofie di partenza

Prima di entrare nei dettagli è importante stendere qualche postulato di partenza. Pare ormai assodato come la “scuola americana” (in cui rientrano anche i produttori giapponesi) privilegi calotte rigide con strati di polistirene morbidi, mentre la filosofia europea al contrario preveda caschi con calotte più morbide e strati interni di polistirene più rigidi o comunque a densità differenziate. Allo stesso tempo, oltreoceano si pone l’accento sull’importanza del doppio impatto – ovvero verificare che un casco mantenga le sue qualità protettive anche a fronte di un secondo impatto sullo stesso punto – e sul test di penetrazione, che qui in Europa vengono ritenuti di importanza trascurabile.

 

Entrambe le filosofie trovano ampia giustificazione alle proprie fondamenta per bocca di chi le adotta, e di fatto possiamo ammettere che è impossibile dare ragione ad una piuttosto che all’altra a meno di non riuscire ad avere accesso a dati statistici con dettagli difficilmente disponibili – per non dire del tutto indisponibili – anche a strutture privilegiate come quelle giornalistiche. In generale l’argomento più usato (o forse abusato) da chi sostiene che il doppio impatto non sia un test significativo consiste nel fatto che la statistica citi pochissimi casi in cui il casco di un motociclista colpisca due volte nello stesso punto, situazione invece molto più comune nel mondo delle auto dove le cinture tengono il pilota in una posizione fissa e possono causare urti ripetuti contro il rollbar.

 

In effetti la velocità di 7,5m/s prevista dall’omologazione ECE (e le altre non si distaccano di molto) corrisponde ad un impatto al suolo a circa 28km/h

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A parte la forte tentazione di chiedere a Shinya Nakano cosa ne pensa a riguardo dopo la terribile caduta del Mugello, anche prendendo per buona la statistica non basterebbe parlare di scarsa probabilità per inibire la validità di un test – chiunque sia caduto, anche per strada, ruzzolando per terra invece di scivolare sa di cosa stiamo parlando.

Al contrario, i caschi a calotta rigida parrebbero restituire prestazioni leggermente peggiori rispetto ad altri negli impatti a velocità di test, ma i sostenitori della filosofia replicano parlando di prestazioni migliori nelle prove effettuate a velocità superiori. Vale la pena di precisare – senza con questo voler dare ragione o torto a nessuno – come in effetti la velocità di 7,5m/s prevista dall’omologazione ECE (e le altre non si distaccano di molto) corrisponda ad un impatto al suolo a circa 28km/h. E’ sotto gli occhi di tutti come esistano caschi in grado di proteggere da incidenti che avvengono a velocità ben superiori rispetto a questa velocità, ciononostante la “porta d’ingresso” all’omologazione europea non prevede test più probanti.

 

I test e lo Head Injury Criterion

Proviamo a fare un po’ di chiarezza analizzando nel dettaglio cosa prevedono i tre test che vengono applicati ai caschi che tutti noi possiamo comprare, ovvero l’omologazione ECE 22-05 e i due test SHARP e SNELL M2010. Non prendiamo in considerazione in questa sede l’omologazione DOT (Department Of Transportation, ovvero il ministero statunitense, spesso confusa con la SNELL) perché non rilevante per il nostro mercato. I caschi che vengono venduti negli Stati Uniti hanno infatti spesso e volentieri caratteristiche diverse da quelli in vendita in Europa: è il motivo per cui un solo costruttore, al momento in cui scriviamo, è in grado di vantare una doppia omologazione vendendo lo stesso identico casco su entrambi i mercati.

Vi basta confrontare i pesi dichiarati dai costruttori stessi per lo stesso modello di casco venduto in Europa (e quindi omologato ECE 22-05) e negli USA (dunque approvato DOT e – a volte – SNELL) per notare differenze fra i due dell’ordine delle centinaia di grammi a parità di taglia della calotta. Il peso, o meglio la leggerezza, è spesso un elemento qualitativo tenuto esageratamente in considerazione dal pubblico (mentre sarebbe più corretto, in termini di comfort ed affaticamento, concentrarsi su un bilanciamento della massa che non sforzi i muscoli del collo) ed utilizzato da più di un rivenditore per indirizzare il cliente verso un casco piuttosto che un altro.

 

Lo schema tecnico di una falsa testa contenente l'accelerometro per calcolare il valore di HIC
Lo schema tecnico di una falsa testa contenente l'accelerometro per calcolare il valore di HIC

Vediamo in dettaglio le differenze fra i vari standard con una premessa: in tutti e tre i test si inserisce nel casco una falsa testa (di dimensioni differenti a seconda della taglia del casco da provare) dotata di accelerometri che rilevano l’accelerazione massima subita e consentono quindi di determinare il valore di HIC. L’acronimo usato sta per Head Injury Criterion: si tratta di un modello matematico sviluppato partendo da test effettuati dall’industria automobilistica statunitense e definito in una prima versione nel 1971 divenuta, con il contributo di diversi accademici di tutto il mondo, la formula formalizzata nel 2000 ed attualmente usata in campi che spaziano dall’industria automotive fino alla traumatologia sportiva.

Il valore HIC calcolato a sua volta si traduce nei potenziali danni che verrebbero subiti dalla testa umana in caso di impatto. Ad ogni valore limite dell’HIC, infatti, corrisponde una probabilità statistica di danni subiti dal cranio: tanto per fare un esempio, ad un valore di HIC pari a 1000, un soggetto su sei soffrirà un trauma cerebrale potenzialmente letale. Più precisamente, il soggetto – un adulto medio – potrebbe subire danni gravissimi nel 18% dei casi, gravi in un 55% e moderati nel 90%. Se siete confusi c’è un motivo: l’HIC, essendo una modellizzazione matematica, costituisce un criterio puramente teorico basato su osservazioni statistiche. Come tutti i valori di test non è in grado di offrire una reale garanzia delle prestazioni dell’oggetto sottoposto alla prova del mondo reale.

 

Il test ECE22-05

Iniziamo da una premessa: il test europeo prevede l’omologazione di un modello di casco attraverso la sottoposizione ai test di esemplari di caschi forniti dal costruttore. Una volta ottenuta tale omologazione sono comunque previsti test a campione sulla preserie e sulla produzione successiva con una precisa regolamentazione che tiene conto, ad esempio, della certificazione ISO del costruttore. La frequenza di tali ispezioni è funzione dei risultati dei test: a seguito di non conformità l’intervallo si riduce, mentre al contrario si dilata in caso di prove superate con il 100% dei campioni presi in esame.

Il test europeo prevede prove di impatto, rigidità, penetrazione (sulla sola visiera) e una verifica del sistema di ritenzione – per capirci, il cinturino. Prima di alcuni di questi test il casco viene “condizionato”, ovvero esposto a temperature estreme (caldo per l’impatto su incudine piatta, freddo per quello su incudine “a forma di marciapiede”, ovvero con protuberanza ondulata), umidità, pioggia (entrambi i test) solventi, radiazioni UV (entrambi i test).

 

Macchina per test d'impatto ECE a "caduta libera" con falsatesta
Macchina per test d'impatto ECE a "caduta libera" con falsatesta

Il casco viene poi sottoposto alla prova di impatto, lasciandolo cadere da un’altezza di 2,85m per una velocità d’impatto di 7,5 metri al secondo sulle due forme di incudine. In entrambi i casi l’accelerazione massima della falsa testa non deve superare i 275G, e il valore di HIC di 2400. Ogni punto d’impatto – ve ne sono 5 ben definiti sulla calotta (nel caso di un casco integrale) – viene provato una sola volta. Il test del sistema di ritenzione prevede l’applicazione di un cavo d’acciaio alla zona della nuca che, tirato da una massa di 10kg posizionata su due guide verticali e lasciata cadere per una distanza di 0,75 metri, non deve causare un allungamento massimo del cinturino superiore a 35 millimetri, né uno residuo superiore ai 25 una volta allentato il carico.

Il casco viene assoggettato a test di rigidità, applicando nei due versi (longitudinale e latitudinale) un carico di 30 Newton che viene poi aumentato ogni due minuti di 100 fino ad arrivare ad un valore limite di 630 Newton. Tale carico viene mantenuto per ulteriori due minuti, al termine dei quali si misura la distanza fra le due piastre che stringono il casco, che non dev’essere inferiore di più di 4cm rispetto alla lunghezza o larghezza del casco. Si ripristina il carico iniziale di 30 N e si ripete la misurazione, che stavolta non deve variare di più di 15mm rispetto alla sagoma iniziale.

Successivamente si procede a testare la visiera per abrasione, trasmissione della luce e penetrazione. Un peso di 3kg viene lasciato cadere dall’altezza di 1 metro su un cilindro appuntito da 0,3kg. Il cilindro deve arrestarsi non oltre i 2mm dalla falsa testa interna. Infine si verifica la resistenza della calotta a solventi e materiali aggressivi di diversa natura sulla struttura della calotta.

 

I punti d'impatto previsti dalla normativa ECE22-05
I punti d'impatto previsti dalla normativa ECE22-05

Vale la pena di evidenziare in questa sede due mancanze della normativa ECE 22-05. La definizione di punti molto precisi per gli impatti lascia spazio a rinforzi localizzati (basta un fazzoletto di kevlar strategicamente posizionato) per fare si che un casco passi il test di omologazione nonostante prestazioni protettive insufficienti a pochi millimetri dai punti d'impatto. Inoltre la misurazione dell’impatto laterale su un solo lato – scelto dal costruttore in sede di test d’omologazione – lascia aperta la porta a realizzazioni che sacrificano le prestazioni protettive sull’altare dell’aerodinamicità quando si tratta di integrare sistemi di comunicazione o comandi di qualsivoglia genere e specie.

Il test ECE, da qualche anno, ha introdotto anche la prova di scivolamento. Il casco viene fatto scivolare su una superficie piana interrotta da uno scalino, che non deve bloccarne lo scorrimento. Questo per verificare che l’eventuale sporgenza di alettoni o prese d’aria non costituisca appiglio in caso di scivolata.

Vale anche la pena di specificare come i caschi che le aziende forniscono ai piloti impegnati nei vari Mondiali siano le versioni omologate ECE22-05 – sempre che, come già detto, l’azienda non possa vantare la doppia omologazione sull’identico casco.

 

La SNELL M2010

Il test viene operato dalla Fondazione SNELL, nata nel 1957 ad opera di amici e familiari ma soprattutto del Dr. Snively dopo la tragica scomparsa del pilota Pete Snell in un incidente automobilistico. La Fondazione – ancora oggi orgogliosamente svincolata da qualunque interesse, partecipazione o consulenza da parte di case produttrici di caschi, si è conquistata una credibilità senza rivali nel mondo dello sport motoristico statunitense e mondiale (le specifiche sviluppate vengono riconosciute da FIM, FIA, AMA, NASCAR, NHRA, Indianapolis 500, SCCA ed APBA), evolvendo costantemente a cadenza quinquennale i propri standard per spingere i costruttori – secondo lo spirito iniziale del fondatore – a produrre caschi dalle prestazioni sempre migliori.

Innanzitutto precisiamo una fondamentale differenza fra il test SNELL e l’omologazione ECE già prevista: anche dopo l’omologazione la fondazione provvede a procurarsi attraverso i normali canali di vendita esemplari di caschi già testati per verificare la coerenza dei risultati su tutto l’arco di vita della produzione, impedendo così ai furbacchioni di certificare un casco “speciale” e mandare poi in produzione di serie tutt’altro modello.

La test line tracciata su un casco utilizzato per test interni
La test line tracciata su un casco utilizzato per test interni

I test previsti dallo standard SNELL 2010 (evidentemente in vigore da quell’anno, e passibile di revisione nel 2015) non prevedono impatti su punti precisi, ma più in generale su aree delimitate da piani, riferiti al cranio umano, definiti in anatomia oppure ricavati interpolando alcuni di questi per trovare riferimenti indicativi nel contesto della struttura di un casco.

Tale interpolazione definisce una test line al di sopra della quale si trova la test area, ovvero l’intera zona in cui vengono potenzialmente verificati gli impatti che potete vedere segnata su un casco di prova in foto. Anche in questo caso, naturalmente, vengono verificate tutte le taglie di calotta prodotte per un determinato modello con requisiti specifici in materia di dimensioni minime e massime. Se vi steste chiedendo perché non vengano effettuati test al di sotto della linea inferiore, la risposta è molto semplice. La zona inferiore del casco è naturalmente protetta, in ogni caduta, dalla maggior larghezza della spalla di chi lo indossa.

Anche per quanto riguarda SNELL i test vengono effettuati tanto a temperatura ed umidità ambiente quanto a seguito di “condizionamento”: la Fondazione può arrivare a richiedere fino a quattro esemplari di una calotta per testarne una in condizioni ambiente, e le altre tre a seguito di esposizione dalle 4 alle 24 ore a temperature estreme (una a -20°C, una a +50°C) ed umidità (spruzzo d’acqua a 25°C). Inoltre una calotta può venire verificata per resistenza ad agenti aggressivi tipicamente impiegati nel mondo delle competizioni motoristiche – allo scopo del test viene impiegata una miscela 50/50 di toluene ed iso-ottano, applicata fra i 5 e i 10 secondi in diverse zone della calotta con particolare attenzione a quella vicina al sistema di ritenzione – il cinturino, per capirci.

Il test di scalzamento si effettua infilando il casco su una falsa testa orientata a faccia in giù. Alla zona posteriore del casco viene fissato un cavo in acciaio all’altra estremità del quale una massa di 4kg viene fatta cadere lungo una guida per 60cm prima di applicare trazione sul casco, simulando così uno shock che potrebbe causare scalzamento del casco. Lo stesso test viene ripetuto invertendo il verso della falsa testa (ovvero con la faccia rivolta verso l’alto) ed effettuando la trazione sulla fronte invece che sulla nuca. In entrambi i casi il casco può muoversi di qualche millimetro ma non deve assolutamente venire scalzato dalla falsa testa.

La verifica del cinturino viene effettuata montando il casco su un supporto che lo sospende e consente l’inserimento al suo interno di una “falsa mascella” composta da due barre metalliche del peso massimo di 6kg. Alla falsa mascella viene applicato per un minimo di 60 secondi un precarico di 23kg, dopodiché si lascia cadere una massa di 38kg in caduta libera verticale lungo una guida per 120mm prima di esercitare carico, anche in questo caso per simulare un violento shock al sistema. Al termine del test il cinturino non deve aver mostrato un allungamento massimo superiore a 30mm.

 

Il test di penetrazione SNELL effettuato su una calotta
Il test di penetrazione SNELL effettuato su una calotta

Il test d’impatto, infine, è costituito da una serie di impatti nell’area di test precedentemente identificata e marcata sul casco oggetto di prova, che viene calzato su una falsa testa di dimensioni opportune. Il gruppo falsa testa/casco viene poi lasciato cadere lungo una guida verticale sulle incudini (una piatta, una appuntita e una semisferica) usate per i test, registrando attraverso un accelerometro le sollecitazioni subite dalla falsa testa.

Gli impatti ripetuti si svolgono sullo stesso punto, avendo cura di distanziare di almeno 120mm gli impatti afferenti ad un gruppo successivo di test. Il che significa, in parole povere, che il doppio impatto deve avvenire nello stesso identico punto (il casco non viene mosso nella falsa testa, che può venire fissata ad angolazioni variabili alla “ghigliottina”) mentre per i test effettuati con un’altra incudine è necessario variare l’orientamento della falsa testa affinché il punto d’impatto sia distante almeno 12cm dal precedente. Avete capito bene, non si cambia casco per il test successivo

Gli impatti avvengono lasciando cadere la falsa testa ad una velocità di 7,75m/s (leggermente superiore a quella prevista dalla ECE22-05) sulle tre incudini, testando anche un impatto successivo su quelle piatta e semisferica a velocità ridotta – il secondo impatto, disperdendosi parte dell’energia cinetica nel primo, avviene sempre con minore intensità – compresa, a seconda della calotta, fra i 7,09 e i 5,02m/s. L’altezza da cui si lascia cadere il casco non è fissa, ma deve variare sulla base degli attriti dei vari sistemi di misurazione per assicurare sempre e comunque la giusta velocità in fase di impatto. In tutti i casi, l’accelerazione non deve essere superiore ad un valore che passa dai 275G per le calotte più ampie ai 243 per le più piccole, tenendo conto della minor massa del corpo di chi indossa il casco. Inoltre, il casco non deve perdere integrità strutturale nell’impatto, o il test non sarà considerato superato. Da notare come la stessa fondazione incoraggi i tecnici a cercare le debolezze di ciascun casco, ripetendo i test se necessario e stressando le aree che appaiono più critiche in caso le prime prove diano adito a dubbi.

 

La stessa fondazione SNELL incoraggia i tecnici a cercare le debolezze di ciascun casco, ripetendo i test se necessario e stressando le aree che appaiono più critiche in caso le prime prove diano adito a dubbi

La mentoniera viene testata fissando il casco in posizione verticale rivolto verso l’alto, e facendo cadere su di essa una massa di 5kg ad una velocità di 3,5m/s. La deformazione risultante – è evidente che la mentoniera stessa non deve rompersi – non dovrà superare i 60mm.

Il test di penetrazione sulla calotta viene effettuato con un puntone di 3kg a profilo conico (60°) con punta del diametro di 0,5mm lasciato cadere da un’altezza di 3 metri. Il puntone non deve naturalmente arrivare mai a contatto con la falsa testa. La visiera, infine, viene verificata sparando un pallino di ghisa del peso di 1 grammo del diametro di 5,5mm alla velocità di 500km/h in tre diversi punti, al centro e lateralmente. Il pallino, manco a dirlo, non deve penetrare all’interno della visiera.

 

Il test SHARP

Veniamo alla più giovane fra le procedure di testing fra quelle prese in esame. Nata nel 2007 dalle ceneri delle strutture precedentemente utilizzate per la certificazione nazionale BSI, l’agenzia SHARP è un’emanazione governativa britannica nata da un’iniziativa del Ministero dei Trasporti nel momento in cui ha verificato una forte discrasia prestazionale fra i vari caschi – regolarmente omologati – disponibili sul mercato britannico.

Da qui l’istituzione di test teoricamente più severi di quelli previsti dalla procedura ECE, ma soprattutto di un sistema di valutazione non binario (ovvero promosso/bocciato) ma il cui risultato è una classificazione da una a cinque stelle – un po’ come avviene nel caso dei test NCAP – per ogni casco, dove una stella rappresenta il minimo sindacale e cinque lo stato dell’arte. Tutti i caschi, è importante sottolinearlo, non vengono forniti dai costruttori ma prelevati direttamente dalla rete vendita.

I test si svolgono secondo una metodologia molto simile a quella utilizzata per le prove previste dall’omologazione ECE22-05, con l’identificazione sul casco di cinque punti d’impatto predefiniti, l’inserimento del casco in una falsa testa e prove d’impatto (non ripetute) a tre differenti velocità: 6, 7,5 e 8,5 metri al secondo su incudini piatte o con profilo semisferico definite “a marciapiede”. Il test prevede dunque una prova a velocità più elevata rispetto tanto alla procedura ECE quanto a quella SNELL, valutando i caschi sulla singola prova con un colore dal verde (inferiore ai 275g) al nero (oltre i 400g) a seconda dell’accelerazione registrata sulla prova a 7,5 m/s. 

Il test Sharp prevede un impatto obliquo
Il test Sharp prevede un impatto obliquo

Sharp contempla inoltre una verifica su impatto obliquo, ovvero facendo cadere il casco su una superficie inclinata rispetto alla direzione di caduta – test molto interessante, che valuta l’innesco di eventuali rotazioni per attriti da parte del casco sulla superficie inclinata. Purtroppo il sito ufficiale SHARP non fornisce informazioni più precise in grado di paragonare la metodologia di test ai due sistemi sopra citati, dunque abbiamo contattato direttamente le autorità di SHARP per ulteriori delucidazioni.

Dobbiamo purtroppo registrare che nonostante ripetuti tentativi di contatto non ci è stata data risposta a domande precise e puntuali al momento in cui abbiamo scritto questo articolo, dunque non abbiamo potuto fare altro – oltre a constatare un livello di trasparenza abbastanza scarso – se non dare per assunto che i test che vengono svolti siano solo quelli presentati sul sito internet, e dunque quantomeno incompleti.

 

Con ritardo di qualche mese abbiamo però ricevuto risposta perlomeno alle domande precise, pur in assenza di documentazione ufficiale a disposizione del pubblico, lacuna a dire poco grave. Confermiamo quanto avevamo scritto: il protocollo SHARP non prevede che vengano effettuati test sulla tenuta del sistema di ritenzione (cinturino), verifiche di scalzamento, test di penetrazione - tutti ritenuti non rilevanti, e che i caschi non vengano sottoposti ad alcuna forma di condizionamento. La risposta che abbiamo ricevuto da un funzionario - citiamo testualmente - recita "All SHARP tests are conducted at ambient temperature (as defined in UN ECE Regulation 22.05 (25 degrees +/- 5 degrees C))". Ci dispiace notare come i tecnici SHARP non sappiano che la ECE prevede invece il condizionamento dei caschi per simulare le temperature che raggiungono per l'esposizione alla luce solare o al vento della corsa nei mesi più freddi. 

Abbiamo ricevuto risposta alla definizione precisa dei punti di impatto in cui vengono svolti i test, gli stessi della ECE, ma a parte i valori dichiarati per gli impatti a 7,5m/s – ovvero quelli già effettuati in sede di omologazione ECE – non vengono forniti valori di riferimento per le accelerazioni o HIC a seguito dei quali il casco viene valutato secondo la scala di colori già citata sui vari punti d’impatto: ci si limita, testualmente, a misurare "the peak acceleration (peak 'g') that the brain would experience during an impact combined with the probability of risk of injury on UK roads at that impact site".

Non viene infine menzionato in alcun punto della documentazione disponibile che i test vengano svolti su diverse taglie di calotta. Peraltro, come fece notare l’Università di Birmingham che a suo tempo condusse uno studio sulla metodologia dei test SHARP, lo stesso protocollo di attribuzione delle stellette non è mai stato reso noto a differenza di analoghe procedure di verifica quali il crash test NCAP.

 

Lo scenario attuale

Il nostro obiettivo era quello di fare chiarezza, dunque dopo avervi “stordito” con le descrizioni di cui sopra proviamo a trarre qualche conclusione che, speriamo, vi possa dare tutti gli elementi per valutare con la vostra testa (intesa come facoltà intellettive, non crash-test!) come orientarvi nella complessa materia delle prove a cui viene sottoposto un casco.

Dalla nostra analisi emerge una sostanziale validità del test ECE, che risulta completo e probante. E’ vero, lascia aperte un paio di possibilità a chi voglia agire in malafede, ma non siamo lontani dallo stato dell’arte: come in molti altri campi forse basterebbe applicare con un po’ più di rigore le normative previste ed avere una mentalità un po’ più aperta per perfezionare le procedure di verifica. Inserendo ad esempio fra le prove il doppio impatto, una prova di penetrazione nonché test post-omologazione su esemplari prelevati dalla rete vendita e non dalla produzione. Anche a costo di scontentare qualcuno.

 

E’ difficile confutare la maggior completezza del test SNELL, che però – ricordiamolo – non è e non vuole essere una omologazione con valore legale, ma si limita a premiare chi eccelle nella protezione attraverso i propri caschi e a stimolarli nel perfezionamento di questi ultimi analizzandoli a fondo e con il massimo della malignità per scovarvi difetti che, magari, nemmeno gli stessi costruttori avevano rilevato. Sarebbe utile che qui da noi si prendesse spunto almeno da alcuni dei test effettuati.

Molto più difficile dare credibilità – anche a fronte dei dettagli che ci sono stati forniti, con almeno due risposte sconcertanti – al test Sharp. Non abbiamo intenzione né interesse a gettare discredito sull’Ente britannico, che anzi va lodato per l'iniziativa e la semplicità del proprio sistema di valutazione per come viene esposto al pubblico, ma è inevitabile avere forti perplessità riguardo a test inadeguatamente documentati e che, allo stato dell’arte delle informazioni in nostro possesso, sono da ritenersi perlomeno incompleti.


Un Ente la cui missione è valutare in maniera indipendente un equipaggiamento di sicurezza come un casco dovrebbe offrire la massima trasparenza in merito alle proprie procedure. Ci rincresce vivamente che non sia affatto così.

 

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