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Ciao a tutti! Dieci anni fa, il 7 ottobre 2007, ci lasciava un pilota giapponese che aveva saputo colpire profondamente tutti gli appassionati di moto. Norifumi Abe. La notizia era arrivata in Italia il giorno successivo: un camionista aveva fatto un’inversione a U su uno stradone a quattro corsie alla periferia di Kawasaki, Tokio, tagliando la strada alla moto di Norick che non aveva potuto nemmeno frenare. I lettori più giovani forse non lo conoscono, ma Abe è stato un fenomeno. Vincitore del campionato giapponese della 500 a soli diciotto anni, l’anno dopo, era il ’94, esordì nel GP di casa come wild card su una Honda tutta rossa: a Suzuka lottava con Schwantz e con Doohan, quando l’asfalto bagnato lo tradì nel finale. Valentino, che aveva quindici anni e seguiva da Tavullia la telecronaca (la mia, su Telepiù), decise che in onore di quel pilota molto alto, dall’aria furba e con i capelli lunghi che sventolavano fuori dal casco, d’ora in avanti si sarebbe fatto chiamare “Rossifumi”.
Il Giappone ha realizzato le più belle moto da Gran Premio, ma con i suoi piloti non è stato fortunato. Tomizawa nel 2010 a Misano travolto dalle altre moto, Kato deceduto nel 2003 proprio a Suzuka con una dinamica assurda e mai chiarita, Nagai con la SBK ad Assen nel ’95, Wakai morto due anni prima nella corsia box di Jerez per evitare uno spettatore. Per citare i più famosi. Molti piloti giapponesi sono diventati campioni del mondo -Katayama per primo nel ’77, poi Sakata, Aoki, Harada, lo stesso Kato e infine Aoyama nel 2009- ma Norifumi Abe poteva vincere il titolo della 500, il più ambito anche nel Paese del Sol Levante. Era stato il primo davvero promettente. E ricordo molto bene quanto fosse entusiasta di lui Takeo Fukui che in quei primi anni Novanta era il numero Uno dell’HRC. “Nel vivaio della Honda -disse in una delle nostre spedizioni nel reparto corse più grande del mondo- abbiamo un sedicenne che ci darà molte soddisfazioni; è un ragazzo intelligente e già guida la 500: sentirete parlare di Abe”.
Non so esattamente come sia accaduto che Norick, dopo l’esordio di Suzuka con la Honda, si sia fatto convincere a passare sulle Yamaha di Kenny Roberts per il finale di quel 1994. Forse la HRC voleva trattenerlo ancora un po’ ai margini del mondiale come usava fare una volta, forse temeva di bruciare il suo talento. Abe conquistò con la YZR bianco/rossa il GP di casa nel ’96, primo nipponico a riuscirci (impresa bissata nel 2000); poi passò al team Rainey, poi con D’Antin, poi corse in SBK, ma di fatto la Honda chiuse ogni rapporto con lui e purtroppo, nonostante le aspettative, Abe non diventò mai un grande campione. Di lui, più delle vittorie, ci restano il sorriso, quegli occhi furbi, le fotografie con il suo modo particolare di guidare, il busto eretto e il casco alto sopra il cupolino anche nelle curve veloci. Valentino, che non è più Rossifumi ma non lo ha dimenticato, gli ha dedicato a fine 2008 il suo ottavo titolo mondiale.