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Quello della HRC nella MotoGP è certamente un dream team, ma siamo in tanti a domandarcelo: tra Màrquez e Lorenzo saranno scintille? Numerosi sono stati i precedenti ricchi di turbolenze, fin dagli albori del motociclismo. Masetti vs Duke, Read ed Ivy, Villa e Uncini… Il contadino saggio dice che non si mettono due galli nello stesso pollaio, e noi proviamo a sentire un esperto. Non di polli, di corse.
Giacomo Agostini da pilota ha diviso il box con piloti del livello di Mike Hailwood e Phil Read e poi è stato un team manager di riferimento.
«Non bisogna drammatizzare – attacca il quindici volte campione del mondo - e nel motociclismo è sempre successo. Logicamente nessuno vuole essere sconfitto, men che meno dal compagno di squadra. Purtroppo vincerà uno solo, e mi aspetto duelli anche duri, se saranno alla pari sarà inevitabile una buona dose di astio».
Tu cosa immagini?
«Se Lorenzo correrà come sa fare sarà una gran bella battaglia. Anche se Màrquez naturalmente conosce bene la Honda, è fortissimo e sa guidare anche oltre il limite. Guarda, dipende tutto da come parte Jorge: se replicherà quello che ha fatto con la Ducati, allora tutto filerà liscio e si vorranno bene; se invece partirà subito ad alto livello saranno duelli accesi e discussioni assicurate. Ma lo ripeto, è sempre accaduto e non sarà un dramma. Sai cosa mi raccontavano i miei meccanici? Quando Provini arrivò in MV e si trovò contro Ubbiali in 125 e 250, nella stessa squadra, arrivavano al punto di smontare i carburatori dai motori la sera, e portarseli in camera per non far sapere che getti usavano…».
Ecco, appunto, vorrei sentire dei tuoi duelli storici: con Hailwood e con Read come andò?
«Con Mike non c’era lite, io rispettavo lui che era il più esperto e lui rispettava me che ero giovane e volevo imparare in fretta; poi alla fine del ’65 gli arrivò l’ottima offerta della Honda e ne approfittò. Con Phil Read era diverso, lui arrivò in MV nel ’73, io vincevo tanto, pensavano che mi stessi rilassando troppo e allora mi misero di fianco un pilota forte per pungolarmi. Ma lui non mi rispettava ed era un vero bastardo. Adesso è tutto a posto, ma era un gran provocatore, molto duro in pista e detestabile fuori. Anche ruffiano: chiamò il figlioletto Rocky, come il figlio del conte Agusta che poi era anche il nostro direttore sportivo; e quando io dissi che il nuovo motore a quattro cilindri non andava bene lui, per portare i meccanici dalla sua parte, diceva il contrario. Io passavo per essere pignolo e incontentabile ma poi i fatti dimostrarono che avevo ragione».
Qui Ago si scalda, anche se riesce a ridere su un episodio che al momento deve averlo fatto molto arrabbiare. Conoscendolo.
«Veniva da me con un pacco di banconote alto così – racconta - e mi diceva: guarda che regalo mi ha fatto il conte! Poi ho saputo che era una finta, metteva un paio di biglietti da diecimila in cima alla mazzetta e sotto c’era tanta carta. Ma intanto io schiumavo di rabbia e mi sentivo messo da parte. Capito che tipo? Del resto aveva sempre litigato con i compagni di squadra, e con Bill Ivy era finita a pugni».
Bene, allora sei proprio la persona giusta per dare consigli al team manager dei due galletti in Honda…
«Solo un consiglio: che li tratti alla pari e non dia ascolto alle polemiche. In partenza non devono esserci numero uno e numero due: sono due campioni, li accontenti entrambi e poi saranno i primi risultati a dire chi è il numero uno. Bisogna solo aspettare le prime gare».
Per chiudere, una parola su Valentino che è alla sua ventiquattresima stagione?
«Lui è sempre lì tra i migliori, però i ragazzini di venti e venticinque anni hanno la testa diversa. Da ragazzo ero entusiasta di andare a correre il TT, poi ho visto il rischio e non ci sono più voluto tornare. Il curvone di Monza senza la variante lo hai fatto anche tu, te lo ricordi? A vent’anni lo facevi in pieno, a trenta pelavi. Rossi corre da professionista, direi, ed è giusto così: cerca di ridurre il rischio».