MotoGP. Aleix Espargaro se la prende con Spencer: forse non sa chi è...

MotoGP. Aleix Espargaro se la prende con Spencer: forse non sa chi è...
Aleix, convocato dal FIM Panel per chiarire la dinamica del suo “incidente” in pista nella Q1 del GP d'Austria con Petrucci, ha postato un commento malevolo sul giudice numero uno dell’organo disciplinare. Che è una vera leggenda del Motomondiale. Lo raccontano Nico Cereghini ed Edoardo Licciardello
21 agosto 2020

“Ho rispetto per Freddie Spencer - ha sottolineato Aleix - ma credo che ci voglia qualcuno che abbia corso in MotoGP non più di otto anni fa, qualcuno che abbia provato le stesse sensazioni che proviamo noi su queste moto, e che quindi ci capisca ".

Aleix ha da ridire anche sul sistema delle sanzioni, secondo lui si usano spesso due pesi e due misure; ammette che non sia un compito facile, quello dello steward, ma ribadisce che non è facile nemmeno per lui entrare nella top 10 con l’Aprilia, non è facile per gli ingegneri preparare la moto e non è facile nemmeno per sua moglie essere madre...

Esagerato? Forse, ma anche noi abbiamo avuto spesso qualche perplessità sulle diverse sanzioni, e qualche lettore condivide il sospetto che si usino pesi e misure diverse. Ma Spencer è Spencer. È legittimo mettere in discussione l’esperienza di un tre volte campione del mondo? Dell’ultimo pilota capace di centrare una doppietta nella storia del motociclismo?

Nel dubbio che Aleix non sappia bene chi sia Fast Freddie, e con l’obiettivo di ricordare ai lettori la portata della sua carriera, ecco un ritratto di Spencer a quattro mani: di Nico Cereghini e Edo Licciardello.

Spencer nel 1985 con la 250 e la 500 della sua doppietta
Spencer nel 1985 con la 250 e la 500 della sua doppietta
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Non è detto che i lettori sappiano esattamente chi sia, il grandissimo Freddie Spencer: la sua doppietta 250/500 risale al 1985 e bisogna avere almeno quarant’anni per averne una qualche memoria. Ma oggi è interessante conoscere la sua storia: oggi che Spencer è il Presidente del Panel Stewards FIM MotoGP e quindi il massimo responsabile delle decisioni disciplinari, comprese le sanzioni e la gestione delle proteste. Fino al 2018 era Mike Webb a ricoprire quel ruolo, ma Webb era anche il direttore di gara, ovviamente non era in grado di ricoprire i due ruoli simultaneamente, e adesso le cose potranno funzionare meglio. Spencer di corse ad altissimo livello ne sa tanto.

Frederick Burdette Spencer (così all’anagrafe) è nato a Shreveport, Louisiana, il 20 dicembre del ’61 e per molti è il grande mistero del motociclismo. Era al top e si è inceppato chissà come. E’ salito sulla moto sin da piccolo, a sedici anni è già campione nazionale Novizi, in Europa approda per la prima volta nel 1980: è diventato collaudatore Yamaha e si presenta al GP del Belgio a Zolder, dodicesimo in prova per la classe 500 e poi ritirato in gara, con la moto azzurra sponsorizzata da Bel Ray lubrificanti. L’anno dopo Freddie Spencer passa alla Honda: è lui l’eletto chiamato a resuscitare il prestigio della fenomenale ma sciagurata quattro tempi NR 500, ambiziosa e costosissima moto da GP nata nel ’79 con quattro cilindri sdoppiati e pistoni cosiddetti ovali, due bielle per pistone, 24 valvole, V di 100°, oltre 20.000 giri, radiatori laterali, telaio monoscocca d’alluminio, ruote componibili da 16 pollici, forcellone fulcrato nel carter, forcella rovesciata e molle esterne. E’ la moto che aveva esordito due anni prima a Silverstone con Grant e Katayama, con un incendio e due ritiri, e poi si era ripresentata  in Francia senza neppure riuscire a qualificarsi. Lui guida bene, ora il telaio è in tubi d’acciaio e le ruote sono da 18 pollici: in una gara di campionato USA a Laguna Seca Freddie centra la pole e poi è secondo, mentre nell’unico GP del mondiale affrontato quell’anno (GB) lotta per il quinto posto e poi si ritira. Per la cronaca, la NR – New Racing, voluta da Soichiro Honda in persona per rinverdire i fasti mondiali degli anni Sessanta senza piegarsi al volgarissimo motore a due tempi – passerà alla storia come il Titanic del motociclismo. Progettista Irimajiri, affiancato dal futuro boss di HRC Kanazawa; costi altissimi, affidabilità zero. Però capace di vincere almeno una grande gara: la 200 Miglia di Suzuka 1981 con un pilota nipponico.

A questo punto tuttavia persino Soichiro Honda cede: e così dal 1982 arriva per Spencer la NS due tempi tre cilindri, viene ingaggiato anche il campione in carica Marco Lucchinelli, la musica cambia per il talento della Louisiana e per tutti. Due vittorie, tre podi e il terzo posto in campionato (iridato è Uncini) in quel primo anno, il meritatissimo titolo la stagione successiva con sei successi e tre secondi posti in dodici gare. Con soli due punti di vantaggio su Kenny Roberts dopo l’ultima e storica gara di Imola.

Freddie spicca nel gruppo: scende dalla moto e non è nemmeno sudato, gira con una splendida fidanzata (ex-miss Louisiana) e però segue una setta che predica l’astinenza sessuale prima del matrimonio; dice di possedere la vista “slow motion”, grazie alla quale riesce a dividere in fotogrammi chiari anche gli oggetti in rapido movimento, sostiene di poter vedere ogni singola faccia dei passeggeri di un treno che gli sfreccia davanti. Boh. Ma quel che conta soprattutto è che guida come nessun altro prima di lui: non più linee rotonde ma spezzate per aprire il gas il prima possibile, ginocchio a terra come terzo punto di appoggio, le gomme più morbide per fare subito la differenza. Un fuoriclasse che rivoluziona la guida delle 500.

Spencer è l’autore della penultima doppietta nel campionato mondiale velocità. L’ultima è di Jorge Martinez con le Derbi 80 e 125 nell’88. Le doppiette del motomondiale sono state ventisette in totale (la prima di Duke nel 1951 con le Norton 350 e 500), ottenute da sedici piloti:  Agostini è il re con cinque doppiette 350/500 con le MV Agusta, molti altri ne hanno collezionate due o tre, sempre tra classi vicine. Sono state tutte imprese memorabili, sebbene tecnicamente non troppo complesse per un pilota di rango; ma la doppietta di Freddie dell’85, quella no, quella è stata veramente tosta. La più tosta. Tanto che dopo quel capolavoro nessun pilota ha più voluto provarci; non tanto per la crescita del numero dei Gran Premi in una stagione – erano dieci prove della 500 per Ago nel 1968 e furono dodici per Spencer nell’85, soltanto dall’87 passammo a quindici GP – quanto per la crescente complessità delle moto.

Per Spencer fu stressante: lui stesso ha dichiarato anni dopo che le due Honda, la  bicilindrica RS 250 RW e la NSR 500 quattro cilindri, chiedevano traiettorie e riferimenti molto diversi. La piccola era aggressiva nell’erogazione e andava guidata con estrema pulizia, mentre la 500 aveva più coppia, concedeva più margine, ma alle staccate ci arrivavi con ben altre velocità. E poi i turni di prova erano così vicini da dover passare da una moto all’altra senza nemmeno il tempo di trasferire le osservazioni ai tecnici: al termine di ogni giornata, il pilota doveva riavvolgere il nastro e pescare nella memoria ogni sensazione, tanto che “persino i briefing – ha confessato Freddie - erano faticosissimi e interminabili”. Un enorme stress psicofisico. Spencer al GP delle Nazioni, per dirne una, fece 27 giri del Mugello con la 500 (141 km e rotti) e 22 giri con la 250 (115 km) la domenica, più quattro turni di prove nei due giorni precedenti con l’una e quattro con l’altra. Non meno di 900 km a manetta vincendo sia duemmezzo che cinquecento. Quell’anno dominò sette GP con la bicilindrica e sette con la 500. E alla 200 Miglia di Daytona si aggiudicò tre gare: F1, 250 e la nuova SBK, un tris storico. Spencer aveva soltanto venticinque anni, era lanciato, era il migliore, Soichiro Honda lo adorava.

Chi mai avrebbe potuto dire che era già arrivato al capolinea? Eppure non avrebbe più vinto un GP, la sua carriera finì di fatto alla prima gara del 1986. Jarama, GP di Spagna, 4 maggio: dopo la pole era in testa con ampio margine su Lawson, a metà gara alzo il braccio sinistro, a sorpresa rientrò nel suo box e la saracinesca venne subito abbassata.

La squadra lo coprì e pochissimo trapelò. Tendinite? Qualche preavviso di solito lo dà. Quell’anno fu tutto un tiramolla, arrivo, non arrivo, le moto pronte, addirittura già accese perché lo avevano visto in aeroporto. Ma lui non si presentava. Si sarebbe rivisto soltanto in Austria per il GP dell’8 giugno: quinto in prova (bene!) scomparso e sedicesimo in gara…E  l’anno dopo i problemi passarono al ginocchio, poi alla vista, poi alla testa. Mistero. Di fatto il 1987 cominciò per Freddie soltanto il due agosto a Silverstone per la nona prova dell’anno, poi altre tre gare opache con buoni tempi in prova ma solo un settimo posto in gara, un undicesimo, due ritiri. Poi nel 1988 in Europa non lo si vide del tutto e sembra che la sua grande concessionaria Honda di Shreveport, il suo vanto e la sua pensione, proprio allora sia fallita.

Poi fu Agostini a dargli un’altra possibilità: un talento del genere non poteva essersi esaurito, Freddie garantiva di essere tornato in forma, tornò sulle Yamaha per la stagione ’89. Annata amara: dieci partenze, belle qualifiche, quinto in Spagna (ma a 51” dal vincitore) e poi mai meglio di nono al traguardo. Ago era disperato (però, previdente, lo pagava a risultato...) e alla fine Spencer si classificò soltanto sedicesimo davanti allo svizzero Marco Gentile con la Fior, per dire. Ci avrebbe riprovato anni dopo, nel ’93, con tre sole partenze: l’ultima data, Misano 5 settembre, coincide purtroppo con quella del gravissimo incidente di Rainey, e Freddie chiuse la corsa quattordicesimo a un minuto e mezzo da Cadalora. La voglia di correre in realtà non lo abbandonò mai, negli Usa tornò sulle Superbike prima Honda e poi pilota ufficiale Ducati con l’ultima vittoria. Infine la scuola di pilotaggio e le manifestazioni internazionali.

Questo è lo Spencer che ho conosciuto io e che ho visto da bordo pista quando vinceva. L’ho anche intervistato parecchie volte per Grand Prix, anche se delle sue risposte capivo pochino: Kenny faceva il possibile per farsi intendere anche da me, Freddie no, lo traducevamo poi a casa per il doppiaggio. Naturalmente posso ricordare male, posso avere registrato qualche impressione sbagliata, ammetto la possibilità che Spencer non sia stato capito, magari non c’è nessun mistero dietro all’improvviso crollo del suo enorme talento. Allora per completezza passo la parola all’amico Edo Licciardello, che ha appena finito di leggere l’autobiografia del fenomeno 19, però avverto Edo: tutte le biografie sono celebrative e raramente i piloti ci raccontano tutta la verità. E’ umano e comprensibile: chiunque di noi trascurerebbe le pagine più spiacevoli della propria vita, figurarsi un personaggio pubblico che è stato al centro di grossi interessi. Ma ciascuno di voi potrà farsi una personale opinione.

Lo Spencer di "Feel", l'autobiografia

Non nascondo che l’idea di scrivere un pezzo a quattro mani con Nico mi ha stimolato fin da subito. Un po’ per l’onore che potete tutti immaginare, un po’ perché farlo su Spencer, che per questioni anagrafiche è il primo pilota ad aver colpito il mio immaginario, è stato come sostenere due esami nello stesso momento.

Iniziamo con il dire che tutto quello che scrive Nico è corretto, ma va detto - e tanto di cappello a Spencer - che Freddie, nella sua “Feel” non si tira affatto indietro e non sfugge alle sue responsabilità - inizia addirittura dai primi anni 2000, forse il punto più basso toccato dalla sua parabola personale, con il fallimento della sua scuola di guida a Las Vegas e l’ennesima separazione. Semmai, però, offre una spiegazione molto introspettiva sul perché la sua carriera e la sua vita sono andate come sono andate, con una lodevole sincerità che trasforma quell’incomprensibile alieno in un essere umano. Tanto veloce in sella quanto fragile nella vita reale.

Partiamo dall’inizio. Spencer, terzo figlio di una classica famiglia della Bible belt statunitense, vive un’infanzia felice ma impegnativa. Affascinato dalle due ruote - come il fratello e la sorella maggiori - eredita i loro mezzi e si dimostra subito velocissimo. Il padre inizia a portarlo in giro per tutti gli Stati Uniti, due uomini e un furgone, per farlo correre ovunque ci fosse l’opportunità.

Una storia simile a quella di Stoner, ma senza l’esodo familiare: quando Spencer arriva ad emigrare in Europa è già un fenomeno. Si è messo in mostra nelle prime gare internazionali, e c’è Kawasaki che lo vuole per il Mondiale. Kenny Roberts ha aperto la strada, e i piloti guardano con interesse al vecchio continente. Chiunque altro avrebbe firmato in tempo zero, ma Spencer no. È rimasto affascinato da un personaggio molto particolare: Soichiro Honda, e vuole arrivare a correre per lui. Ed è così che quando a casa sua squilla il telefono, e all’altro capo c’è un dirigente della Casa di Tokyo, Freddie inizia a pensare che dietro alla sua vita ci sia un piano, quasi un programma divino.

E così inizia la sua avventura nel Mondiale, che Nico vi ha già raccontato con l'esperienza di chi l'ha vissuta sui circuiti. L’inizio con la NR, l’arrivo della due tempi e il grande lavoro di sviluppo. Il rapporto con Kenny Roberts, di mutuo rispetto inizialmente - al di là dei giochi psicologici del californiano, Kenny ha grande stima per Freddie - che si rovina irrimediabilmente dopo l’ultima curva ad Anderstorp, nel 1983. Un incidente da cui Freddie prende le distanze, ma lascio a voi scoprire il perché leggendo il libro.

Il punto di svolta è forse proprio quel 1983. Essere il primo a vincere il titolo con Honda, essere ospito di quel Soichiro che tanto ammirava, arrivare a un picco dopo il quale sembra che il senso della vita, per Freddie, si sia compiuto.

Dopo arriverà il 1984, con i primi infortuni gravi. La gran botta di Kyalami, che rese famoso il paraschiena Dainese, si porta a corollario 30 fratture - 14 al piede sinistro, 16 al destro. E poi, Freddie si rompe di nuovo i piedi nelle Match Races, le gare che allora si correvano in Gran Bretagna in una sorta di sfida fra Europa e USA. La quattro cilindri che non va, il ritorno alla tre cilindri, il controverso GP d’Austria in cui Mamola gli cede la posizione scatenando l’antipatia del pubblico: tutti piccoli e grandi elementi che tolgono a Spencer il gusto di correre. E poi, dopo il ritorno alla vittoria con la tre cilindri in Germania, la presa di coscienza: Freddie si rendo conto di passare la sua vita a fare le cose che la gente si aspetta da lui che faccia.

Serve un nuovo progetto, un’altra sfida per ridare senso a quello che fa. E allora, giù a capofitto nella doppia cilindrata, per concentrarsi su qualcosa di nuovo e, forse, non pensare alle vittorie che sembrano una droga: ogni dose riduce la soddisfazione che Spencer ne riceve. E gli infortuni si accumulano, perché a Laguna Seca, in una gara extra campionato, si frattura la clavicola.

Spencer però si butta nel progetto 1985 con impegno monastico. In Sud Africa, sette giorni di test per 200 nuove radiali Michelin, al ritmo di 150 giri al giorno lo riducono allo stremo: già il secondo giorno deve girare con le mani fasciate per le vesciche. E poi c’è il problema del peso, perché la NSR 250 nasce velocissima, quasi perfetta, ma Freddie è troppo pesante per la quarto di litro e deve dimagrire. I nutrizionisti allora erano poco più che stregoni; il risultato è che Spencer, già magro, finisce emaciato e debole.

E poi, il punto focale. Il Mugello 1985, con la prima doppia vittoria. La svolta della stagione e allo stesso tempo l’episodio più simbolico dello stress fisico e psicologico a cui Spencer è sottoposto in quella stagione. Freddie vince la 500, sale sul podio già stremato. Ha a malapena la forza di sollevare la bottiglia dello champagne, poi si cambia il casco - per mettersi una maglietta asciutta non c’è tempo, quando suona l’inno americano le 250 stanno già schierandosi - e con le gambe di gelatina fa partire a spinta la sua NSR. Parte diciannovesimo, però recupera e vince due gare nella stessa giornata. Un’impresa impossibile, ma Spencer, nel buio del motorhome, invece che esaltato è quasi deluso. La domanda che gli risuona nella testa è “Ma allora è tutto qui?”

Alla fine, fra Silverstone e la Svezia, Spencer compie ancora una volta un’impresa incredibile e vince entrambi i titoli. Ma alla fine, ancora una volta, la sensazione predominante non è la soddisfazione ma il sollievo. Ha soddisfatto le aspettative di una Honda che, senza Soichiro, è sempre più distante e avversa. La gioia, dal 1979, è costantemente diminuita, resta solo la soddisfazione di non aver ceduto alla pressione.

Nel 1986 tutti gli infortuni subiti si sublimano nella tendente che, lentamente, gli farà chiudere la carriera. Honda non capisce, minimizza i suoi problemi e Spencer non ce la fa più. Pensa addirittura di correre in auto: i primi test, con Penske, Ganassi e Newman, danno ottimi risultati, e Freddie è quasi convinto. Poi, però, arriva l’offerta di Agostini per sostituire Lawson. E Spencer, in un momento di incertezza, pensa di restare attaccato al mondo che conosce, compiendo - parole sue - l’errore più grave della sua vita.

La stagione è un disastro, ma la storia agonistica di Freddie ha un lieto fine. Tornato negli USA, prova qualche gara poco più che per divertimento, con la Honda RC 30 di Two Brothers Racing, e ritrova la gioia delle gare. Del correre senza pressione. Vince a Miami, e si imbarca nel progetto della 8 ore di Suzuka, dove sfiora la pole e finisce quarto nonostante un disastro al primo turno.

Tanto che nel 1993 decide di tornare al Mondiale con Yamaha. E la stagione sembra anche iniziare bene, ma la sfortuna ci mette lo zampino: a Suzuka, per la prima gara della stagione, Yamaha gli fa provare la sospensione Ohlins semiattiva che lo tradisce alla curva 10, prima del tornantino. Freddie finisce in ambulanza e la stagione, di fatto, finisce lì. Corre in un altro paio di occasioni, ma senza convinzione e con un po’ di paura. E l’incidente di Rainey, a Misano, mette la parola fine.

Il lieto fine sta nell’incontro con Eraldo Ferracci, che fa correre le Ducati 916 negli Stati Uniti dopo l’avventura nel Mondiale con Polen e la 888. Prima di tornare alla ribalta con Troy Corser, Ferracci “firma” l’ultima vittoria di Spencer, nell’aprile del 1995, proprio con la Ducati 916.

Poi la scuola di pilotaggio - Spencer ha aiutato gente come Bostrom e Hayden, prima che arrivassero al Mondiale - la grande crisi economica degli anni 2000, e poi un nuovo percorso intrapreso nel 2010, fra il mistico e il filosofico. Oggi Freddie è più sereno, riesce a vivere il suo passato con orgoglio, e ha fatto pace con i suoi demoni interiori. Chissà, nel suo ruolo di Steward, come giudicherebbe oggi quell’ultima curva di Anderstorp?