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Sento un grande rispetto per coloro che con le loro parole mi hanno consolato dopo la tragedia di Misano, dove il pilota giapponese Shoya Tomizawa ha perso incredibilmente la vita. Sento anche rispetto per coloro che hanno con rabbia accusato chicchessia perchè convinti che non fosse stata divulgata la verità sull’ora di quella insopportabile morte.
Io purtroppo c’ero e mi sento in dovere, dopo aver letto perplessità e accuse, di raccontare la tristezza di quel giorno. Shoya Tomizawa è arrivato al Medical Center dell'Autodromo di Misano in coma, ma vivo. Il suo giovane cuore batteva, i polsi arteriosi erano percepibili. Nel monitor la traccia del suo cuore che pulsava vita era nitida e ci confortava. Con determinazione i Medici si affaccendavano attorno al ferito e i responsabili del piccolo ospedale del circuito avevano predisposto il trasferimento in ospedale del pilota giapponese. Improvvisamente l'allarme del monitor raggelò il sangue di tutti: il cuore del giovane centauro, ferito dai suoi compagni, si era arrestato.
E’ iniziata tempestivamente la rianimazione cardiocircolatoria, mentre si continuava quella respiratoria e fu stabilito di trasferire il pilota giapponese in Ospedale con l’autoambulanza, ovviamente attrezzata per la rianimazione. A mio parere la scelta dei responsabili mi trova d’accordo in quanto in elicottero è quasi impossibile effettuare una efficace rianimazione, oltre al fatto che l’Ospedale distava pochi minuti dall’Autodromo. Infatti in pochi minuti il pilota, sempre costantemente assistito dai medici nel tentativo di rianimarlo, è arrivato all’Ospedale di Riccione. Nella sala di rianimazione di questo Ospedale ho assistito a quanto di più umano e professionale un’equipe medica potesse fare. I medici e i paramedici, tutti assieme, hanno assistito con grande armonia, professionalità e amore il pilota così impietosamente ferito.
Con il loro talento professionale mi pareva trasmettessero ai presenti, con i loro gesti precisi e attenti, la speranza di propiziare un miracolo. Tanto che ad un certo punto l’anestesista, brava aldilà dell’incredibile, dopo che abili chirurghi avevano drenato sangue e aria dal torace del pilota ferito, ha esclamato con una nota di orgoglio mista a soddisfazione: “ riesce a ventilare meglio, la rianimazione è più facile”.
A questo punto ho sperato che il cuore di 19 anni di Shoya esplodesse di vita, una nuova vita...
Come in un sogno mi venne in mente Daijiro Kato che nell’aprile del 2003 arrivò esanime al Medical Center di Suzuka, dopo che la moto impazzita lo aveva schiantato contro le protezioni del circuito. I medici giapponesi erano esausti per la faticosa rianimazione prestata allo sfortunato pilota sul luogo dell’incidente e in ambulanza e stavano per rassegnarsi al peggio quando le mie mani che si affondavano nel petto di Daijiro per rianimare il cuore li convinse in un attimo a seguirmi in questa impresa disperata, dettata più dall’amore e dalla speranza piuttosto che dalla realtà clinica.
Il cuore di Daijiro trasformò i miei gesti violenti in carezze e si persuase a ripartire. Battè con vigore per 14 giorni, poi se ne andò mormorando: “La vita è come un germoglio di un ciliegio in fiore, naturalmente perfetta ma solo per una primavera”.
Con questa speranza sono tornato nella stanza, ma l’attività dei bravi medici era cessata, le braccia degli operatori pendevano lungo i fianchi. La tragedia si era compiuta. Erano le 14,19...e le mie lacrime bagnavano il mio viso triste e quello di Sohya che sorrideva.
Poco più di un’ora del nostro tempo terreno per consegnare Shoya Tomizawa all’eternità... Poco più di un’ora di rianimazione per tentare l’impossibile...
Siamo a conoscenza di medici che nella storia sono stati indagati per non aver protratto e continuato la rianimazione oltre i 30\40 minuti. A Shoya Tomizawa è stata donata un’ora terrena, o poco più, per Rispetto non delle regole o dei protocolli, ma per Rispetto degli amici, di chi lo amava e in particolare degli affranti genitori e anche di coloro che umanamente e con rabbia hanno pensato che in quei pochi minuti esistessero ancora le cose del mondo e la MotoGP.