Dall’Igna: “In Ducati Corse ho portato una nuova mentalità”

Dall’Igna: “In Ducati Corse ho portato una nuova mentalità”
Qualcuno pensa che le idee originali espresse da Ducati in MotoGP escano dalla fantasia di Gigi. Merito invece del nuovo clima: tanto spazio alle idee e velocità nello svilupparle. Il ruolo del team Pramac e l’importanza di avere la moto più veloce in rettilineo
14 ottobre 2021

“Non tutte le idee - esordisce il direttore generale di Ducati Corse - sono mie: anzi, il mio compito non è di avere la migliore idea in assoluto, ma di creare un clima dentro il reparto corse per fare in modo che tutti possano esprimere la loro migliore idea. Poi le mettiamo tutte in fila nelle riunioni e procediamo nella scelta. Una mente ha qualche idea, dieci menti hanno idee moltiplicate per dieci. Sarebbe stupido pensare che le idee migliori vengano dalla stessa persona”.

Per esempio l’aerodinamica? Gigi risponde a Ianieri e Filicic nel podcast della Gazzetta.

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“L’aerodinamica, per conto mio, è sempre stata una scienza troppo trascurata in ambito moto: il pilota fa parte dell’insieme e la ricerca è complessa. Qui in Ducati ho trovato l’ambiente giusto e le persone giuste per esprimere le mie idee e implementarle con loro, facendo il lavoro giusto. Ma tutti gli ambiti della moto vanno sviluppati collegandoli tra loro per il miglior compromesso. E tutti gli ambiti possono essere ancora evoluti, naturalmente dentro il regolamento rigido della Moto GP di oggi”.

Qual è il cambiamento più grande che ha portato Gigi Dall’Igna?

“E’ un cambiamento, più che altro, di mentalità e filosofia. Adesso Ducati Corse è come una start up delle più moderne, c’è veramente tanto spazio allo sviluppo delle idee che emergono dalle varie persone e soprattutto si tenta di ridurre il più possibile il tempo di implementazione di queste idee. Prima si era più vicini a un’azienda normale”.

Ducati è piccola, rispetto a Honda o anche alla KTM. Come si può sopravanzare i concorrenti quando sono dei colossi?

“Noi abbiamo sempre cercato strade diverse dagli altri. Non solo dal punto di vista tecnico, ma anche nella visione dei regolamenti. Penso alle Open contro le factory nel 2014 e 2015, alla gestione dei piloti nei team satellite e del materiale a loro disposizione, al modo di far crescere questi piloti e le nostre moto (all’interno) con l’aiuto di questi team, anche alle modalità di prove. In tutti gli ambiti noi abbiamo cercato soluzioni diverse da quello che si era sempre fatto”.

Per esempio la collaborazione particolare con il team Pramac.

“Il segreto principale è stato quello di trovare, con il proprietario del team e con chi gestisce la squadra, il modo di considerarlo una diramazione di Ducati, e non un team a se stante con la sua politica. Il fatto di spostare non soltanto i piloti da un team all’altro, ma anche i tecnici...  Noi siamo gli unici nel paddock: un pilota entra conoscendo un capotecnico e in tutto il suo percorso in Ducati mantiene sempre lo stesso capotecnico. Spostare non solo il pilota ma anche il capotecnico da un team all’altro è molto importante per il risultato, ma si può fare solo se si trova terreno fertile e se si condivide la stessa filosofia”.

La potenza del supermotore Ducati qualche volta rischia di oscurare tutto il resto?

“Quello che conta alla fine è il miglior compromesso possibile di tutte le aree della moto. Anche la potenza: la velocità non dipende solo dalla potenza assoluta del motore, ma è frutto anche di altre aree come elettronica, ciclistica, grip. Comunque, in tutta la mia carriera ho sempre cercato di dare al pilota la moto più veloce possibile: superare un altro pilota in curva è estremamente più complicato che superarlo in rettilineo. Questo è un aspetto che molti tecnici, anche molti piloti, sottovalutano”.

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