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Già dieci anni sono passati da che Marco Simoncelli se n’è andato.
Come noi, tanti appassionati si dicono increduli, nei commenti al live di mercoledì scorso.
Già dieci anni! Il ricordo del Sic è così potente da farci sentire la perdita come se tutto fosse accaduto ieri.
La sua simpatia, l’allegria e la comunicativa, il suo carattere così esuberante erano entrati nelle case di tutti e sono ancora lì.
E poi la gioia di vivere che manifestava insieme alla consapevolezza del privilegio di essere un pilota.
Marco era un ragazzo felice, di una felicità contagiosa, e non conosco nessuno che a sentire il nome di Marco Simoncelli non si accenda in un sorriso.
A Marco abbiamo dedicato il nostro speciale di mercoledì scorso (Il video lo trovate qui sotto).
Lo Zam ed io con Paolo Simoncelli il babbo, con Carlo Pernat l’amico-manager e con Paolone Beltramo che lo ha raccontato in questi anni.
Guardatelo, il video, e con il rimpianto ritroverete un po’ di gioia. Perché non si può parlare del Sic senza far rivivere la sua allegria e la sua generosità: nel suo nome con la Fondazione si fanno cose molto belle, come il centro nella sua Coriano, Casa Simoncelli, un’opera imponente destinata ai ragazzi con gravi disabilità e alle loro famiglie.
Il Sic ci ha lasciato nella gara di MotoGP a Sepang, il 23 ottobre del 2011, e l’anniversario coincide con il sabato di Misano.
Abbiamo voluto anticipare il nostro ricordo per non invadere la vigilia del GP, perché il dramma di dieci anni fa è stato un pugno in faccia. Per la prima volta nella storia del motociclismo, la morte di un pilota è entrata nelle nostre case in diretta con tutta la sua terribile forza, senza filtri, gelando il cuore.
Non era accaduto per la tragedia di Saarinen e Pasolini, né per nessun altro. Lo abbiamo visto mentre scivolava e tentava di resistere in sella, abbiamo gridato quando la sua Honda prese quella traiettoria assurda e tagliò la pista, abbiamo visto arrivare Edwards e Valentino. Poi il suo casco integrale che rotolava nell’erba e i riccioli sull’asfalto. E lui che non si muoveva più, e le lacrime nel paddock.
Per chi non ricordasse la carriera di Marco, basti dire che a 12 anni era campione italiano delle minimoto, a quindici anni campione europeo della 125.
Dal 2003 ha corso stabilmente nel mondiale, nel 2004 la prima vittoria a Jerez, l’anno dopo ancora una vittoria e sei podi, con il quinto posto finale in campionato. Ma per la 125 era già troppo grande.
La 250 dal 2006 con la Gilera-Aprilia, prima con Brazzi e poi con Aligi Deganello che per Marco è stato un secondo padre.
La stagione del titolo è quella del 2008: ci vollero due vittorie consecutive in Italia e Catalogna per ricevere finalmente la moto ufficiale; vinse ancora quattro volte, conquistò altri sei podi, fu il campione del mondo.
Poi un altro anno nella quarto di litro con sei vittorie, ma il campione 2009 fu Aoyama. Bello ricordare che quell’anno disputò anche una corsa in SBK con la RSV4 Aprilia ufficiale, una specie di premio: a Imola cadde in gara 1, ma in gara 2 superò clamorosamente il suo compagno di squadra, che era Max Biaggi, e chiuse terzo.
Nella sua prima stagione in MotoGP, sulla Honda del team Gresini, il Sic fu quarto in Portogallo e ottavo nella classifica finale.
Ma si vide subito che andava forte anche nella top class. E in quel tragico 2011, con la moto ufficiale HRC e il contratto diretto con la Honda, aveva già conquistato due volte la pole position, a Barcellona e Assen, e a Brno era salito sul suo primo podio, terzo.
Era tra i protagonisti assoluti. Dopo tre quarti posti consecutivi, una settimana prima di Sepang era arrivato lo splendido secondo posto in Australia a soli due secondi da Casey Stoner e in volata su Dovizioso.
Con quattordici vittorie nel campionato del mondo, il nome di Marco Simoncelli è sui libri della FIM di fianco a Braun e Cecotto, una vittoria in meno di Jarno Saarinen e una in più di Mamola, Ueda, Kocinski e Iannone.
Tutti ne siamo convinti: sarebbe arrivato molto in alto, probabilmente avrebbe conquistato almeno un titolo della MotoGP. Per Paolo Beltramo, certamente due.