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E’ una figura storica del paddock, un tecnico che ha lavorato e vinto gare e titoli mondiali nel motomondiale e in SBK con Tetusya Harada, Max Biaggi, Jorge Lorenzo. Per anni punto di riferimento dell’Aprilia, da un paio di stagioni Giovanni Sandi ha intrapreso una nuova sfida, seguendo un giovane promettente come Danilo Petrucci con la CRT del team Ioda Racing. Una visita nel box di “Giuva”, come viene chiamato nel paddock, è quasi obbligatoria, perché Sandi è un profondo conoscitore di tecnica e di piloti e qualche frase ad effetto – tipo: “le mie moto non si passano nemmeno con la scia” – la dice sempre.
Nome e cognome?
«Giovanni Sandi».
Nato dove e quando?
«A Santa Margherita Staffero (PV), il 2 settembre 1949».
Qual è stata la prima gara di moto che hai visto?
«1969-1970, non ricordo bene, quando ancora c’erano i circuiti cittadini. Io ho iniziato a correre nel ’69 e andavo a Rimini, Ospidaletti, Monza a vedere i GP».
Che gare facevi?
«In salita, gare di campionato Juniores».
La tua carriera è lunghissima: prova a riassumerla brevemente, altrimenti non basta tutto moto.it per descriverla…
«Ho corso saltuariamente – lavoravo e avevo pochi soldi – fino al 1980, magari facendo solo qualche gara all’anno. Nel 1979-1980, da “Gentlemen” ho fatto tutto il campionato con la TT2 di Segale: mi sono giocato il campionato con Menegaz. L’anno successivo ho iniziato con il team di Prati, che si era fatto male al famoso Nurburging, rimanendo purtroppo paralizzato. Essendo un grande appassionato aveva allestito un team e mi aveva preso come meccanico: avevo fatto le scuole meccaniche e avevo lavorato in diversi posti di attrezzeria meccanica. Sono stato anche alla Moto Guzzi come collaudatore: nell’ambito motociclistico, ho fatto un po’ di tutto».
Adesso qual è esattamente il tuo ruolo?
«Sono responsabile tecnico in pista di Petrucci nelle CRT e di Zarco in Moto2».
Cosa fa esattamente uno che fa il tuo lavoro?
«Sinceramente, mi sento un po’ come un allenatore di una squadra di calcio… Parlo con il pilota, in base alle sue dichiarazioni dirigi la squadra di tecnici; se capisci dove e come intervenire, lo dici ai meccanici, organizzi le prove e la gara. Se lavori con dei giovani, come sto facendo adesso, provi a dargli dei consigli per farli crescere sotto tutti i punti di vista».
Hai fatto il capo tecnico in tutte le categorie del mondiale e in SBK; come è cambiato nel tempo il tuo lavoro?
«Per chi sa di meccanica, il lavoro è più o meno sempre lo stesso. Ho fatto 125, 250 e 500 2T, ho iniziato quando ancora c’erano le Suzuki 500 4 cilindri, ho lavorato sulle Honda 3 cilindri, sono stato alla Cagiva sia come meccanico sia come responsabile, ho lavorato sui 4T: con quest’ultimi cambia un po’, perché non lavori praticamente più sui motori, ma ti concentri sulla ciclistica e sull’elettronica. In questo senso è un po’ diverso da prima, ma al pilota dai sempre lo stesso risultato: che sia un 2T, un 1000, un 500, devi sempre mettergli a disposizione la migliore soluzione possibile».
Ma ti divertivi di più prima o adesso?
«Non cambia granché: prima avevi più le mani dentro alla meccanica e ci mettevi più del tuo, adesso se hai un motore competitivo va bene, altrimenti non ci puoi fare niente. Prima, se eri capace, anche con una moto “standard”, specialmente con i motori a 2T, potevi tirare fuori i cavalli necessari per fare una bella figura».
Quanto è cambiato con l’elettronica?
«Questo aspetto è sicuramente cambiato molto, ma anche qui puoi dare dei suggerimenti su tanti parametri: devi comunque avere delle conoscenze tecniche. Insomma, il lavoro di base è sempre lo stesso».
Quanti tioli mondiali hai vinto?
«Sei?»
A me lo chiedi… Contiamoli.
«Uno con Harada in 250, quattro con Biaggi (3 in 250 e 1 in SBK, NDA), due con Lorenzo in 250. Quindi fanno sette. Però ne ho persi tanti…».
Di Mondiali Marche ne ho vinti davvero tanti: quando sono arrivato io, l’Aprilia ha conquistato tanti campionati. Credo di aver dato un bel contributo
Quale ti brucia ancora adesso aver perso?
«Sicuramente quello del 1998 con Harada contro Capirossi. Però, a dir la verità, quello è stata una vicenda tra i piloti, io non l’ho perso… In quell’anno c’erano tre Aprilia (la terza era quella di Valentino Rossi, NDA) super veloci, che si potevano anche permettere di partire ultimi che comunque facevano primo, secondo e terzo. Dal punto di vista tecnico, quindi, il lavoro era stato fatto bene. Ecco, di Mondiali Marche ne ho vinti davvero tanti: quando sono arrivato io, l’Aprilia ha conquistato tanti campionati. Credo di aver dato un bel contributo».
Visto che hai parlato del ’98, vuoi dire qualcosa di quell’episodio, di quel contatto all’ultima curva in Argentina tra Harada e Capirossi?
«Ormai è acqua passata, ma al momento ci rimanemmo molto male, perché Harada era superiore e si meritava il titolo, considerando anche che aveva avuto tre “zero” per rottura meccanica».
Ah, quindi colpa del capo tecnico…
«No, dai! Era l’anno successivo al cambiamento della benzina (“verde” e con minor numero di ottani, NDA) e avevamo dei problemi che non erano stati risolti del tutto: ogni tanto succedeva di rompere, ma la sfortuna ha voluto che a noi capitasse in gara, agli altri in prova. Tetsuya, tra l’altro, aveva rotto in Australia, alla terzultima gara, ma il Brasile venne cancellato e rimase solo l’Argentina».
Ma in quella curva Harada aveva sbagliato?
«Secondo me no: Capirossi tentò il tutto per tutto».
Dei sette titoli piloti che hai vinto, quale ricordi con particolare soddisfazione?
«Il primo, quello del 1993 con Harada e la Yamaha 250, era stato davvero speciale, per diversi motivi: il progetto era partito solo a novembre del ’92, nessuno sapeva chi era Tetsuya che fino ad allora aveva corso solo in Giappone, non conosceva nessun circuito, la moto non era così competitiva. Successivamente, i tre di Biaggi con l’Aprilia, che non aveva ancora conquistato un titolo, sono stati bellissimi. Ma anche i due di Lorenzo, un giovane di grande talento che però, fino ad allora, non aveva ancora vinto. E non dimentico quello in SBK, dove abbiamo centrato l’obiettivo al secondo anno di un progetto tutto nuovo, oltretutto con Biaggi che non vinceva da 13 anni. Insomma, sono stati tutti di grande soddisfazione».
Harada, Biaggi, Lorenzo, tre grandi piloti: prova a sceglierne uno.
«Harada era un “tecnico” strepitoso; Lorenzo un talento eccezionale che voleva arrivare a tutti i costi; Biaggi ha fatto cose straordinarie. E’ impossibile sceglierne uno, ho avuto la fortuna di lavorare con grandi campioni».
Invece c’è un pilota con il quale hai lavorato ma non ha vinto secondo le aspettative?
«Proprio all’inizio, ho vinto l’europeo con Massimo Messere (Honda 500 3 cilindri), che però aveva già 23-24 anni: avrebbe potuto fare di più».
Il lato positivo e negativo del tuo lavoro.
«Di lati positivi ce ne sono tanti, così tanti che sono qui ancora adesso dopo oltre 30 anni: so di essere fortunato perché faccio un lavoro che mi piace. E’ comunque molto stressante, negli ultimi anni ancora di più, perché ci sono sempre più prove invernali, test… E meno male che hanno messo una pausa obbligatoria (dall’1 dicembre al 31 gennaio, NDA), altrimenti si proverebbe anche nelle vacanze di Natale. Però sono troppo appassionato, a questo aspetto non penso più di tanto».
Da domani si correrà a Jerez: che pista è?
«E’ uno dei circuiti più belli, tecnici, insieme al Mugello, Brno e pochi altri. E’ un tracciato di quelli tosti, dove il pilota emerge».
Dal punto di vista tecnico cosa serve?
«C’è un po’ di tutto, bisogna essere ben bilanciati: ci sono curve lente, curvoni veloci dove la moto deve essere stabile. Jerez è impegnativo anche per la messa a punto».
Ti ricordi un episodio particolare successo a Jerez?
«Proprio qui ho scoperto il talento di Harada: era uno dei primi tracciati in cui avevamo girato quando era arrivato in Europa e dopo una trentina di giri aveva già fatto il primato della pista».
Marquez è un fenomeno assoluto?
«Penso proprio di sì: uno che vince alla seconda gara in MotoGP può solo essere un grande campione».
Grazie.
«Posso aggiungere una cosa?».
Ovvio.
«Ultimamente si sentono un sacco di critiche a Valentino Rossi, ma lui è uno dei più grandi piloti della storia: mi sembra giusto sottolinearlo».