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E’ un punto di riferimento del paddock, uno di quei personaggi al quale è impossibile non affezionarsi, uno del quale fidarsi a occhi chiusi. Maurizio Vitali, ex pilota, l’uomo dei caschi AGV di Valentino Rossi, è una bravissima persona e un grande appassionato: con lui puoi parlare per ore di gare e piloti, sempre con spunti e valutazioni interessanti.
Nome e Cognome?
«Maurizio Vitali».
Nato il?
«17 marzo 1957 a Savignano, in provincia di Rimini».
La prima gara che hai visto nella tua vita?
«Avevo 13 anni, ho visto in televisione una gara di motomondiale, ma non mi ricordo quale GP. Rammento solo che c’erano Agostini, Pasolini, non come è andata a finire».
E dal vivo?
«Misano, 1974, una gara di campionato italiano juniores».
Poi sei diventato pilota: prima gara?
«Imola, 1975, con una Aletta 125, ex Pazzaglia».
Risultato?
«Si è rotta la moto mentre la scaldavo, prima della partenza: così è iniziata la mia carriera. La seconda gara l’ho fatta a Misano: sono partito a metà gruppo, ma alla seconda curva ero primo, per una serie di cadute. Ho finito attorno al 15esimo posto con la gomma davanti forata, senza che me ne accorgessi».
Non te ne eri accorto?
«Sì. Passando sopra la moto del primo che era scivolato, un raggio si è infilato nella camera d’aria: la moto era un po’ difficile da guidare, era sgonfia davanti…».
Poi come è continuata? Fai una sintesi…
«Ho vinto il Trofeo Aspes (un campionato monomarca molto importante a quell’epoca, dal quale sono usciti ottimi piloti, come, per esempio, Loris Reggiani, NDA) e questo mi ha permesso di ricevere in premio una MBA 125, quindi una vera moto da GP. Già nel 1980 ho disputato qualche gara di mondiale, per poi partecipare a tempo pieno dal 1981. Ho corso fino al 1993, facendo qualche stagione con la Garelli 250 e gli ultimi tre anni con la Gazzaniga 125».
Quante gare hai vinto?
«Solo due. Poi 5 pole, più o meno in 150 gare disputate: non lo sapevo, l’ho letto qualche giorno fa su Wikipedia…».
Rimpianti da pilota?
«Non essere riuscito a vincere con la Garelli: Agrati, il presidente della Garelli, si sarebbe meritato almeno un successo. Purtroppo non eravamo abbastanza competitivi, anche perché era arrivata la Honda con tutta la sua “potenza”, con Freddie Spencer e l’asticella si era alzata: noi eravamo molto veloci, ma avremmo dovuto correre l’anno prima…».
Che lavoro fai adesso?
«Due anni dopo aver smesso di correre, ho iniziato a seguire i piloti del motomondiale per la AGV: faccio assistenza in pista, collaboro sia con il reparto ricerca e sviluppo, sia con il marketing. Sono in giro per il mondo molto più di prima, ma ho avuto la fortuna di poter lavorare con grandi piloti: ho iniziato con Max Biaggi, ho continuato con Valentino Rossi, tanto per citarne due. Quindi il meglio del meglio che c’è stato negli ultimi anni».
Ma cosa fa esattamente uno che fa il tuo lavoro?
«Nei test invernali e nelle prime 3-4 gare del campionato si fa la messa a punto del casco, in modo che il pilota si metta in testa una cosa che non gli dia fastidio in nessun momento. Non deve essere né troppo morbido né troppo duro, deve essere stabile. Poi cerchi di anticipare i problemi, creare soluzioni che non facciano appannare la visiera. Al mattino vado al box dei piloti, prendo i caschi, li preparo e glieli riporto: il pilota non deve pensare al casco, se lo deve trovare già pronto. Metto la visiera che ritengo giusta per il pilota, lo sistemo, lo pulisco».
Quando tu correvi, avevi un Maurizio Vitali per il tuo casco?
«No. Negli ultimi anni della mia carriera iniziavano a vedersi le prime assistenze per i caschi e io che correvo con YES mi appoggiavo alla AGV. Ma, a dir la verità, quasi mi vergognavo a portarlo».
Ma è fondamentale per un pilota avere un Vitali al box?
«Per un pilota è fondamentale non avere distrazioni e pensare solo alla moto, al cambio, all’elettronica che adesso porta via un sacco di tempo e richiede, vedendolo da fuori, un sacco di energia. Il pilota, quindi, non deve pensare all’abbigliamento: se lo deve trovare pronto. A partire dall’asciugamano, fino al casco, la tuta, e qualsiasi altro oggetto».
Da quando correvi tu, è cambiato di più il motomondiale o il casco?
«I caschi sono cambiati tantissimo, anche negli ultimi due anni: il casco che usavo io una volta non c’entra niente con quelli di adesso, sembra un altro oggetto. Visiera, materiali, sicurezza: tutto è diverso, a cominciare dai sistemi di aereazione: una volta, quando si appannava, alzavi la visiera e prendevi un po’ di aria. Adesso, con la MotoGP, è impensabile lasciare il manubrio con una mano per alzare la visiera: devi evitare che succeda. Le visiere sono più spesse, più sicure: adesso, difficilmente vedi un pilota perdere la visiera quando cade».
E il motomondiale quanto è cambiato?
«Quando ho iniziato era molto più artigianale: caricavi la moto dentro al furgone, trovavi un amico che ti accompagnasse – e lo trovavi sempre -, disputavi il mondiale, riuscendo anche a ottenere dei risultati. Facendo così, io ho conquistato dei podi. Adesso, naturalmente, è impensabile: tutto deve essere organizzato e costa di più. Ma, sinceramente, io credo che sia meglio adesso, anche se per gli appassionati, che faticano a entrare nel paddock, può essere fastidioso non potersi muovere come prima, ci vuole un pass per fare qualsiasi cosa, anche per noi addetti ai lavori. A parte questo, però, la situazione mi sembra migliorata, anche se i piloti non dovrebbero pagare per fare il mondiale: dovrebbe esserci una organizzazione tale che ogni pilota, in base ai risultati ottenuti, dovrebbe avere dei diritti».
Tra l’altro, tuo figlio Luca, corre in moto: a differenza del passato, deve trovare i soldi per poter fare il pilota?
«Anche prima li dovevi trovare, ma ai miei tempi, se dimostravi di poter vincere o essere nei primi tre del campionato italiano, entravi in una lista di merito. Così facendo hai un diritto e anche una forza, perché una squadra del motomondiale prende un pilota di quella lista, non uno qualunque. Anche ai miei tempi dovevi trovare i soldi, anche se ne servivano meno e, quindi, era un po’ più facile, ma i risultati mi hanno permesso di arrivare fino al mondiale in una squadra ufficiale. Adesso il pilota non conta niente: o sei Valentino Rossi o uno dei 3-4 più forti, o hai poco valore: questo è un punto debole dell’organizzazione attuale».
Com’è lavorare con Valentino Rossi? Bello, brutto, faticoso, stressante, entusiasmante, gratificante?
«E’ solo entusiasmante! Oltre alla sua storia, della quale, in piccola parte sono partecipe, è molto facile lavorare con Valentino, perché come tutti i piloti di un certo livello, sa esattamente quello che gli serve e non si inventa dei problemi che non esistono. E’ molto focalizzato sulla realtà e ti chiede solo cose specifiche: lui, come gli altri campioni, è molto pignolo e preciso nelle sue esigenze. E’ talmente chiaro in quello che ti chiede, che puoi sbagliare una volta, non di più».
C’è ancora qualcosa che ti stupisce di Valentino dopo quasi 20 anni di collaborazione?
«La sua precisione di analisi quando scende dalla moto, il modo con cui parla con la squadra, come riesce ad analizzare tutti i problemi che ha. Poi la sua grande sicurezza, anche dopo due anni difficilissimi come quelli in Ducati: l’80% dei piloti sarebbe stato abbattuto. Lui è molto sicuro di sé, sa qual è la sua forza e quella degli avversari, del quale ha rispetto assoluto: per lui non è certo scontato stare davanti agli altri piloti, lavora per farlo. Ha un talento immenso, ma lavora come uno che non ce l’ha, sia fisicamente sia tecnicamente».
L’aspetto più bello e più brutto del tuo lavoro.
«Il più brutto è quando piove, temi sempre che la visiera abbia un problema: sono al box e sono più in tensione del pilota. E’ una responsabilità molto grande, la sento proprio».
Quello della visiera appannata è quindi ancora un limite anche nei caschi moderni?
«Sì, ogni tanto capita. Non è una scienza esatta, dove 1+1 fa sempre 2: non sei mai sicuro al 100%. L’anno scorso, poi, con un casco nuovo, non ancora perfettamente a punto, abbiamo avuto qualche problemino, mentre nel 2013, al momento, tutto ha funzionato bene. Ma la tensione c’è sempre».
E l’aspetto positivo?
«Per me è bello essere in questo ambiente».
Domenica si corre in Qatar, di notte: che GP è?
«Quando mi hanno comunicato che in Qatar si sarebbe corso di notte, mi sono detto: perché, cosa serve? Invece è bellissimo, c’è una atmosfera particolare, anche nel box. Durante il giorno ti sembra di non fare nulla, in realtà rubi solo tempo al sonno, perché di notte stai sveglio fino a tardi. Già girare nel paddock con le luci artificiali dà un gusto particolare; poi, quando vai nella pit lane e vedi arrivare le moto, alle quali qualche pilota aggiunge dei colori particolari visibili di notte, è bellissimo. L’atmosfera è molto interessante, speciale».
Ma correre di notte cambia qualcosa per la preparazione del casco?
«No. Qualcuno preferisce una visiera chiara, altri quella intermedia per via dei riflessi, a seconda se ha gli occhi chiari o no, ma non ci sono problemi particolari. In più in Qatar non si corre sul bagnato, quindi sono più tranquillo».
E’ un lavoro che consiglieresti a un ragazzo?
«Sì, assolutamente. Ti fai tanta esperienza, giri il mondo».