Il miglior Valentino secondo Nico Cereghini

Il Valentino della 125 è quello a cui sono più affezionato. Lo ricordano in pochi, e per questo mi piace raccontare cosa rappresentò. Oggi compie 40 anni, eppure resta ancora protagonista della MotoGP
15 febbraio 2019

Auguroni Valentino! (guarda il video di auguri) Quarant’anni non sono pochi, per uno sportivo, ma quello che più mi impressiona sono i ventitrè anni di mondiale e il ventiquattresimo alle porte (leggi i momenti più emozionanti scelti dalla redazione). Rossi è un patrimonio dell’umanità, e il Valentino a cui sono più affezionato è quello degli esordi, quando la sua guida irriverente e tutta quella leggerezza entrarono nelle nostre case attraverso la tivù. Era facile raccogliere consensi unanimi, allora, e a maggior ragione per quel ragazzino terribile che spuntò a sorpresa nel mondiale delle 125 e fece subito capire di essere speciale. Sveglio, tanta voglia di correre con qualsiasi mezzo a motore dall’Ape in su, il piccolo Valentino aveva cominciato a far sul serio a quattordici anni, saltando sulla Cagiva 125 del team modenese di Lusuardi, ex-pilota e vecchio amico di babbo Graziano. Veloce, spesso anche troppo, il primo anno aveva collezionato soprattutto cadute, inaugurando così un modello che avrebbe seguito per anni, la prima stagione all’insegna della pura esagerazione, botte sull’asfalto e carenature a brandelli, la seconda per vincere. Fece così in Sport Production, vincendo il titolo italiano 125 nel ’94; replicherà il suo schema nel mondiale 125, poi in quello 250 e ci proverà persino in 500, pur sbagliando e cadendo meno nel primo anno perché la 500, si sa, ha sempre fatto un po’ paura.


Dalla minimoto alle gare nazionali con la Cagiva Mito, sulle piste vere, è un bel salto; ma per lui deve essere stato un passaggio chiave grazie a due maestri speciali: Graziano Rossi e Claudio Lusuardi sapevano benissimo come mettere insieme il divertimento e l’impegno. Vale se la godeva e quasi senza accorgersene diventò un professionista: nel ’95 era già il campione italiano della  classe 125 con l’Aprilia da GP e terzo nell’europeo. Ormai pronto per allinearsi nel campionato del mondo, aveva proseguito con il team AGV di Giampiero Sacchi e l’assistenza tecnica di Mauro Noccioli.


Malesia, Indonesia, Giappone. Mica facile partire nel ’96 da piste mai viste e così difficili. Tuttavia Rossi si mise subito in mostra e già nella prima gara europea, a Jerez, lo vedemmo uscire davanti a tutti dall’ultima curva, testa bassa dentro il cupolino con quattro avversari attaccati al codone. Nella volata fu quarto, va bene, ma a metà stagione era già sul suo primo podio in Austria, e nella gara dopo ecco la pole e la vittoria. Brno, 18 agosto, la prima non si scorda mai. Per noi appassionati lui era quello che si inventava le traiettorie, che girava sui cordoli e spesso anche oltre, che non temeva nessuno;  per il suo capotecnico Mauro Noccioli, però, Valentino era anche estroverso e indisciplinato, difficile da domare. Del resto –ammetteva il tecnico toscano- come sono tutti i campioni di razza. Una vittoria, troppa voglia, tanti errori, alla fine fu nono nella classifica generale.


Oggi fa effetto: le vittorie della sua seconda stagione furono addirittura undici. Su quindici gare. Calibrato il polso sul gas, tenuta a bada in qualche modo quell’irruenza esagerata, Valentino conquistò  il primo titolo nella 125 del ’97. Con la pole e la vittoria fin dalla prima gara, i colori del team Nastro Azzurro , la RS 125 Aprilia, sempre Noccioli riferimento nel box. Dopo questo assoluto dominio arrivò la decisione di passare subito sulla 250. Di quell’anno le prime famose scenette: il travestimento da Robin Hood dopo la vittoria di Donington, la bambola gonfiabile del Mugello.

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Del biennio con la Aprilia 250, questa volta con il team interno ufficiale e Rossano Brazzi, sono da rivedere tante immagini: le cadute nelle prime due gare della stagione ’98 e poi tanti altri voli, ma anche le cinque vittorie, altri quattro podi, il secondo posto finale dietro a Capirex (ricordate che scintille con Harada?). In Aprilia si fece tesoro di quella stagione così complicata: dalle tre punte si passò per l’anno dopo al solo Rossi, che con nove vittorie, due secondi posti, un terzo e cinque pole si prese il secondo titolo personale. Sempre più fantasioso nella preparazione delle scenette, certo; ma lo sapevate che dopo la vittoria di Jerez, quando si infilò di corsa nel finto WC, prese cinque milioni di multa dalla Dorna?


So come nacque la rivalità con  Max Biaggi, ma non so dire esattamente perché. Forse Valentino cercava fin dall’inizio della carriera un riferimento forte per battersi con furore agonistico, forse non fu nemmeno una scelta consapevole, e d’altra parte il romano era la controparte –o sarebbe meglio dire il bersaglio-  ideale: atipico nella storia della moto, gran culto dell’immagine, sfrontato nelle parole e nei fatti. Fu una cosa inedita, perché avevamo già visto dualismi accesi nei confronti diretti, ma qui uno correva in 125 e l’altro dominava in 250. Di sicuro, fu Rossi a provocare l’altro e non viceversa: Max a Valentino neanche pensava, vinceva i titoli in duemmezzo prima con l’Aprilia e poi con la Honda, inseguiva la popolarità, era spesso in televisione. Valentino cominciò a punzecchiare Max in una intervista; non era ancora il Dottore, era semplicemente “Rossifumi” in omaggio al forte giapponese Norifumi Abe, e a chi gli aveva domandato se si sentisse il Biaggi della 125 aveva risposto che semmai era Biaggi che avrebbe dovuto sentirsi il Rossi della 250. Pare che alla vigilia della prima gara del ’97, a Suzuka, il romano abbia affrontato Vale a muso duro nel ristorante del circuito, davanti a tutti, invitandolo a sciacquarsi la bocca prima di nominarlo. Da quel momento fu guerra aperta, guerra fredda, e in ogni occasione possibile i due si provocarono a parole. E dalle parole fu ancora Rossi a passare ai fatti. L’occasione fu obiettivamente ghiotta: un rotocalco pubblicò una serie di scatti di Max e della top model Naomi Campbell sorpresi in aeroporto come se stessero partendo insieme, costruendo addirittura un fidanzamento. E così al Mugello, vinta la gara mondiale, Rossi caricò sulla moto la bambola gonfiabile Claudia “Schiffer” per il giro d’onore. Fu una provocazione spiritosa però del tutto gratuita, Vale non aveva ancora vinto un titolo mondiale e Biaggi ne aveva già conquistati quattro. Bisogna dire che il pubblico gradiva moltissimo il campione/ragazzino, si entusiasmava per quella guida irriverente, le sue traiettorie innovative, i suoi lunghi monoruota e le vittorie. Valentino Rossi era nuovo in tutto e così anche lo sfottò nei confronti di Biaggi, che sembrava divertire così tanto il biondino e la sua cerchia, passò come una simpatica innovazione. Naturalmente Max non gradì e meditò vendetta.


Non fu certamente fortunato, Biaggi. Quando Rossi, conquistato il titolo mondiale della 250, decise per il 2000 il grande passo verso la 500 (con la Honda ufficiale e Jeremy Burgess), il romano liquidò la faccenda con parole lapidarie: “Se davvero viene in 500 dovrà smettere di giocare”. Non sarebbe andata proprio così e molto presto il rookie avrebbe messo le ruote della sua Honda davanti a quelle della Yamaha del veterano. Nella prima gara a Welkom Rossi stabilì il giro più veloce prima di cadere, nella terza conquistava i primi punti, nella quarta era già sul podio e replicava nella gara successiva. Si arrivò al Mugello con Rossi sempre più convinto e Biaggi caricato a mille, reduce da due pole consecutive ma indietro in classifica. La battaglia fu epica, Biaggi Rossi e Capirossi gomito a gomito, sorpassi a ripetizione nella loro prima e grande sfida diretta. Fino a che Valentino cadde al Correntaio a quattro giri dal termine, Biaggi volò via poco dopo alla Scarperia, e così vinse Capirex, primo pilota italiano nella storia della 500 al Mugello. Soltanto una volta, quell’anno, avremmo assistito a uno spettacolo così speciale: nell’ultima gara a Phllip Island, GP d’Australia, e questa volta a vincere di misura –dopo una corsa memorabile- fu proprio Max, con 182 millesimi di vantaggio su Capirossi e 288 su Rossi.


Ma già dal il Mugello fu chiaro che Valentino si sarebbe giocato la vittoria ogni domenica anche in 500. E nella nona gara dell’anno, a Donington Park il 9 luglio 2000, ecco l’impresa indimenticabile: quarto in griglia, partito male e finito  tredicesimo, il Dottore si espresse in una rimonta pazzesca fino a raggiungere la coppia Roberts-McWilliams, li passò e vinse, entrando così nel ristretto club dei vincitori nelle tre classi odierne del mondiale, insieme a piloti come Hailwood, Read, Redman, Cadalora e Capirossi. Ormai Rossi era un vincente, nelle ultime sette prove della stagione conquisterà anche il GP del Brasile, otterrà tre secondi posti e due terzi, finirà secondo in classifica dietro a Roberts con la Suzuki e davanti a Biaggi. E sono in tanti a pensare che forse, con un avvio migliore e maggiore convinzione, avrebbe potuto laurearsi campione del mondo già nel 2000. Ma non avrebbe dovuto aspettare così tanto: dodici mesi dopo si portava a casa il primo dei suoi titoli nella top class. Ancora davanti a Max Biaggi.

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