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Che numero avrà Joan Mir nel 2021 sulla sua Suzuki? Manterrà il 36, il suo numero personale, come hanno fatto Valentino e Marquez prima di lui, o passerà al numero 1 come vorrebbe la Suzuki? Lui ci sta pensando: da una parte è affezionato al suo 36 col quale ha già vinto due titoli mondiali, e dall’altra si sentirebbe lusingato dalla possibilità di evidenziare il primato 2020 e così accontentare anche la Suzuki.
Joan è nato nel settembre ’97, e nello spicchio di storia motociclistica che ha vissuto personalmente ha visto pochi piloti immersi in questo dilemma. Ha visto che qualcuno è rimasto al suo portafortuna, come Valentino che ha sempre voluto mantenere il 46 di babbo Graziano, o come Marc Marquez che non ha rinunciato al suo 93. Ha visto però anche due piloti lasciare il proprio numero del cuore: Nicky Hayden che è passato all’1 dopo il titolo conquistato nel 2006 con la Honda numero 69 e Casey Stoner, che sia nel 2008 sia nel 2012 ha apposto l’1 sulle carenature di Ducati e Honda invece del suo caratteristico 27. E infine c’è stato il caso particolare di Jorge Lorenzo che è passato a un numero Uno personalizzato solo dopo il primo dei suoi tre titoli in MotoGP: la cifra 1 formata dalle iniziali JL.
Ma la scelta del numero è stata spesso complicata e controversa, nella nostra storia. Il primo pilota che ha ribaltato le convenzioni, ha rinunciato all’1 del campione e ha deciso di mantenere il suo numero a vita non poteva che essere Barry Sheene. L’indimenticabile campione britannico, classe 1950, è scomparso a soli 52 anni ormai diciotto anni fa, e sembra ieri. Brillante ed estroso, due volte campione del mondo della classe 500 con la Suzuki (‘76 e ‘77), Barry è stato tra i primi in tante cose: a indossare le tute colorate, ad impiegare regolarmente il paraschiena, ad usare il casco integrale e a boicottare il TT quando l’isola di Man era ancora nel calendario del campionato.
Il suo numero 7, e il paperino sul frontale del casco, sono stati i suoi simboli distintivi dagli esordi del ’68 nel campionato nazionale fino all’ultimo GP della stagione 1984. Il “baronetto di Sua Maestà” era un personaggio vivace, l’unico inglese che io abbia conosciuto capace di parlare facilmente l’italiano come lo spagnolo.
E poi c’è naturalmente il caso Schwantz. Nella memoria collettiva il texano è abbinato soltanto al suo celeberrimo 34, ma quando vinse il titolo della 500 nel ’93 con la Suzuki, cedette alle lusinghe della casa giapponese e per una stagione corse con il numero 1. Come probabilmente, alla fine, farà anche Joan Mir. Però va detto che a Schwantz il cambiamento non portò molta fortuna: vinse soltanto due GP, nella stagione 1994, che concluse al quarto posto dietro a Mick Doohan sulla Honda, a Luca Cadalora (Yamaha) e a Kocinski con la Cagiva. Nel ’95 il ritiro.
Il numero fisso, personale oppure corrispondente al piazzamento nel mondiale, è comunque una conquista recente. Fino agli anni Ottanta l’attribuzione del numero era il più delle volte casuale sia nelle gare internazionali sia in quelle nazionali. Decideva l’organizzatore della corsa quando compilava la lista dei partenti. Qui da noi il primo tentativo di mettere ordine risale al 1976, e ricordo che nel campionato italiano avevo il numero 160 della classe 500, mentre Marco Lucchinelli aveva il 182 e Virginio Ferrari il 164.
Giacomo Agostini, invece, otteneva sempre il numero 1 e questa era una delle cose che ce lo rendeva antipatico. Il re e la plebe, l’ammiraglio e la ciurma, una cosa così. La faccenda dava molto fastidio anche al suo eterno rivale Phil Read. Dopo i sette titoli consecutivi in 500, dal ’66 fino al 1972, Mino dovette cedere all’inglese nel biennio successivo, ma molti organizzatori continuavano imperterriti ad attribuirgli il numero uno.
Quando si arrivò al Castellet, per la prima prova del mondiale 1975, Read si ribellò all’usanza e a muso duro pretese di avere l’1: era lui il campione 1974, e pure quello del 1973. Gli organizzatori gli risposero picche, non so se per cocciutaggine o dopo aver chiesto il permesso della Yamaha e di Ago, e allora Phil chiese ai meccanici MV di preparargli il numero “zero”: la cifra -disse- che viene prima dell’uno. E con quello zero corse il GP di Francia, per la cronaca terzo classificato in 500 dietro ad Agostini e al compagno Kanaya.