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Ossa, radiografie fake, sale chirurgiche, flessioni, radiografie vere, placche, viti. Da quando, alle 14.37 del 19 luglio, gli spettatori in mondovisione della prima gara MotoGP dell'anno hanno visto quel braccio penzolare, è cominciata una litania di ipotesi su che ne sarebbe stato il campionato senza Marc Marquez. Inevitabile tanto quanto insopportabile.
Da lì in poi tutti ortopedici, fisioterapisti, a bocca aperta e con il cappello in mano per quel ritorno in tempo record che non si era mai visto nella storia dello sport. Dopodiché la fase dei grandi giudizi sulle decisioni altrui. Per finire con il magic moment della dietrologia.
Tutto questo ha riguardato, almeno un po', anche noi, come negarlo, tranne che per il fatto prettamente medico che di certo ci ha incuriosito mica poco ma che, fin da subito, abbiamo deciso di affidare a chi ne sa, compatibilmente con il fatto che le informazioni disponibili erano comunque soltanto quelle filtrate da inquadrature e fotogrammi.
Lo abbiamo fatto, a caldissimo, qui. E ci siamo ritornati anche qui e qui. Per poi aspettare che a parlare fossero i fatti e i riscontri ufficiali.
Questa mattina, come abbiamo invece raccontato qui, un fatto, decisivo, è accaduto: sui social, pagina Instagram di MM93, sotto forma della radiografia del dopo intervento.
Non potevamo non chiudere il cerchio e siamo tornati da dove eravamo partiti, domandando cioè all'ortopedico che ci aveva fornito un primo punto di vista sull'incidente, un'altra opinione, questa volta a freddo, con la foto quei raggi X alla mano.
Ci ha risposto, con una premessa: “Il mio è un discorso generale, poiché ogni sala operatoria è una storia a sé stante e soltanto chi opera e chi gli sta intorno sa che cosa è meglio fare per il paziente in ogni secondo dell'intervento”. Così il Dottor Matteo Lombardi (che, lo ripetiamo, è soltanto omonimo di chi scrive, nda), chirurgo ortopedico ad altissima specialità sui traumi maggiori, traumatologia del bacino, del gomito e della chirurgia vertebrale all'Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure (SV) che di fratture collegate agli incidenti in moto ha una lunga e fitta esperienza (motociclisti e ciclisti sono, purtroppo, tra i suoi pazienti più numerosi e frequenti), così come ha già avuto a che fare con i piloti (tra le altre cose è stato nell'equipe che ha riattaccato la mano a Robert Kubica, nel 2011).
Una placca, ma soprattutto tante viti conficcate in quell'osso...
Sì, si tratta di una sintesi molto rigida. Che, come tale, comporta un certo rischio di tipo biomeccanico.
Cioè?
Se consideriamo che per saldarsi completamente può metterci anche due o tre mesi, sotto quella piastra - che viene applicata da una sola parte - l'osso è ancora tenero. Questo comporta che, altrove, la frattura un minimo si muove. Si tratta delle cosiddette microvibrazioni biomeccaniche, movimenti innocui per una persona che svolge una vita normale, ma non nel caso di un pilota, dove le sollecitazioni legate alla guida estrema in circuito, soprattutto nella fase della staccata, possono generare un'instabilità generale dell'osso che può portare alla rottura della placca stessa.
Ma se per saldarsi, una frattura ci mette diverse settimane, significa che, dopo soli cinque giorni, quell'osso non era proprio in condizione di sopportare il carico di una moto da centinaia di cavalli...
Sono certo che chi ha operato ha dato al pilota tutte le informazioni sulla tipologia di intervento e sui suoi esiti, oltre che le indicazioni sui comportamenti da adottare una volta uscito dall'ospedale, secondo i protocolli e la propria coscienza. Ma, in definitiva, le decisioni ultime spettano sempre al solo e unico responsabile della propria salute.
Tuttavia ammeto di trovare bizzarro che, con una placca così, che tra l'altro da quel che posso vedere in foto mi pare da 35 mm, quindi più piccola rispetto alla misura standard che si usa per l'omero (da 45 mm, nda), quel ragazzo sia risalito in moto dopo neppure una settimana.
Ma ha visto quante flessioni è riuscito a fare?
Un conto è il carico che una muscolatura da atleta può supportare durante delle flessioni, distribuendo peraltro il carico più su un braccio che sull'altro, un altro è frenare dai 300 ai 90 all'ora e poi piegare a quella velocità diverse decine di chili per farle percorrere la curva.
Si sarebbe potuto intervenire in modo diverso?
Sulla carta sì. Placca e viti sarebbero state la soluzione migliore per un paziente “comune” che può permettersi di stare fermo per tutto il tempo necessario al saldarsi dell'osso, ma per un pilota che - comprensibilmente - vuole tornare in sella il più presto possibile, l'inserimento di un chiudo endomidollare che va a stabilizzare l'osso da dentro, sarebbe stata la strada in grado di garantire una maggiore tenuta, anche - e soprattutto - nella malaugurata ipotesi di una caduta.
E allora perché la piastra?
Da quanto mi risulta, la spalla destra di Marquez è già stata “martoriata” per via di altri infortuni e recenti interventi. Pertanto, poiché l'accesso per l'inserimento del chiodo si ricava da lì, evidentemente il chirurgo ha scartato l'ipotesi per evitare di comprometterla ulteriormente o comunque stressarla.
Posso anche ipotizzare che alla base della decisione ci sia stata anche la volontà di esplorare il nervo radiale per verificare con certezza che nonvi fossero lesioni. Per questo tipo di operazione, infatti, è necessario aprire e arrivare a scoprire totalmente l’omero, e quindi a quel punto conviene procedere con l’applicazione della placca.