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Quando uno arriva al mondiale a quindici anni e tutti lo considerano già un fenomeno in fieri nonostante non abbia ancora vinto praticamente nulla sai di essere davanti a un personaggio speciale. Ma difficilmente poteva essere altrimenti perché uno che nel 2004, a undici anni, finisce secondo nel campionato catalano velocità dopo essersi fatto le ossa sulle minimoto e poi nel cross, qualcosa più degli altri lo deve avere. Noi lo abbiamo imparato a conoscere nel 2008, quando esordisce su una KTM 125 privata; il bilancio della stagione non è fenomenale, perché annovera un podio in Gran Bretagna e tante facciate, ma il manico c’è tanto che a Mattighofen se lo accaparrano subito nel team interno.
Va un po’ meglio ma non di molto: a due pole position segue di nuovo solo un podio, perché Marc è veloce ma sbaglia tanto; ci vuole il passaggio alla Derbi, nel 2010, perché inizi a concretizzare. Due podi ad inizio stagione, poi dal Mugello inizia a vincere e non la smette più. Dieci volte sale sul gradino più alto del podio, due volte è terzo, e se anche sbaglia per altre quattro volte (spesso all’ultimo giro) non è certo una tragedia, tanto che alla fine arriva il primo titolo iridato.
Il passaggio alla Moto2 è praticamente scontato. Già forte dell’appoggio di Repsol, che lo inserisce nel team CatalunyaCaixa in sella ad una Suter, inizia come ci si aspetta da lui: con tre cadute e una lunga striscia di vittorie e podi intervallate da altrettanti errori, spesso per contatti con gli avversari. Genio e sregolatezza, va tanto forte da far nascere in molti il dubbio – infondato – che nonostante il regolamento monomarca il suo motore abbia qualcosa più degli altri. Arriva alla trasferta sud-pacifica di fine stagione in lotta per il Mondiale con Stefan Bradl, ma nelle libere del GP della Malesia cade per l’ennesima volta – per colpa di una pozza d’acqua non segnalata che tradisce altri due piloti – e una banale scivolata gli rovina la stagione: la diagnosi parla di commozione cerebrale. Marc non prende il via della gara di Valencia, vittima di forti problemi di sdoppiamento della vista.
Quell’inverno salta praticamente tutti i test invernali per sottoporsi a terapie, e arriva all’inizio della stagione 2012 ancora pieno di dubbi: a metà febbraio non sa ancora se potrà correre la prima gara, in Qatar. I dubbi si dissolvono come neve al sole proprio a Losail, dove nonostante la sua situazione sia aggravata dall’illuminazione artificiale conquista la vittoria. Replica in Portogallo, Olanda, Germania, Indianapolis, Brno e Misano. A Motegi sbalordisce: parte dalla seconda posizione, ma sbaglia platealmente la partenza trovando la folle invece della prima al momento del verde. In una manciata di giri da videogioco rimonta e va a vincere, e a Phillip Island gli basta un terzo posto per conquistare il titolo. A Valencia, nonostante una penalizzazione per un contatto con Simone Corsi in prova, parte dal fondo dello schieramento e torna sul gradino più alto del podio.
Il ritiro di Stoner, nel frattempo, gli ha liberato un posto nel team interno Honda Repsol. Il regolamento non gli permetterebbe di esordire in un team ufficiale, ma un po’ perché la regola ha fatto più danni che altro, un po’ perché Marquez è uno speciale, con un colpo di mano si abolisce la Rookie Rule e la sella più ambita del Mondiale è sua. Già dai test di Valencia all’indomani di fine stagione 2012 Marc va fortissimo, e alla riapertura delle ostilità in Malesia il distacco dal leader diminuisce appuntamento dopo appuntamento. L’atmosfera idilliaca che regna nel team Repsol nelle occasioni promozionali è destinata ad avere vita breve.
Ad Austin conquista pole e vittoria, e a 20 anni e 60 giorni diventa il più giovane vincitore della storia nella massima categoria.
In Qatar arriva terzo dopo essere stato il più veloce delle libere, battuto sul finale dal Rossi dei giorni migliori, e già alla sua seconda gara in MotoGP – ad Austin, dove era già stato il più veloce nei test pregara – conquista pole e vittoria. A 20 anni e 60 giorni diventa il più giovane vincitore della storia nella massima categoria; a chi gli parla di titolo iridato sorride – come sempre, del resto – e risponde di non pensarci, di avere ancora bisogno di imparare e di volersi solo divertire il più possibile. Balle, come dimostra nella gara successiva.
A Jerez Jorge Lorenzo si salva dall’infarto solo perché non vede cosa sta facendo Marquez dietro di lui, che ad ogni giro affonda la staccata alla Dry Sack e alla Nieto, a volte sfiorandolo di pochi millimetri. Lo sente invece molto bene alla Ducados, l’ultima curva già teatro del contatto fra Rossi e Gibernau nel 2005, dove Marquez replica l’ingresso coltello fra i denti di quello che già in passato ha citato come suo idolo. Lorenzo, che si vede Marc voltare la curva usandolo come sponda, non la prende per niente bene ed iniziano le inevitabili polemiche per lo stile di guida troppo aggressivo di Marquez, che ha cambiato categoria ma non certo la propensione ad entrare sugli avversari senza timori, reverenziali o meno che siano.
In Francia un'altra dimostrazione di genio: in qualifica Marquez stacca la pole, ma domenica inizia a piovere. Marc non ha mai guidato la MotoGP sul bagnato, e nei primi giri sembra in forte difficoltà. Affonda nelle retrovie, poi qualcosa scatta nella sua mente e dà vita ad una rimonta spaventosa. All’ultimo giro infila Dovizioso e sale sul podio, dove sorride con la stessa naturalezza di chi si è appena fatto una doccia fresca dopo una giornata in spiaggia. Al Mugello sbalordisce di nuovo: in prova perde il controllo della sua Honda a oltre 300 all’ora, alla staccata della San Donato, e incassa una botta che lo lascia con la mascella ammaccata e in stato confusionale. Non solo torna in sella, ma la domenica rischia di andare a podio: rimonta dopo un inizio di gara poco convincente, passa Pedrosa e lo lascia lì solo per poi stendersi e gettare via venti punti. Poco male, perché il ragazzo impara molto in fretta. Fin troppo, per i gusti di Pedrosa che nel dopogara si lamenta di un'eccessiva condivisione dei dati degli assetti.
Al Catalunya infatti è di nuovo in pole, ma in gara teoricamente non dovrebbe avere il passo per stare con gli altri. Nella pratica invece trova da qualche parte quel secondo che incassava dal compagno di team e fila come un assassino a mordergli le calcagna. Alla fine chiude terzo, dopo un contatto evitato d’un soffio con un ignaro Pedrosa a due giri dalla fine che prefigura il futuro dei due compagni di squadra. In Olanda chiude secondo dietro a Rossi che torna alla vittoria, ma davanti a tutti gli altri. C’è il trucco, perché Pedrosa è a mezzo servizio e Lorenzo è un eroe viste le condizioni in cui corre, resta che Marquez - zitto zitto - si prepara a prendere il metaforico fugone in classifica generale.
In Germania Marquez inizia a vincere e non smette per ben quattro gare: dal Sachsenring a Brno, passando per le trasferte statunitensi di Laguna Seca e Indianapolis, Marc incassa due pole e quattro vittorie. Lasciando nel contempo nella storia del motociclismo anche un simbolico sorpasso al Cavatappi su Rossi che replica, sia pure con modalità leggermente diverse, quello con cui Valentino aveva piegato Stoner nel 2008. Ormai la classifica gli sorride, complice l’errore di Lorenzo che si infortuna nuovamente al Sachsenring dando addio alle speranze iridate.
A Silverstone arriva un altro capolavoro: Marquez è in pole, ma nel warm-up cade malamente lussandosi la spalla. Sembra che non debba nemmeno prendere il via, poi invece non solo corre, ma si gioca la vittoria con un finale all’arma bianca contro il miglior Lorenzo. Alla fine Jorge, che ricorda bene il finale di Jerez, ha la meglio ma un secondo posto in queste condizioni è un risultato che spara in orbita la confidenza di Marquez.
A Misano Marc è meno incisivo del solito. In qualifica conquista la pole, ma nel warm-up cade e in gara fatica a serbatoio pieno. Commette qualche errore di troppo nella prima metà della corsa poi, come ormai da copione, inizia a forzare il ritmo e fulmina Pedrosa insediandosi al secondo posto. Dani tollera sempre peggio le prestazioni del compagno di team, e non nasconde il malumore per un Mondiale che sente sfuggirgli dalle mani.
Ad Aragon avviene il fattaccio: Pedrosa sta andando a prendere Lorenzo, ha la possibilità di vincere ma Marquez non sembra avere la minima intenzione di lasciarlo andare via. Il duello fra i due sfocia nell’ennesima staccata avventata di Marquez, che pur facendo l’impossibile per evitarlo tocca Pedrosa tranciandogli il cavo del controllo di trazione.
Dani finisce sbalzato a terra, perdendo la gara e le (scarse, a dire il vero) possibilità di giocarsi il titolo. Il malumore di Pedrosa si trasforma in aperta ostilità verso Marquez, e gli strascichi del dopogara non fanno che alimentare la rivalità.
In Malesia, a Sepang, Marquez è di nuovo in pole ma in gara Lorenzo è determinato a non cedere nulla. Così, mentre Pedrosa si invola verso la vittoria, Marc dà vita con Jorge ad un duello di grande spessore, che sistema in parte il conto aperto a Jerez. Entrambi ne escono soddisfatti e a modo loro vincitori, ma il leader della classifica è oramai lanciato verso la conquista di quel titolo che a Phillip Island sembra alla sua portata, ma l'incredibile pasticcio combinato fra box e muretto gli frutta una squalifica che lo costringe a giocare una seconda match ball a Motegi dove, per conquistare il titolo, deve allungare il suo vantaggio di sette punti - di fatto, vincere ed interporre qualcuno fra sé e Lorenzo senza poter però contare sull'aiuto del compagno di squadra Dani Pedrosa, con il quale la rivalità è da tempo sfociata in aperta ostilità. La tensione inizia a farsi sentire.
Anche nel GP del Giappone le cose non girano per il verso giusto: condizioni atmosferiche infernali accorciano il weekend di gara riducendo le prove a sole due sessioni. Marquez, che a Motegi non ha mai girato in sella ad una MotoGP, soffre un po' la situazione dovendo accorciare il suo apprendistato. Alla fine però il vero fattore destabilizzante si rivela Lorenzo, che smentisce tutti i pronostici andando a vincere su un circuito ritenuto nettamente favorevole alla Honda. Marquez incassa una seconda posizione che fa comunque cassa: il suo vantaggio si riduce a 13 punti, lasciandolo con un certo margine di vantaggio da giocarsi nell'ultima gara.
Marc Marquez diventa a Valencia il primo debuttante dai tempi di Roberts – 1978 – ad aggiudicarsi il titolo della classe regina. E con i suoi 20 anni e 266 giorni diventa allo stesso tempo il più giovane iridato nella massima cilindrata.
Il 2014 inizia con un dominio totale da parte di Marquez, che azzecca un'infilata di dieci vittorie consecutive. Una serie vincente che fa pensare agli addetti ai lavori che Marc possa fare un clamoroso en plein. Marquez non raccoglie ma un po' di crede anche lui, perché tutti gli sforzi degli avversari sembrano irrimediabilmente vani: in Qatar è Rossi ad impegnarlo, al Mugello Lorenzo sembra in grado di strappargli la vittoria, ma il Campione del Mondo riesce sempre a prevalere. Una superiorità che scatena ogni genere di illazione, soprattutto su vantaggi tecnici della sua moto, tutte puntualmente smentite quando appare evidente che è lui, Marc Marquez, il fattore X che fa la differenza.
Marquez vince con ogni tipo di condotta di gara: dal duello tirato fino all'ultimo giro fino alle corse in rimonta o quelle in fuga. Forte di una condizione psicologica sempre migliore, lo spagnolo sembra giocare con gli avversari - in diversi arrivano a pensare che Marc giochi a carte coperte, e che nessuno fino a questo momento lo abbia costretto a dare il massimo. Marquez nega, sostenendo anzi di essere sempre più impegnato dagli avversari, ma nessuno gli crede più di tanto perché in effetti, fino ad Indianapolis, il Campione del Mondo è un vero e proprio schiacciasassi.
Ironia della sorte, la sua imbattibilità cade a Brno ad opera di Dani Pedrosa. Fino ad allora il meno incisivo fra i suoi avversari , è lui ad interrompere la sua serie di vittorie e a tagliare il traguardo davanti a Lorenzo e Rossi. Marquez incappa in un'incredibile giornata no che lo relega al quarto posto. Marquez è umano, si può battere. La riscossa di Silverstone cede il passo alla sconfitta - con caduta, la prima in gara dal Mugello 2013 - ad opera di Rossi a Misano, mentre ad Aragon tocca a Lorenzo vincere grazie all'errore strategico del team Honda. Marquez sembra soffrire, ma la crisi è solo passeggera.
A Motegi la pressione è alta: Honda vuole la vittoria sulla pista di casa, ma la RCV non sembra particolarmente a suo agio sul tracciato giapponese. Al contrario, Ducati e Yamaha in prova sembrano volare e Marquez si perde un po' in qualifica, mostrando un po' le stesse difficoltà viste a Misano. Stavolta però tutto va come deve andare nei piani del team HRC, e Marquez controllando Rossi e Pedrosa agguanta un secondo posto dietro a Lorenzo e si laurea per la seconda volta Campione del Mondo della MotoGP. Batte così il record della doppia vittoria consecutiva nella massima serie, come pilota più giovane, che era di Mike Hailwood
Ironia della sorte, la sua carriera presenta diversi punti di contatto con i piloti che si sarebbe poi trovato a battere nella classe regina. Il suo infortunio di fine 2011 lo lega paradossalmente a Dani Pedrosa, che fresco campione della 125 aveva subito la frattura di entrambe le caviglie dovendo passare l’inverno a recuperare invece di potersi concentrare sulla nuova categoria. Per entrambi la stagione ha avuto poi lieto fine con la conquista del titolo iridato.
Ancora più significativamente, Marc ha iniziato a brillare proprio in quella gara del Mugello 2010 in cui avvenne il brutto incidente che ha segnato la parabola discendente di Valentino Rossi. Ancora prima di quel sorpasso al Cavatappi che ha consacrato il passaggio del testimone, la sorte sembrava aver già scelto il successore di Valentino.
La strada di Marc, dopotutto, è appena cominciata. E potrebbe essere altrettanto lunga.