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Sono coloro che portano al next step il proprio mestiere; mestiere che inevitabilmente coincide con la propria passione, altrimenti non sarebbero potuti arrivare così in alto, non sarebbero stati capaci di innovare così tanto. Marc Marquez è uno di loro, come lo fu Rossi prima di lui. Capace di ridurre la MotoGP a un canto unico, scontato, quasi desueto. Noioso. Se non fosse per lui, appunto.
Lui che guasta, che provoca, che asfalta, che devasta. La parola giusta è una e una sola: umilia. Se guardi la tecnica resti stupefatto: come può fare quello che fa? Non cade, eppure rischia la qualsiasi; se cade, si rialza. Va sul bagnato con le slick e bastona chiunque, si prende pure il gusto di mancare di rispetto a Rins e poi davanti ai microfoni irride la scelta gomme del suo avversario principale, Dovizioso, che a questo punto del campionato definirlo principale è un di cui, visti i circa 60 punti di differenza.
Marquez, insomma, nei tavoli di coloro che frequentano materie come il marketing, verrebbe definito un early adopter. Uno di quelli che alzano l’asticella. O che all'asticella cambiano prospettiva, come fece Dick Fosbury con quella che sovrasta il materassone del salto in alto. Come solo i grandi, insomma.
Vedi alla voce Federer, raccontato da David Foster Wallace in una descrizione sopravvalutata dalla critica, dove però si diceva: “Ci sono varie spiegazioni per la sua ascesa, la prima ha a che fare con il mistero e la metafisica”. Vale anche per Marquez. Io stesso per un periodo sono andato in giro a chiedere a piloti, esperti, tecnici: ma secondo voi è possibile che resti in sella anche quando oramai è in terra perché Honda sta sviluppando una intelligenza artificiale per tenere la moto in piedi? Della serie: forse dietro c’è il trucco, forse non dipende né da lui, né da nessuna capacità umana.
Un tentativo come un altro per spiegare l’inspiegabile. Invece c’entrano (anche?) cose terrene, come il lavoro e la fisica. E più che cultura del lavoro qui si tratta di cultura dell’amore. Amore verso ciò che si fa e verso ciò che si vuole essere.
Andiamo nel calcio. Una volta l’allora direttore di Rolling Stone, Carlo Antonelli, chiese a Zidane: come fai a essere il migliore ogni volta? Zidane rispose con un: non lo so. Glielo spiegò Antonelli: perché tu ogni giorno ti alleni per esserlo, per essere la versione migliore di te stesso. E ad alcuni riesce particolarmente bene.
Vedi anche alla voce: Pep Guardiola. Nel documentario Take the ball Pass the ball si entra dentro i suoi quattro anni al Barcellona. Quattro anni, 13 trofei. Se allarghiamo lo sguardo anche alle sue squadre successive le coppe salgono a 24 in dieci anni. Praticamente ha vinto in ogni competizione abbia giocato. Spodestando, innovando, portando il calcio a diventare una filosofia. Guardatevi anche All or Nothing, documentario sul suo City. Scoprirete un guru, non solo un allenatore. Insegna ai suoi giocatori una cosa fondamentale: bisogna imparare a giocare con coraggio.
Coraggio. Rischio. Lavoro. Parole chiave, sempre. Se non ci credete statevene a casa a rimproverarvi sulle opportunità perse. Vedi alla voce Mohammed Alì, un altro pratico e teorico insieme. Filosofo del ring, che diceva: impossibile è nulla, perché l’impossibile è temporaneo, ciò che appare impossibile oggi domani non lo sarà più.
Marc Marquez ha reso e rende possibile ciò che per molti e per molto tempo si pensava impossibile: piegare un po’ di più, ancora di più è possibile; guidare tutto fuori lo è; usare la ruota anteriore come perno per far girare tutto il resto lo è; non accontentarsi mai e poi mai e poi mai, pure.
Marquez fa paura. Basta leggere delle dichiarazioni di chi ci corre contro. La sostanza è: fa un altro sport. No, lo sport è lo stesso e che lui lo sta portando a un altro livello. Come ha fatto Phelps nel nuoto o Usain Bolt nella corsa. Usain Bolt, nell’ennesimo documentario che cito e che consiglio di sorbirsi, alla domanda ”chi è Bolt”, rispose: “Corro, mi alleno, vinco. Questo è quello che so fare”.
Impegno e passione. Talento e allenamento costante per migliorarsi. Se lo faccio io al massimo derapo in un campetto da cross. Se lo fa qualcuno che sa davvero andare in moto magari vince qualche gara in MotoGP. Se lo fa Marc Marquez entrano in gioco anche altri fattori.
Il mistero e la metafisica. Che sono le prime spiegazioni, ma anche le ultime.