Marquez in due classi? Agostini dice sì

Marquez in due classi? Agostini dice sì
Secondo il 15 volte campione del mondo, che disputava sempre due gare nella stessa trasferta, si può fare. Le moto sono più complicate, più difficili da guidare, più faticose? Macché, Marc può farcela e il bergamasco lo spinge. Anche se quel record delle 10 vittorie sulle prime 10 gare... Potevano essere undici | N. Cereghini
14 agosto 2014

Chissà se è vero. Nessuno può dire se Marc Marquez stia pensando seriamente a disputare due categorie nella stessa giornata, forse è una forzatura giornalistica stimolata dall'inviato inglese che a Indy lo ha sfinito di domande sull'argomento; ma intanto se ne parla, e nei giorni scorsi, sulle pagine della Gazzetta dello Sport, Giacomo Agostini lo ha incoraggiato: «Si può fare, e se fossi al posto di Marquez lo farei subito», ha dichiarato Mino. Ed è uno che se ne intende, perché nei suoi anni Sessanta e Settanta correre in due classi era la normalità.


Così, chiamo il quindici volte campione del mondo e lui, pur essendo in vacanza, non si sottrae. 

L'intervista

Ago, ammesso e non concesso che Marc ci stia pensando, qualche dubbio mi resta. Le moto di oggi, per cominciare, non sono più complesse di quelle dei tuoi tempi?

«Ma no, non è così. Oggi hanno tanti aiuti in più, l'elettronica li assiste in tutto, correggono i difetti della moto in un attimo. Se sono moto più complicate, non è certamente più complicato metterle a posto, anzi e più facile».


E non sono nemmeno più fisiche da guidare?

«Ai miei tempi si facevano gare di 350 chilometri, al TT ti usciva il sangue dalle mani, finivi la corsa con la bava alla bocca. Non bevevamo nemmeno, nessuno lo faceva, tutto quello che avevamo era la spugnetta umida per pulire gli occhiali. Stava dentro una mezza pallina da tennis fissata al manubrio destro, e al TT non facevo nemmeno in tempo a rimetterla al suo posto, la usavo una o due volte e poi era perduta. Facevo 350 e 500, due categorie e quasi mille chilometri tra prove e gare. E poi questi hanno vent'anni e del resto guarda la SBK..».

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Giacomo Agostini
Giacomo Agostini


Perché la SBK?

«Vado sempre a vedere i tempi, e nella seconda manche girano molto spesso più veloci rispetto alla prima. In certi casi anche di due secondi. Segno che non sono proprio dei piloti distrutti dalla fatica».


Va bene, sei convincente. Però ho un'ultima perplessità: MotoGP e Moto2 sono diverse tra loro, c'è più gap rispetto a 350 e 500 dei tempi tuoi..

«Non vedo la difficoltà, e del resto Marquez è passato dalla piccola alla grossa con naturalezza. Pensavo gli servissero dei mesi, e invece è andato subito fortissimo. Le conosce a menadito tutte e due, sa esattamente cosa bisogna fare».


Ho sempre pensato, però, che l'autore dell'ultima doppietta, Freddie Spencer con 250 e 500 nell'85, sia stato logorato da quell'impegno. Dall'86 è sparito, cotto, e tu lo sai bene perché hai tentato di portarlo sulle Yamaha del tuo team.

«Solo una coincidenza. La doppietta non c'entra. Purtroppo Freddie non c'era più di testa, solo un fatto di testa. Guarda, ti dico soltanto una cosa. A Phillip Island, una volta, si è presentato con sette valigie, dico sette. E in tutto il fine settimana ne ha aperta una sola. Cosa tenesse nelle altre sei è rimasto un mistero, uno dei tanti».


E a proposito di misteri, perché la MV disertò la prova finale, quella del Nazioni a Imola, del campionato mondiale 1969? Ago avrebbe vinto la 500 al novantanove per cento, e adesso sarebbe ancora il recordman con undici vittorie sulle prime undici gare; invece vinse Alberto Pagani con la artigianale Linto bicilindrica e Giacomo rimase a quota dieci. C'ero, ero in griglia, Pagani indossava il casco integrale invece della scodella e fu la prima volta del mondiale, una rivoluzione, e Mino invece non c'era. Non era in gara e nemmeno nel paddock. Si disse che il conte Agusta voleva che il GP delle Nazioni restasse a Monza, niente Imola, e per protesta avesse ritirato la squadra. E così è andata.


Ma tu, Ago, cosa facesti quel giorno?

«Come faccio a ricordarlo, sono passati 45 anni... Sarò stato con qualche ragazza...»


Già, figurarsi, ma ti sarà dispiaciuto non correre l'ultima gara dell'anno.

«Ho sofferto, ero incazzato, ma il Conte era così, un dittatore. Vinto il titolo, non gli importava più di niente. Anche l'anno dopo non andammo in Spagna per la chiusura della stagione. Tante volte avrebbe voluto rinunciare alle trasferte più lunghe persino durante il campionato. Restiamo a casa a lavorare, diceva, e allora io insistevo, piangevo, e alla fine cedeva. Ma era molto orgoglioso, era siciliano. Ti basti sapere che quando Hailwood andò a dirgli "Vado via, ho un'offerta della Honda" lui gli rispose serafico "Va bene, vai pure"».

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