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Non è mai semplice, per un pilota che si è ritirato dopo aver vinto tantissimo ed essere diventato la bandiera di una Casa costruttricecome Michael Doohan, vedere un altro pilota uguagliare e potenzialmente battere i suoi record. Ma Mick, che oggi è un uomo d’affari di grande successo, è fra i piloti che meglio hanno fatto pace con il loro passato, e pur togliendosi ogni tanto lo sfizio di fare qualche giro in pista, considera le gare un capitolo chiuso. E proprio per questo ha la possibilità di analizzare con serenità i suoi successori, come ha fatto in questo caso con Marc Márquez(che a Phillip Island ha indossato stivali e guanti replica delle grafiche utilizzate da Doohan) in un’interessante intervista diffusa da Honda in occasione del Gran Premio d’Australia.
Cosa hai pensato quando hai visto Marc indossare i tuoi guanti e i tuoi stivali?
«E’ stato fantastico. Mi ha addirittura chiesto il permesso di poterli usare, che ovviamente gli ho dato subito. E’ un onore il fatto che abbia pensato a me in questo modo per la gara in Australia».
Se avessi pensato di dover cambiare marca per trovare motivazione, forse avrebbe significato che era il momento di ritirarmi. Un discorso che non piacerà a tutti, ma ero fatto così
Cosa significa per te vedere Márquez uguagliare il tuo record di cinque titoli con Honda?
«Credo che sia fantastico. E’ bello per lo sport ed è bello per la Casa. Lavorare per Honda è stato fantastico, per me – mi hanno dato una piattaforma che mi ha consentito di vincere. Non avevo bisogno di motivazioni per continuare a correre, anno dopo anno, finché mi avessero garantito il loro impegno nel continuare a migliorare e sviluppare la moto per darmi ciò di cui avevo bisogno. Se avessi pensato di dover cambiare marca per trovare motivazione, forse avrebbe significato che era il momento di ritirarmi. Un discorso che non piacerà a tutti, ma ero fatto così. E credo che un legame stretto fra un pilota e un costruttore sia una bella cosa per entrambi».
Cosa ti impressiona di più di Marc? I suoi titoli o il suo stile di guida?
«Credo che le due cose vadano a braccetto. La sua guida è impressionante, non c’è dubbio – vederlo è uno spettacolo esaltante per tutti, me compreso. Ma se non guidasse così non avrebbe vinto i suoi titoli. Allo stesso tempo, è quello che incolla i fan alla televisione. Quest’anno abbiamo visto una grande stagione di gare, con tanti piloti davanti e gare combattutissime come ad Assen. Cerco di guardare sempre le corse, qualifiche comprese, e fortunatamente riesco a seguirle dappertutto, alla peggio sul telefono. E’ stata una stagione eccitante, anche per merito di Márquez. E’ una delle attrattive della MotoGP: vedere cosa succederà – non si può essere mai certi fino all’ultima curva».
Qual è la migliore qualità di Marc?
«La sua determinazione. Il suo impegno a non mollare mai, la sua competitività. Alcuni dicono che sia troppo aggressivo, ma tutti i piloti sono così. Quando sei sempre al limite non c’è molto margine d’errore, e sfortunatamente avvengono i contatti. Ci sono sempre stati: contatti, gomitate, e mosse un po’ aggressive. Ma in passato non tutto veniva registrato dalle telecamere. Adesso è come una partita di calcio: non puoi fare niente senza essere visto. Se non sei aggressivo, non vincerai mai. Sembra solo che Marc abbia una determinazione, una voglia di vincere, superiore a quella degli altri».
Te lo immagini in sella a una 500?
«Sono sicuro che non avrebbe avuto problemi con una 500. I grandi piloti come lui, come abbiamo visto con Valentino e tanti altri, sono in grado di adattarsi alla moto che hanno. Era già così ai miei tempi: ci sono stati piloti che hanno cambiato costruttore, ma i loro risultati non sono cambiati. Il pilota, il lato organico della moto, è quello che di solito fa la differenza maggiore. Marc potrebbe vincere con qualunque moto».
Ti rivedi in qualcosa di quello che fa Márquez?
«Sarei matto a dire una cosa del genere! No, i tempi sono cambiati molto, e l’unica cosa che penso si possa dire simile è la volontà di vincere e di non arrendersi mai. Credo che Marc e altri piloti, come Valentino, partano per vincere a prescindere dalla posizione in qualifica. E’ l’unica somiglianza che si può trovare fra uno come me e Márquez. Non sono mai partito in una gara pensando ‘spero di finire secondo’. L’obiettivo era comunque la vittoria, se poi non era possibile allora mi accontentavo, ma pensavo sempre a vincere».
Riesci a immaginarti come sarebbe correre contro di lui?
«Certo, ma se avesse corso ai miei tempi avrebbe pensato ‘Chi è Mick Doohan? Solo uno dei miei avversari’, esattamente come tratta il resto dei piloti oggi. E’ stato lo stesso per me. Quando sei lì a correre per vincere, la mentalità è sempre la stessa. Anche se fra i miei tempi e i suoi sono passati vent’anni, come fra Agostini e me. E mi facevano la stessa domanda…».
Però hai corso contro Alberto Puig. Come lo vedi come team manager in Honda Repsol?
«Alberto è un pilota, ed è quello che serve in una squadra. Serve una persona intelligente, con una profonda conoscenza del mondo delle gare, anche se magari non è un pilota. Ricordo che quando correva con me era veloce, forte e determinato, ma anche sempre molto calcolatore. L’ho visto lavorare con piloti giovani, come Pedrosa, per molti anni, e credo che abbia portato questo bagaglio d’esperienza nel team, facendogli fare un passo avanti. Ora deve gestire Márquez e Lorenzo, ma credo che se la caverà bene, perché sa cosa chiederanno entrambi. Se non altro non avranno una barriera linguistica, come succedeva con me».
Marc ha solo 25 anni. Cosa ci possiamo aspettare da lui in futuro?
«Dipende solo da lui. E’ giovane e se, toccando ferro, riuscirà a non farsi male restando in forma e mantenendo la sua voglia di guidare e vincere, anche ritirandosi a 30 anni potrebbe vincere altri due, tre, quattro o cinque titoli mondiali. Quando corri non pensi alle statistiche, anche se per i media sono importanti. Se tutto continua ad andare come è andata la sua carriera fino ad ora, correrà sempre per vincere. Se quindi dovesse correre per altri cinque anni, potrebbe vincere potenzialmente altri cinque titoli. Ma se proseguisse fino ai 35, chi lo sa?».
Cosa ne pensi della MotoGP di oggi, con monoforniture per gomme, elettronica…?
«Credo che sia fantastico. Penso che Dorna abbia fatto un ottimo lavoro, soprattutto Carmelo Ezpeleta. Amo parlare con lui, perché è sempre un passo avanti con la sua visione. Credo che abbia gestito molto bene il nostro sport – se guardate ai fan nei circuiti e ai dati televisivi sta andando molto bene. I piloti più bravi sarebbero in grado di andare forte anche senza elettronica, ma le cadute si verificano comunque con le perdite d’aderenza all’avantreno, forzando il limite della gomma invece che ai miei tempi quando si volava in highsideaprendo il gas. Così è più sicuro, e allo stesso tempo, con un’elettronica unica, è più facile per tutti gestire la potenza».
Credi che tuo figlio potrà arrivare in Formula 1?
«Al momento Jack (che corre nella F4 ADAC, NdR) è come un quindicenne nel CEV che vuole arrivare in MotoGP. Credo che si debba avere un sogno. E’ veloce, vince delle gare, ma ha solo 15 anni. Temo di essere stato io a mettergli in testa certe idee, e ha la stessa mentalità che avevo io: non si arrende mai. Non è contento quando finisce secondo, ma quello credo che dipenda da lui. Si arrabbia quando non vince, e si impegna molto negli allenamenti, trovando sempre motivazione. Ma alla fine resta un quindicenne».
Com’è essere il padre di un pilota?
«A me piace, perché amo gli sport motoristici. Essendo mio figlio, sento un po’ di adrenalina scorrere quando è in pista, ma cerco di non soffocarlo. Ovviamente ci si preoccupa un po’ per questo o quell’altro, come succede al padre di Marc e agli altri genitori che si vedono nel paddock. Ma finora si è dimostrato abbastanza intelligente e non ha fatto troppi incidenti. Ma come succede nel Campionato Spagnolo, il livello sale esponenzialmente e la competitività è molto più alta quando si sale nelle varie categorie».