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VALENCIA - Il meraviglioso museo allestito all’interno del paddock dalla Dorna - bravi, bella iniziativa, come tante altre fatte in questi giorni, resoconto nei prossimi giorni su Moto.it - con le moto con le quali Valentino Rossi ha conquistato i suoi nove titoli mondiali, mi dà lo spunto per sfogliare l’album dei ricordi, con qualche considerazione legata a quegli anni.
Non ho intenzione di ripercorrere la sua carriera - per quello c’è un meraviglioso e molto dettagliato pezzo di Edoardo Licciardello su Moto.it.
Semplicemente voglio condividere con gli appassionati un po’ di momenti che ho avuto la fortuna di poter vivere da dentro al paddock.
Valentino arriva al mondiale nel 1996, dopo l’Europeo 125 del 1995, vinto da Lucio Cecchinello.
Rossi è pura energia, accoppiata alla spensieratezze del 16enne. E’ sfrontato, provocatorio, innovativo. In pista è fenomenale nei sorpassi, riesce a far fare alla moto quello che vuole. Nel 1996 è già velocissimo, ma cade molto, nel 1997 rimane velocissimo e smette di cadere.
Ovviamente vince il titolo, la sua carica è contagiosa. E alla fine di ogni gara, dopo il podio e la conferenza stampa, si ferma in sala stampa in tuta per seguire la gara delle 250, dove corre il suo grande “amico” Biaggi, insieme ai giornalisti. A pensarci adesso, sembra incredibile.
Nel 1998, Rossi passa in 250 in una super squadra con Tetsuya Harada e Loris Capirossi.
L’Aprilia è nettamente superiore a tutte le altre moto, Valentino ha come capo meccanico il bravissimo Rossano Brazzi. E’ un anno fondamentale per la sua crescita tecnica, anche se Valentino continua a essere spumeggiante in tutto quello che fa.
Nella guida rimane aggressivo, ma affina molti aspetti. Vince il mondiale in Brasile e il giorno dopo Valentino decide di andare a visitare una favelas assieme al suo manager di allora, Gibo Badioli. Anche in quel posto apparentemente fuori dal mondo, Valentino è già una star: firma decine e decine di autografi. Indimenticabile.
Valentino arriva in 500 nel 2000 teoricamente in un team satellite, ma in realtà ufficiale per moto e assistenza tecnica, con il leggendario Jeremy Burgess al suo fianco.
Il primo contatto non è facile, perché l’inglese di Valentino è di livello basso, sicuramente insufficiente per confrontarsi con un capo tecnico che deve sistemare una moto come una 500. Nonostante quanto fatto in 125 e 250, c’è scetticismo attorno a Rossi. “Adesso non potrà più scherzare” dice velenoso qualche suo avversario.
Invece, Valentino continua a scherzare: al Mugello, per esempio, al sabato sera va a cena con amici e comici di “Zelig” fino a tarda notte, rientrando nel paddock oltre le 2 del mattino. Succede spesso, ma in pista non sente la stanchezza.
Al primo anno può già conquistare il titolo, ma non ci crede abbastanza, riuscendoci nel 2001. Il momento chiave è il successo di Brno, sulla pista di Biaggi. La caratteristica principale è la ferocia sportiva contro ogni avversario: “Lui li odia tutti” dice una volta Graziano Rossi.
Il motomondiale cambia regolamenti, Rossi prova per la prima volta a Suzuka, nel 2001, dopo la 8 ore, la RC213V.
Il debutto è scioccante in senso negativo. Abituato alla 500, Valentino giudica la 5 cilindri come una moto troppo piccola, poco potente, lontanissima dalla sua amata 2T. “Così non va bene” dice ai giapponesi della HRC, sbigottiti dal commento.
La moto viene modificata e nel primo anno con in pista le 500 2T e le MotoGP 4T la superiorità della Honda diventa devastante. Rossi è imbattibile. Ma è in questo anno che cominciano i dissapori con i vertici della HRC, in particolare con Nakajima.
Valentino è ormai ai ferri cortissimi con la Honda, vuole cambiare. Parla con Ducati, quell’anno va anche a Borgo Panigale, ma non è convinto. Molto più allettante la Yamaha, che nel 2003 è una moto molto poco competitiva. Nessuno sa cosa farà Valentino - si scoprirà più tardi che il contratto viene firmato a Brno durante il GP della Repubblica Ceca -, molti non credono che lascerà mai la Honda.
Nel GP del Brasile, Rossi vince davanti ad altre quattro Honda, la prima Yamaha è quella di Nakano, ottavo, staccata di 21 secondi. A fine gara, con Valentino si parla solo di futuro. La domanda è: come si fa a lasciare una moto così competitiva?. Risposta: “Per lasciare la Honda, ci vogliono le palle”. In quel momento ho capito che sarebbe passato alla Yamaha.
Valentino ha le palle, passa in Yamaha e i suoi avversari si fregano le mani. Durante l’inverno, molti ripetono: “Adesso si renderà conto cosa significa non avere una Honda”.
Ma sono invece gli avversari a capire, definitivamente, quanto è forte Rossi. L’episodio significativo è la penalizzazione in Qatar, retrocesso in ultima posizione per aver pulito la casella di partenza, dopo un reclamo del team Gresini, sollecitato da Sete Gibernau.
Valentino rimonta come una furia, ma poi cade, mentre Sete vince la gara. Rossi è indiavolato e sibila: “Non vincerà mai più una gara”. Sarà effettivamente così: quella sarà l’ultimo successo di Gibernau.
Grazie a Masao Furusawa, la Yamaha cresce moltissimo e diventa una gran moto.
Valentino è ormai un pilota completo sotto tutti gli aspetti, mentre fuori dalla pista è una stella assoluta, in tutto il mondo, anche se lui rimane il solito Rossi. Il segreto del successo è la sintonia totale con Furusawa, anche fuori dalla pista.
Valentino impone il passaggio alle Bridgestone, mentre il nuovo compagno di squadra, Jorge Lorenzo, mantiene le Michelin. E’ l’anno del famoso muro all’interno del box.
L’inizio è complicato, Rossi viene subito messo in discussione, si comincia a dire che è finito. Ci mette un po’ a capire le Bridgestone, poi diventa un’altra volta fenomenale. La famosa vittoria di Laguna Seca (nel pezzo di Nico Cereghini trovate interessantissime valutazioni su questo episodio) è il momento chiave, che ha come matrice una cena sabato sera in una “Steack House” non lontano dal circuito.
In quella cena, si parla ovviamente della superiorità di Casey Stoner, non solo sul giro secco, ma, soprattutto, sul passo. Valentino ascolta l’opinione di tutti, poi gli si accende una lampadina, il suo atteggiamento cambia, da remissivo diventa quasi spavaldo. E dice: “E’ tutta da vedere che Stoner sia favorito domani”. Per me, è a lì, a tavola, che ha vinto quella incredibile sfida.
Si passa al monogama, Bridgestone. E’ l’ennesima prova di forza del fenomeno di Tavullia, capace di vincere in tutte le classi, con le Michelin, con le Bridgestone, in regime di monogomma.
“Ha sempre avuto il gommino fatto apposta per lui” ripetono i suoi avversari, ma il monogomma Bridgestone dimostra che Rossi è capace di vincere al di là di presunti favoritismi.
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