MotoGP 2022. Miguel Oliveira: “KTM può vincere in MotoGP. Ma…”

MotoGP 2022. Miguel Oliveira: “KTM può vincere in MotoGP. Ma…”
Il pilota portoghese si racconta in questa intervista esclusiva per moto.it: come è arrivato al mondiale; quanto è più difficile per un pilota portoghese, piuttosto che per uno italiano o spagnolo; la Oliveira Cup; gli studi da odontoiatra. Ma anche un bilancio della sua carriera, i pensieri su cambiare o no in futuro
29 aprile 2022

Jerez - E’ un personaggio molto particolare, merita di essere conosciuto meglio. Questa intervista è stata pensata proprio per questo: raccontare un po’ Miguel Oliveira, scoprire le sue origini, capire quanto è più difficile per un pilota portoghese arrivare al mondiale. Poi, naturalmente, si parla anche di KTM, di presente e futuro: emerge un ragazzo molto piacevole, ma anche determinato, conscio della sua forza e dei suoi limiti. 

 

Miguel, come hai iniziato a correre?

“Come tutti i piloti ho iniziato da piccolo: a tre anni, mi è stato regalato un mini quad. Mio papà è sempre stato un grande appassionato, ha fatto il pilota in Portogallo e io volevo essere come lui. A 8 anni, però, mi ha regalato un kart e ho cominciato a correre con quello. Ma era troppo costoso: mio papà faceva il muratore, lavorava tanto, ma non ci potevamo permettere di spendere quei soldi. La passione era tanta, quindi abbiamo comprato una “Metrokit”, una MiniGP: sul catalogo di quella marca c’erano Maverick Vinales e Loris Baz. Lo guardavo tutto il giorno. Così, a 9 anni ho iniziato la mia avventura da pilota, ho imparato a usare le moto con il cambio, a capire cos’è un motore 2T o 4T, ho iniziato a lavorare sulla frizione… La Federazione Portoghese organizzava le gare di MiniGP nei kartodromi, le mie prime gare sono state lì”.

 

Quanto è più complicato per un ragazzino portoghese rispetto a uno italiano o spagnolo?

“E’ più difficile per una limitazione culturale: in Portogallo non capita che un papà racconti agli amici che il figlio fa il pilota… Adesso che io sono in MotoGP è un po’ differente, ma quando decidi di iniziare a fare sul serio, quando vuoi diventare un professionista, è tutto più complicato. A 14 anni, non puoi spendere quei soldi per andare a correre nel CEV: se sei italiano o spagnolo, trovi maggiore disponibilità, anche psicologicamente un’azienda è più portata a supportare un ragazzo di quelle due nazioni, piuttosto che un portoghese. Quando ho iniziato io, non c’erano praticamente miei connazionali nei vari campionati, se non un pilota che correva con una Ducati nella SBK nel 2004. La visibilità era veramente pochissima per il motociclismo”.

 

Hai detto: “Adesso è un po’ differente con me in MotoGP”. Grazie a te è cambiato tanto?

“Sì. Anche perché dal 2017 ho fondato una scuola, ho creato la “Oliveira Cup”, un Trofeo con le MiniGP. E tanti di quei piloti che hanno iniziato con me, adesso corrono nel CEV”.

 

Beh, una bella soddisfazione.

“E anche una grande responsabilità. Continuo a non capire perché sono l’unico pilota portoghese nel mondiale, sarebbe giusto che ci fosse qualche ragazzo del Portogallo nella Rookies Cup: non ha senso che ci sia solo in MotoGP e nessuno nelle altre categorie”.

 

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Ce l’hai ancora la scuola?

“No, ho dovuto chiuderla nel 2020 per le restrizioni del Covid, ma ho ancora il mio team, che supporto con il “merchandising”: tutto quello che guadagno dalla vendita di magliette, cappellino e quant’altro serve per tenere vivo il team. Spingo con i miei sponsor personali, cerco di aumentare la visibilità. Ogni anno, a dicembre, io e mio padre ci chiediamo se abbia senso andare avanti, ma poi vince la passione;  e quando i ragazzi mi chiamano per chiedere i programmi per l’anno successivo, mi faccio convincere ad andare avanti”.

 

Emozionante. Così come molto emozionante è stata la parata di motociclisti da Portimao al circuito con te da fare da apri pista sulla RC16.

“E’ stato molto emozionante, bello percepire quella passione per te, quel supporto: ti fa sentire unico, facevano tutti il tifo per me. Non mi aspettavo così tanti motociclisti: erano 700”.

 

Insomma, in Portogallo sei famoso come CR7, come Cristiano Ronaldo.

“No, non lo sono a livello internazionale, nessuno lo è, non solo io. Però in Portogallo adesso sono conosciuto”.

 

In Italia appassiona anche la tua storia da “dentista”: ce la racconti?

“E’ molto semplice: per andare in moto dovevo essere bravo a scuola, non c’era alternativa. Una volta ho perso una gara importante perché il mio rendimento scolastico non era buono. Non ho continuato a studiare per avere un piano “B” nel caso non ce l’avessi fatta a fare il pilota, era semplicemente qualcosa di naturale per l’educazione che ho avuto: la scuola veniva prima, bisognava farla. Così a 18 anni mi sono iscritto a odontoiatria: sono cinque anni, ma è un po’ che sono fermo al terzo anno: metto tutta la mia energia nella carriera sportiva”.

 

Qual è il tuo bilancio di questi anni in MotoGP?

“Sono arrivato al mondiale con Mir, Bagnaia, Quartararo: loro hanno vinto tutti un titolo, io ancora non ce l’ho fatta. Questo mi fa capire che non ho ancora sfruttato al meglio il mio potenziale. E’ chiaro che io sto seguendo un progetto che non è ancora pronto per essere vincente in tutti i GP, ma l’ambizione c’è, ci manca esperienza. Quando arrivi a questo punto della carriera devi fare un altro passo in avanti: se guardo alle altre Case, vedo che hanno le nostre stesse difficoltà, ma hanno più esperienza per risolvere i problemi”.

 

Quindi stai pensando di andare via dalla KTM (Si dice che Oliveira rappresenti l’alternativa a Quartararo nel caso il francese lasciasse la Yamaha)?

“E’ una decisione difficile, io credo in questo progetto, ci credo tanto, sono sicuro che KTM possa vincere anche in MotoGP”.

 

Quando si deciderà?

“Spero di sapere qualcosa nel prossimo mese. Non sono preoccupato e sono sicuro che la scelta che farò sarà quella giusta”.

 

Perché non c’è più un dominatore in MotoGP?

“L’unico pilota superiore a tutti gli altri è Marc Marquez: lui faceva la differenza. Adesso, dopo gli infortuni, il suo livello è più vicino al nostro e questo crea maggiore equilibrio. Così è emozionante, in ogni GP non sai mai chi possa vincere. Tecnicamente siamo tutti molto vicini. E anche il formato di prove e qualifiche crea equilibrio: se non riesci a stare subito nei primi dieci, può essere un problema”.