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Nelle ultime stagioni l’aerodinamica è diventata la materia di cui si parla di più nei commenti che riguardano gli sviluppi tecnici delle MotoGP. Da quando nel 2015 Ducati ha iniziato ad utilizzare con efficacia le alette applicate alla carenatura della sua GP15, è stato un susseguirsi di evoluzioni, con i costruttori costretti ad inserire una nuova voce di spesa nel budget dei loro reparti corse, utile per coprire i costi relativi agli studi di carattere aerodinamico.
Fino ad allora questa materia era stata affrontata in modo decisamente diverso e le venivano dedicate molte meno risorse e ore di studio. Le carenature delle MotoGP venivano testate in galleria del vento, ma la finalità era prevalentemente quella di ridurre al minimo la resistenza aerodinamica, curando la necessità di proteggere adeguatamente il pilota in rettilineo. In passato c’erano stati dei timidi tentativi di applicazione di ali con effetto deportante alle carenature delle moto da corsa, si era visto qualcosa portato in pista sin dagli anni ’70, ma non era mai stata trovata una soluzione davvero vantaggiosa, soprattutto perché i piloti lamentavano una perdita di maneggevolezza della moto in curva, più che un vantaggio dato dall’effetto deportante delle appendici.
Per questo le appendici alari applicate alle carenature erano sempre state bocciate, anzi si era andati addirittura nella direzione opposta. Ricordo, a tal proposito, con quale stupore venne accolta la Honda RC212V – 800cc nell’inverno 2006-2007 quando la vedemmo per la prima volta: la carenatura era talmente rastremata e ridotta all’essenziale, con la parte bassa quasi assente che lasciava scoperta buona parte del basamento motore ed il codino tagliato cortissimo, in quanto i tecnici giapponesi avevano deciso di massimizzare le caratteristiche di guidabilità e maneggevolezza della loro nuova moto, la quale – con la riduzione di cubatura – aveva perso una bella fetta di cavalleria e doveva, pertanto e secondo loro, risultare più agile nei tratti guidati con questo suo vestito estremamente attillato.
Anni dopo Ducati ha portato tutti i tecnici a ripensare all’aerodinamica secondo un concetto diverso: il presupposto fondamentale degli studi che si fanno attualmente è quello di curare meticolosamente la distribuzione delle pressioni aerodinamiche sulla superficie del veicolo nelle varie condizioni di assetto che la moto prende durante il giro di pista.
Questa logica di sviluppo ha dimostrato di essere valida e sicuramente vedremo sempre più spesso applicati questi concetti anche alle carenature delle moto stradali. Il risultato è quello di evitare alla moto di “subire” le forze aerodinamiche, ma di “sfruttarle in chiave positiva” al fine di rendere più efficace al pilota la sua guida. A riguardo, nelle ultime tre stagioni, soprattutto per merito delle due Case italiane presenti in MotoGP, Ducati ed Aprilia, gli sviluppi aerodinamici sono diventati decisamente più complessi e si sono iniziate a vedere appendici e convogliatori applicate a tutta la moto, utili per guidare i flussi aerodinamici ed ottenere la distribuzione delle pressioni voluta dai progettisti.
Molto interessante è la soluzione dei deviatori di flusso applicati alla parte bassa della carenatura, nella zona immediatamente dietro alla ruota anteriore. Questa soluzione, che è stata portata in pista la prima dalla Ducati nella stagione 2022, è stata oggetto recentemente di una domanda di brevetto presentata da Yamaha.
Potrà sembrare strano che il brevetto sia stato chiesto dalla Casa giapponese, quando l’idea arriva da Ducati. In realtà, le domande di brevetto di questo tipo molto spesso vengono presentate per fissare il tempo ed impedire alla concorrenza di prendersi un vantaggio esclusivo. Raramente queste domande danno vita a dei brevetti industriali depositati; servono per lo più ad evitare che il brevetto lo possa richiedere un’azienda rivale. Il fatto che sia stata presentata questa domanda, però, analogamente a quella depositata su un tema simile da Aprilia un paio d’anni fa, fa capire come queste soluzioni siano ritenute interessanti per l’applicazione sulle future moto di serie. In effetti, quella dei deviatori di flusso applicati alla parte bassa della carenatura è un’idea assai intelligente in quanto porta ad avere molteplici effetti benefici in una zona della carenatura della moto che fino a poco fa doveva essere solamente liscia e rastremata per ridurre il più possibile la resistenza.
Il primo risultato che si ottiene lo si ha in curva a moto inclinata. In questo frangente il ruolo principale lo ha il deviatore di flusso che si trova sul lato interno della carenatura rispetto alla curva, quello che va a sfiorare l’asfalto a moto inclinata. Questa canalizzazione permette di prelevare il flusso d’aria che lambisce lateralmente la ruota anteriore e lo devia in maniera tale che non possa andare ad aumentare la pressione dello strato d’aria che si trova tra la carenatura e l’asfalto. In questo modo la massa d’aria che si trova in questa zona è a pressione relativamente bassa e soprattutto fluisce in modo decisamente più pulito limitando la presenza di vortici che potrebbero disturbare l’assetto della moto.
Il secondo effetto positivo lo si ottiene in quanto immediatamente dietro a questi convogliatori sono posizionati degli sfoghi dell’aria calda in uscita dal radiatore. Il fatto di aver tolto pressione allo strato d’aria che passa sul fianco della carenatura, favorisce lo sfogo del flusso d’aria caldo che ha appena
attraversato il radiatore di raffreddamento.
Il terzo effetto migliorativo lo si può intuire pensando alla moto che corre in rettilineo. Alla porzione di flusso che arriva ai due deviatori viene fatta cambiare direzione con il risultato di aumentare la portata del flusso d’aria che corre sotto la pancia della carenatura. Parte di questo flusso viene raccolto dal famoso cucchiaio installato nella parte inferiore del forcellone e ha diversi utilizzi nella zona posteriore della moto, tra cui quello di controllare la temperatura della gomma posteriore.
L’evoluzione in campo aerodinamico sta procedendo molto rapidamente e, in effetti, in MotoGP si sente sempre più l’esigenza di un regolamento tecnico più preciso che ponga dei limiti di ingombro massimo senza, speriamo, limitare la fantasia dei tecnici. Anzi, se tutto dovesse essere ricondotto a determinati limitazioni geometriche ben proporzionate, potremmo anche iniziare a vedere soluzioni aerodinamiche più accattivanti sul piano estetico.