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Intrepidi ma pur sempre umani, gli “eroi” delle due ruote danno da sempre prova di grande carisma regalando forti emozioni e belle speranze. Ma non sempre sono, tecnicamente, un corretto esempio per chi li vede correre feriti. Avendo visto e vissuto da vicino, da terapista - o meglio da “servitore della casa dei piloti” come preferiva chiamarmi Claudio Costa in Clinica Mobile -, abbastanza cadute e infortuni e incredibili imprese, vorrei provare a chiarire un aspetto che ritengo importante per avvalorare quelle esperienze ma, anche, per evitare che qualcuno possa illudersi che tutto quello possa ripetersi o applicarsi facilmente.
Nella vita di tutti i giorni, lontano dalle corse e dai piloti, mi capita molto spesso di sentir dire: «ho avuto un brutto incidente… mi sono fratturato malamente… non mi è ancora passato quel dolore… non riesco a fare ciò che vorrei…» E di seguito: «Adesso sto benino ma vorrei stare meglio…»; oppure: «sto malissimo perché nessuno ha saputo curarmi a dovere... ho girato mille specialisti ma tutti mi ripetono che più di questo non si può fare…». E tant’altro ancora, sempre però concludendo con la stessa lecita ma torturante domanda: «si può fare qualcosa come fate ai piloti di moto che li rimettete sempre a posto per correre subito e guarire più in fretta?». No, mi dispiace, non si può –vorrei subito rispondere. Perché la cosa non sta esattamente così.
Al di là del tipo di patologie o traumi e della professionalità di chi si ha la fortuna o sfortuna di incontrare quando si ha bisogno di cure, è giustamente comprensibile che la necessità e, purtroppo spesso, la disperazione di chi vuole fortemente guarire, portino a sperare sempre nel meglio, a crederci con ogni forza. Mi sta bene, anzi benissimo. Mai abbattersi, mai! È la prima e più importante regola. Ma è anche bene, secondo me, dare il giusto significato a ciò che sembra esageratamente straordinario quando la tecnica, per quanto valida, da sola, è solo un mezzo minore per raggiungere un traguardo eccezionale.
Nessuna intenzione di ridimensionare le grandi imprese dei centauri su due ruote né, tantomeno, di insinuare che non sia durissimo compierle. Assolutamente. Anzi. Correre in moto, ai massimi livelli, oggi ancor più di un tempo, è incredibilmente difficile, uno sforzo complesso e condizionato da tanti fattori che solo la dote del talento può assecondare. Portare al limite una moto da gran premio è complicato anche da descrivere, sia da quei pochissimi predestinati al mondo che sanno farlo sia da chi li prepara, li segue, li cura. È un’azione psico-fisica sempre estrema, un particolare esercizio non riconducibile ad alcun altro sport puramente fisico né a chi guida la moto in toni minori. Un insieme di tensioni e sforzi, statici e dinamici allo stesso tempo, che spesso complica le più solide teorie di preparatori, terapisti e medici. In particolare, ovviamente, in presenza di infortuni. Perché "la medicina in più" di quei piloti è probabilmente qualcosa di magico che gli permette, anche in caso di lesioni importanti, di correr in moto col solo aiuto di cure e terapie certamente valide ed esperte ma pur sempre legate ai limiti della scienza e alle severe esigenze della natura offesa.
Nessuna intenzione di sminuire il lavoro incredibile che fanno i migliori specialisti e le migliori tecniche chirurgiche che indubbiamente restituiscono, oggigiorno, le funzioni al corpo nel miglior modo possibile.
Però se vedete fare cose incredibili in moto, per una gara, a un grande pilota infortunato e operato da poche ore o pochi giorni, ammiratelo e traetene forza quanto più potete ma non fate l’errore di pensare che sia guarito! O che si possa facilmente fare altrettanto, né in moto né in altro modo! E nemmeno che si possano fare cose ben più semplici! Perché con lo stesso polso spezzato con cui quegli intrepidi riescono a correre in moto, loro stessi, come voi, non riuscirebbero a giocare a tennis ma neanche a scrivere! Perché con certe clavicole appena ridotte non potrebbero nuotare ne lanciare una pallina! Perché con le caviglie distrutte alle quali ci hanno abituati guidare una moto non potrebbero pedalare in bici ne fare una passeggiata... e nemmeno con le tante lesioni muscolari minori, che in moto spesso dimenticano di avere, potrebbero giocare a calcetto con gli amici! E sia ben chiaro che questi campioni, dopo quelle incredibili imprese in cui fra l’altro corrono più rischi del solito, devono poi comunque rispettare un tassativo riposo, obbligatori tempi di recupero per tornare ad allenarsi, quindi sofferte riabilitazioni, dolorosi imprevisti e i vari postumi che, più o meno per sempre, gli ricorderanno il prezzo di quell’impresa.
Insomma, motociclisti o no che siate, infortunati o no, vi siano sempre di grande stimolo le prove di forza e di carattere di quei fantastici talenti su due ruote perché la grande leggenda di Doohan, l’epico coraggio di Capirossi, la stoffa aborigena di Stoner, l’incredibile tempra di Lorenzo e tanti altri, sono state grandi magiche realtà ma, quando state soffrendo per infortuni simili ai loro e vi domandate come sia possibile che voi siate immobilizzati su una triste poltrona e loro liberi in sella a moto indomabili, sappiate che, per quanto possa sembrar strano, compiuta l’impresa, anche loro, saranno dei vostri.
Francesco Chionne