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E’ chiaro ormai quanto il professionismo estremo raggiunto in ogni settore dalla MotoGP abbia portato al limite anche tanti fattori umani. Primo fra tutti la capacità e la libertà di agir di testa propria. Oggi a un pilota, in linea di massima, non agendo di sua pura iniziativa in quasi nessun ambito se prima non ne ha reso partecipi tecnici, squadra, manager, consiglieri vari e via dicendo, resta spesso solo il guizzo, l’impulso, durante la competizione. Non dico sia sbagliato, anzi, sicuramente la valutazione da parte di tante figure circa le molteplici variabili in questione contribuisce certo alla crescita e alla tutela di vari aspetti non trascurabili per concorrere al raggiungimento di un risultato. Ma in moto, alla fine, sono loro ad andarci, i piloti. E se perdono l’abitudine a ragionare o mancano della lucidità di valutare, col solo coraggioso talento possono concedere grandi spettacoli ma commettere anche grandi errori.
Si possono così perdere alcune capacità individuali del pilota soprattutto in quei casi in cui il talento è già di sua natura ristretto alla sola smisurata facoltà di guidare al limite che, per quanto fondamentale, non può bastare allo sport. Ma così cadiamo nella nostalgia di quei tempi molto meno elettronici e poveri di fenomenali personaggi intorno ai piloti in cui quasi tutto gravava sulle proprie spalle e in cui, al di là dello spettacolo che ne veniva fuori, la pista metteva a nudo ogni vera difficoltà, ogni autentica emozione. E non è neanche giusto viver sempre di poetici ricordi.
Tuttavia, in questa nuova era di motociclismo di freddi arrivisti, di spietati calcolatori, d'impulsivi che non sanno quasi niente di come si corre o di cervelli piccoli ma perfetti per correre come dei robot, c’è ancora chi ci mette, ben nascosta, una dote rara e profonda che non garantisce lo splendore della gloria ma di certo l’autenticità di uomo oltre che di pilota. Parlo di certi piloti che, nonostante le mille considerazioni di valenti tecnici e fidati consiglieri, analizzano poi tutto con la propria testa prendendosi le loro responsabilità, piloti che hanno il coraggio di dire l’ultima parola e prendono la decisione definitiva sulle scelte da fare sulla loro sorte, sulla loro pelle.
Piloti che “hanno le palle” molto di più di quel che danno a vedere. Che lavorano a testa bassa e spesso nell’ombra senza curare troppo l’immagine mediatica ma cercando di capire ogni perché e ogni come, forse anche troppo.
Piloti che non cercano scuse né terzi su cui scaricare eventuali insuccessi, piloti che sanno essere riconoscenti senza lasciarsi andare a finti abbracci o falsi sorrisi. Piloti sui quali i riflettori si accendo solo quando se la sono strasudata fino in fondo o che vengono osannati solo all’occorrenza. Quelli talmente seri e autentici a cui l’aspetto sanguigno e giullaresco degli sport motoristici chiede sempre di dimostrare qualcosa. Peccato per loro, ma fortuna che qualcuno così c’è ancora. Ve l’assicuro.
Per la gara appena conclusa in Qatar, che era soprattutto la prima di una nuova era, c’erano infiniti dubbi su come si potessero interpretare le incognite delle nuove componenti tecniche (centralina elettronica e pneumatici) tanto che nessuno poteva aver certezze ma solo intuizioni. Ci voleva cervello per lavorare in una certa maniera nei test e nelle prove, ci voleva gran fegato per poi dover comunque azzardare certe scelte e correre con quelle. Non ci volevano grandi consiglieri che seppur utili possono diventare un segno di debolezza e confusione, ma solo dei buoni dati e sensazioni raccolti con talento e sudore e, soprattutto, una grande forza interiore. Una tale concentrazione per rimanere, dopo tante prove e chiacchiere e confronti, da solo con sé stesso ancor prima di salire in sella.
L’abisso in cui un pilota di questi scende quando deve prepararsi a una grande prova può essere senza fondo e così insidioso che può facilmente ostacolarlo dal tornare a galla. Ma quando riesce a farlo, vola autentico come nessun’altro.
Essere veri è il mestiere più difficile, anche nel motociclismo sportivo di maggior livello. Valori come bontà correttezza intelligenza e umiltà sono sempre più ai margini del clamore più atteso, quello che si vende meglio e conquista di più. Così il talentuoso manico che li possiede, resta, spesso, incompreso. Fortuna che in lui ha poi sempre la meglio, indipendentemente dal ritorno, proprio quell’autonoma intelligenza e la fierezza di tali aspetti che non lo tentano mai ad abbassarsi alla concorrenza.
E’ per questo che, che ne dica il mondo, a volte un solo bel risultato può valere più di tante apparenti imprese.