MotoGP, Ducati e la gomma anteriore: una storia senza tempo

MotoGP, Ducati e la gomma anteriore: una storia senza tempo
La Desmosedici, da sempre diversa da tutte le altre MotoGP, ha esigenze specifiche in termini di gomme. Una storia che risale ai primi anni 2000. Il problema della monofornitura
1 dicembre 2020

Un titolo è sempre un titolo, anche se - come diceva Dovizioso alla vigilia del GP del Portogallo - non è quello che si vorrebbe davvero vincere. Al netto delle polemiche e delle situazioni particolari generate da una stagione anomala sotto più di un punto di vista, però, la conferenza stampa tenuta dallo stato maggiore Ducati in occasione della vittoria è stata l'occasione per capire meglio cosa non sia andato come doveva in una stagione che molti, dopo Jerez, avevano forse frettolosamente dato come "quella buona" per la Casa di Borgo Panigale.

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La conferenza stampa ha infatti messo nuovamente in luce un problema che sembrava dimenticato, e che invece è forse fisiologico, connaturato al DNA della Desmosedici. Che della sua particolarità fa il suo punto di forza, seguendo quell'adagio attribuito a Kenny Roberts in versione costruttore secondo cui, se fai le cose come le fa la Honda, inevitabilmente perderai perché lei lo fa sicuramente meglio. In un mondo sempre più omologato da regolamenti sempre più monofornitore, il nome dell'HRC è forse diventato un po' più intercambiabile con le altre Case giapponesi, ma la verità rimane: se sei il dominatore, continua così. Se sei lo sfidante devi sparigliare le carte. Ma facciamo un passo indietro.

Tardozzi, a Portimão, ha apertamente chiesto aiuto a Michelin. "Con il nuovo posteriore, introdotto nel 2020, il nostro problema sull'avantreno si è aggravato. Stiamo facendo pressione su Michelin perché risolva la situazione, non solo per aiutare Ducati, ma anche per tutte le altre squadre che soffrono dello stesso problema. Vedremo cosa succede quest'inverno, e se Michelin ci farà provare un nuovo anteriore, quando andremo a fare i test in Malesia e Qatar. È una situazione politica: noi non possiamo che aspettare un nuovo anteriore."

Michelin ha già da tempo annunciato lo sviluppo di una nuova copertura anteriore, chiesta a gran voce da tante squadre, il cui debutto era previsto per il 2021. Il problema nasce però dal fatto che i problemi legati alla pandemia hanno spinto la Casa di Clermont-Ferrand a rimandarne l'arrivo di un anno. Ma perché Ducati ne dovrebbe avere bisogno più di altri?

Il motore al centro

Se c'è un aspetto in cui la Desmosedici raramente ha temuto confronti, sicuramente si tratta del motore. Dai primi exploit di Loris Capirossi ai test di Barcellona (e successivamente in gara) nel 2003 agli allunghi in rettilineo dell'era delle 800, fino a quella superiorità che le viene riconosciuta dagli avversari ancora oggi, la potenza del V4 di Borgo Panigale è uno dei punti fermi della MotoGP.

 

 

Un motore che ha condizionato, per schema e dimensioni, ma probabilmente in seguito anche per strategia tecnica, la distribuzione dei pesi della Desmosedici. E che, per certi versi, ha condizionato un po' tutta la MotoGP dalla fine degli anni 10. Perché quando, a fine 2004, Ducati è passata a Bridgestone, ha potuto contare su una linea di sviluppo dedicata da parte della Casa giapponese che - erano altri tempi, con altri budget a disposizione - per accelerare il percorso verso la competitività si permetteva di creare gomme specifiche sulla base delle specifiche esigenze delle MotoGP di Kawasaki, Suzuki, Honda e infine Ducati.

Con un motore a "L", fisiologicamente lungo e non posizionabile troppo avanti nel telaio, la Ducati era... bravissima a dare grip meccanico al retrotreno, molto caricato dalla distribuzione dei pesi, e aveva viceversa bisogno di un anteriore capace di generare un forte grip chimico, in maniera da compensare l'inevitabile carenza di carico. Così nacquero quelle Bridgestone capaci di supportare Ducati nella conquista di quell'epocale titolo 2007. Quelle Bridgestone che avevano quell'anteriore in specifica RJ, dal grip infinito ma rigidissimo, che solo Rossi e Stoner amavano.

Quelle Bridgestone che Yamaha, per tramite di un Valentino Rossi il quale - appunto - chiese esplicitamente "le gomme di Stoner", ebbe sulla M1 a partire dal 2008. E che determinarono un grande lavoro, svolto dal team di Burgess, per cambiare la distribuzione dei pesi sulla Yamaha, che viceversa era corta e puntata davanti come richiedevano le Michelin dell'epoca. Con il 2009, l'avvento del monogomma ha fatto sì che da un lato tutti i costruttori adattassero le loro MotoGP alle esigenze delle Bridgestone. Dall'altro, però, le stesse Bridgestone sono diventate più equilibrate nel grip di anteriore e posteriore, per poter soddisfare le richieste del resto delle Case costruttrici. E lì sono iniziati i problemi di Ducati.

Alla ricerca del grip perduto

Premesso che nessuno di noi ha facoltà d'ingresso nel reparto corse Ducati, e che stiamo ovviamente semplificando molto la vicenda, la logica suggerisce come per tutti questi anni Ducati abbia lavorato incessantemente per cercare di far collimare la propria strategia tecnica - sfruttare al meglio la superiorità motoristica - con la necessità di far rendere gomme pensate e sviluppate per moto più convenzionali nella distribuzione dei pesi. Il quattro cilindri bolognese, rimasto sempre fedele (a quanto ne sappiamo) all'angolo di 90°, è stato ruotato all'indietro passando da "L" a semplice "V" per accorciare la moto e caricare l'avantreno, e si è passati a soluzioni ciclistiche più convenzionali come il doppio trave in alluminio, per poter modulare meglio rigidità e flessibilità. L'impressione però, almeno osservando dall'esterno, è comunque quella di una moto con più carico sul retrotreno rispetto alle rivali.

Una caratteristica che le permette di avere più trazione, di scaricare a terra meglio la potenza di cui è capace il motore, ma che con ogni probabilità è almeno in parte responsabile di quel comportamento sottosterzante (quel "non tornare" di cui si è sempre lamentato Dovizioso) che l'ha penalizzata in questi anni. Le conseguenze di questa caratteristica sono state quasi sicuramente esacerbate dal maggior grip al retrotreno messo a disposizione dalla Michelin 2020, che per contro - storicamente - non ha un anteriore altrettanto comunicativo e "aderente" come le Bridgestone. Da qui - siamo sempre nel campo delle ipotesi, sia chiaro - le maggiori difficoltà a tenere calda la gomma anteriore lamentate più o meno da tutti i piloti Ducati, e da qui la preghiera di Tardozzi di poter avere un nuovo anteriore che riequilibri la situazione, riportandola perlomeno a quella del biennio 2018/2019 in cui sulla Desmosedici i tecnici erano riusciti a trovare, almeno in parte, la quadra fra la trazione in uscita di curva e la capacità di far lavorare l'anteriore.

Tutta colpa del regolamento

Una situazione sicuramente complicata dai vincoli allo sviluppo e ai test imposti dall'emergenza Covid-19, e in generale a un regolamento che, in nome del contenimento dei costi, lega le mani agli ingegneri con congelamenti dei motori (spostare un propulsore all'interno di un telaio non è semplicemente questione di cambiare gli attacchi...), ma soprattutto impone un sempre crescente numero di componenti uguali per tutti.

Nella fattispecie, le gomme. Se da un lato è innegabile come la competizione fra gommisti, a metà anni 2000, avesse portato a una situazione di disparità prestazionale quasi paradossale - a seconda del circuito chi aveva uno o l'altro fornitore partiva già battuto - dall'altro è evidente come in un campionato dedicato ai prototipi (le derivate di serie sono un altro discorso) il doversi adattare a una struttura unica degli pneumatici limiti fortemente la fantasia dei tecnici. Invece di poter scegliere una strada, potendo contare sull'aiuto del gommista, è necessario... confluire tutti verso lo schema che permette di far rendere al meglio struttura e mescole messe a disposizione.

Un rimedio universale non esiste, naturalmente: ammesso di voler tornare a una situazione di concorrenza (che però, al di là di considerazioni sui costi, che sono comunque meno scontate di quanto non possa sembrare, potenzialmente potrebbe penalizzare lo spettacolo, come abbiamo visto qui sopra) non sarebbe affatto garantita la presenza di più di un fornitore interessato a partecipare, e men che meno quella di volontà e risorse necessarie a esplorare direzioni di sviluppo personalizzate, come è avvenuto a suo tempo.

Ciononostante, anche in un'epoca in cui offrire spettacolo è indispensabile per permettere la sopravvivenza del nostro sport preferito, fa un po' strano pensare che nella massima espressione tecnologica del motociclismo la competizione sia, per lo più, rivolta a trovare nei dettagli, nei cosiddetti guadagni marginali, qualcosa per poter fare la differenza. Perché nella sostanza, il 90% del gioco sta nel far rendere al meglio quelle cose tonde e nere che, certo, sono oggetti molto più misteriosi e complicati di quanto non possa sembrare all'osservatore casuale. Ma che, alla fine della giornata, pur nella loro meravigliosa diversità, rimangono oggetti che possono affascinare un chimico o pochi altri. E che però, spesso, pesano sulla classifica molto più delle prestazioni della moto e del pilota che la guida.