MotoGP: Il mondiale? Comincia a Jerez

MotoGP: Il mondiale? Comincia a Jerez
Lo sosteneva un vecchio adagio del Motomondiale. Forse vero ancora oggi, anche se per motivi differenti
14 aprile 2016

Lo ripetevano spessissimo ad ogni inizio Mondiale gli addetti ai lavori di fine anni 80: “Il mondiale inizia a Jerez”. Il calendario partiva, dal 1987 in avanti, a Suzuka per poi passare a Laguna Seca e poi, dal 1989 in avanti, in Australia. Sostanzialmente si apriva con una trasferta extracontinentale in tre zone molto particolari, per poi iniziare il (non a caso) continental circus appunto a Jerez, per tradizione apertura della stagione europea.

Tre gare, quelle di Giappone, Stati Uniti ed Australia che vedevano ordini d’arrivo irriconoscibili per gli appassionati del vecchio continente. A Suzuka le Case giapponesi riempivano la griglia di velocissime moto ufficiali guidate da piloti che lontano da casa non combinavano granché, ma nella terra del Sol Levante (quando stavano in piedi…) monopolizzavano le prime posizioni; a Laguna Seca e Phillip Island, o Eastern Creek che fosse, scendevano in pista i locals che all’epoca facevano paura, perché all’epoca americani ed australiani in 500 (e a volte in 250 e 125) facevano il bello e il cattivo tempo.

Si trattava di wild card che correvano però solo lì. Gli appassionati dagli “anta” in avanti si ricordano sicuramente gente come Filice, Honma, ma anche i vari Ueda, Beattie, Kocinski, Abe che prima di passare al Mondiale in pianta stabile si… fecero notare in quelle gare. Un po’ che conoscenza del tracciato, motivazione e velocità pura gli conferivano un vantaggio non indifferente, un po’ che chi aveva sale in zucca sapeva bene come non fosse il caso di rischiare l’osso del collo per prendere qualche punto in più contro piloti che poi non avrebbero corso il resto del Mondiale, fatto sta che gli ordini d’arrivo delle prime tre gare non venivano considerati granché significativi. E si ripeteva come un mantra “Il mondiale inizia a Jerez”.
 

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Un detto che vale ancora

Per certi versi, ma per motivi molto differenti, il principio sembrerebbe valido anche quest’anno, con un calendario che da un paio di stagioni propone Qatar, Argentina e Texas come prime prove del Mondiale. Le wild card di oggi – quando ci sono – non scombussolano più le classifiche di inizio stagione e non fanno più tanta paura (Stoner a parte…) ma mai come quest’anno la situazione fa tornare alla mente quel vecchio adagio.

Il motivo è piuttosto semplice, e va ricercato nelle gomme: Michelin, debuttante in veste di fornitore unico dopo il passaggio del testimone da parte di Bridgestone, ha incontrato qualche (prevedibile) problema nelle prime gare, e a prescindere da punti fermi quali la micidiale efficacia di Marquez, è difficile convincersi fino in fondo che gli ordini d’arrivo di queste prime tre prove non siano da prendere un po’ con le molle.

Non fosse altro perché tutti i piloti, al di là delle dichiarazioni ufficiali, a colpi di mezze verità hanno ammesso come nei limiti di quella che è una gara della MotoGP abbiano cercato di stare dalla parte della ragione. Il fatto che in staccata si siano viste più cadute che sorpassi ci sembra abbastanza rivelatore: chi ha osato spesso ha pagato.

Difficile che questi problemi sull’anteriore spariscano magicamente a partire da Jerez, ma è anche vero che in Europa Michelin può contare su due grandi atout. Il primo è la possibilità di rimediare in tempo quasi reale ai suoi problemi; quell’operatività just-in-time che gli permetteva di portare ai suoi piloti ufficiali gomme fatte su misura per la domenica basandosi sui risultati del venerdì non potrà venire replicata, perché farlo per 25 piloti è ben diverso dal farlo per quattro/sei piloti come succedeva allora, ma allo stesso tempo il processo di sviluppo andrà avanti gara per gara, e la logistica europea consentirà ad una casa europea di far arrivare pneumatici “corretti” ad ogni Gran Premio.


 

Non dobbiamo nemmeno sottovalutare il fatto che i tracciati europei sono quelli su cui Michelin dispone di più dati ed esperienza. Non è un caso che i circuiti classici siano stati gli ultimi in cui la supremazia transalpina è caduta davanti all’offensiva nipponica

Non dobbiamo nemmeno sottovalutare il fatto che i tracciati europei sono quelli su cui Michelin dispone di più dati ed esperienza. Non è un caso che i circuiti classici siano stati gli ultimi in cui la supremazia transalpina è caduta davanti all’offensiva nipponica dal 2005 in avanti: la conoscenza delle situazioni che si verificano in pista e la mole di dati di cui Michelin può disporre (anche se tutti da aggiornare, certo) le renderanno il lavoro molto più semplice. E con gomme più prevedibili sarà facile assistere a gare più simili a quelle delle scorse stagioni. O almeno speriamo, perché pur pensando che la caduta – possibilmente non cruenta – sia parte inevitabile dello sport motociclistico, ci piacerebbe tornare a vedere sorpassi in staccata. E i sorpassi in staccata si fanno quando il pilota si fida del “davanti”.

C’è anche un altro aspetto interessante quest’anno che propone un altro parallelismo verso il passato. Ricordate il discorso su Marquez fatto in apertura? A parte il Qatar, dove non a caso l’abbiamo visto efficace ma abbastanza abbottonato, nelle altre due gare Marc ha stracciato la concorrenza. Al netto di tante variabili, la situazione ci ricorda un po’ quella degli americani contro gli europei di trent’anni fa. Allora le gomme erano quello che erano, e chi sapeva sfruttare la moto fuori assetto, “sterzando con il posteriore” come amava dire Kenny Roberts parlando di guida in derapata, aveva un vantaggio incredibile su chi, nato e cresciuto sull’asfalto, guidava pulito con grandi velocità in percorrenza.

L’impressione è che la situazione si stia un po’ riproponendo. Tutti i piloti che hanno interpretato al meglio le Bridgestone e le moto nate e sviluppate, meccanicamente ed elettronicamente, per sfruttarle come Lorenzo, Pedrosa, o lo stesso Rossi che ha cambiato stile apposta, sono in sofferenza. La fiducia sull’avantreno manca, e quando si prova a forzare si incappa in scivolate, che portano ad ulteriori perdite di fiducia.

Marquez – che, a scanso di equivoci, non è che fosse in difetto nell’interpretazione della Bridgestone – è risultato il pilota più efficace per doti innate ma anche per stile di guida, da sempre molto sporco, con la moto spesso fuori assetto sia in staccata che in accelerazione, e quindi più efficace quando l’anteriore non offre l’aderenza ideale.

Il mondiale inizierà a Jerez, lo crediamo fermamente. Quello su cui non scommetteremmo è il fatto che ci possa proporre un dominatore diverso.

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