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Fuori Marc Marquez per infortunio, sembrava che Andrea Dovizioso dovesse avere vita facile. A maggior ragione dopo aver conquistato il podio a Jerez1, pista storicamente ostica per il Dovi. Invece, a parte l’acuto in Austria, quella prestazione è rimasta quasi isolata, con il pilota della Ducati travolto da una serie di problemi tecnici ed emotivi: il risultato è un quarto posto in classifica e una sola vittoria, dopo le sei del 2017, le quattro del 2018, le due del 2019. Tre anni nei quali Andrea è sempre stato il principale avversario di Marquez: ecco perché era normale pensare che il 2020 fosse l’anno buono. Cosa è successo? Proviamo a capirlo.
Ma sul campionato di Andrea Dovizioso ha pesato in modo determinante quanto accaduto durante l’inverno, fino all’annuncio alla vigilia del GP d’Austria: “Ho deciso di non continuare con Ducati”. Una scelta arrivata dopo mesi - anzi, anni - di tensioni, incomprensioni, litigi continui, sospetti da una parte e dall’altra.
Il Dovi è arrivato alla rottura per esasperazione: una rabbia che nella prima gara di Zeltweg è riuscito a trasformare in energia positiva, ma che nel proseguo della stagione l’ha prosciugato psicologicamente. Anche perché, dopo l’euforia iniziale di avere tutti dalla sua parte, Andrea si è reso conto che il futuro si faceva sempre più incerto, che le possibilità di correre nel 2021 non c’erano.
Inevitabile avere ripercussioni sul rendimento in pista, anche se il Dovi ha sempre minimizzato questo aspetto. “Siamo umani, tutto incide, ma i miei problemi sono tecnici, non psicologici: non riusciamo a far lavorare la gomma posteriore, non posso più guidare come facevo prima” ha ripetuto decine di volte. Ma se non sei sereno dentro al box, è molto difficile, per non dire impossibile, essere veloci in moto.
Il costante calo di successi anno per anno dice che, forse, il 2020 è soltanto la conseguenza di una involuzione tecnica che la gomma posteriore Michelin ha solo acuito.
Non ci si può dimenticare, però, che la Ducati ha conquistato il mondiale Marche: la classifica dice che è stata la migliore moto di questa stagione. D’accordo, la Casa di Borgo Panigale ha potuto contare su più piloti di tutti gli avversari - sei in totale, in cinque hanno contribuito a conquistare il titolo che mancava dal 2007, l’anno del trionfo di Casey Stoner -, ma in ogni caso è giusto sottolineare come la Desmosedici sia comunque una moto competitiva.
Il problema di questa stagione è che lo è stata quasi in ogni gara, ma sempre con piloti differenti: a Jerez1 con Dovizioso; a Jerez2 con Bagnaia; a Brno con Zarco; a Zeltweg1 con Dovizioso e Miller; a Zeltweg2 con Miller e Dovizioso; a Misano1 con Bagnaia; a Misano2 con Bagnaia; a Le Mans con Petrucci (e Miller); a Valencia2 con Miller; a Portimao con Miller.
Come si vede, quindi, la Ducati è spesso stata competitiva - è andata veramente in crisi nei due GP di Aragon e nel primo di Valencia -, ma non c’è mai riuscita con continuità con un solo pilota, come se la buona prestazione fosse dovuta più al lavoro del singolo con la sua squadra, alla sua adattabilità alla pista e a certe condizioni, piuttosto che a una base solida, come avveniva in passato.
Come ha sottolineato l’ingegner Gigi Dall’Igna: “Vincere un campionato del mondo è sempre importante, è una conferma della tecnologia sviluppata in questi anni. Purtroppo, il 2020 è stato complicato per la mancanza di test e con una novità importante come quella della gomma posteriore, questo è stato un limite, perché durante il fine settimana di gara è sempre difficile fare prove. I piloti hanno avuto tanti alti e bassi? Fa parte della stranezza di questo mondiale, tutti i protagonisti sono stati altalenanti nelle loro prestazioni. Bisognerà fare un ragionamento su questo: noi siamo andati veramente male solo ad Aragon e a Valencia1, bisogna trovare una messa a punto per fare lavorare le gomme in condizioni climatiche così difficili. Non è una scusante, solo un’analisi di quello che è successo. Suzuki ha vinto con una moto più semplice? Noi dobbiamo sviluppare tecnologia, dobbiamo seguire la nostra strada: Ducati è sempre stata più avanti degli altri”.
La mancanza di test ha quindi impedito a Dall’Igna e ai suoi tecnici di capire e sfruttare al meglio la Michelin 2020, ma rimane il fatto che durante l’anno non ci sia mai stato un chiaro miglioramento, un aiuto tecnico per contornare una situazione complicata.
Oltre ai problemi tecnici e psicologici, il pilota Andrea Dovizioso non ha reso come avrebbe dovuto, considerando le sue potenzialità. Soprattutto in prova, come confermano i crudi numeri del 2020: Andrea non è mai partito in prima fila; la miglior qualifica è stato in Austria1, quarto (e poi primo al traguardo); solo due volte è scattato dalla seconda fila (in Francia, oltre che in Austria); ben cinque volte non è entrato in Q2; tre volte si è qualificato in sesta fila. Insomma, un disastro nella MotoGP di oggi: nel giro secco, AD04 avrebbe dovuto fare molto meglio. Così ha compromesso tanti GP, dove avrebbe anche potuto essere competitivo, considerando il passo poi tenuto la domenica.
Le qualifiche sono sempre state un suo limite, ma in passato riusciva comunque a metterci una pezza in gara, anche perché perfettamente a suo agio con la moto; non avendo in mano la GP20, per la questione gomme, questa difficoltà è diventata decisiva. Inoltre, Andrea avrebbe dovuto sfruttare meglio la sua esperienza e velocità, riuscendo a essere il punto di riferimento di Ducati, come è sempre accaduto in passato. Quest’anno non ci è riuscito. E così, per tutto questo, è sfumata la possibilità di conquistare il titolo.
Purtroppo, non ci sarà un’altra possibilità. Perlomeno con la Ducati.