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La liberalizzazione del diametro per i dischi in fibra di carbonio utilizzati sulle MotoGP, avvenuta qualche giorno fa, non è che il primo passo di un processo necessario a spegnere i diversi campanelli d'allarme suonati negli ultimi tempi nella classe regina del Motomondiale.
L'episodio verificatosi sulla Ducati di Cal Crutchlow non è infatti che il più recente ed evidente sintomo di un fenomeno balzato agli onori della cronaca fin da quando, due anni fa, Ben Spies rimase completamente senza freni sul tracciato di Motegi. Non è un caso - anche se il problema non è necessariamente legato al peso - che tutti i piloti Yamaha, con particolare riferimento ai più aggressivi in staccata (Crutchlow e Rossi) abbiano passato la stagione 2013 a lamentarsi di una moto che "non si ferma".
La prima, più immediata, soluzione al problema è stata identificata nell'abolizione del vincolo ad impiegare dischi da 320 millimetri su tutte le piste: entrato in vigore proprio alla vigilia dell'introduzione delle 1000, nel 2012, il provvedimento avrebbe dovuto ridurre i costi (doversi dotare di un solo tipo di disco è sicuramente più economico che doversi assicurare la disponibilità di due o più formati, senza contare tutte le possibili varianti in termini di ampiezza della pista frenante) e probabilmente è riuscito nel suo intento. Peccato però che l'aumento di cilindrata abbia però reso le MotoGP ben più veloci in fondo a tutti i rettilinei più lunghi del Mondiale.
Il problema non è certo finito qui, perché il passaggio alla cilindrata piena si è portato dietro - ironia della sorte, in ottica di sicurezza e contenimento dei costi - un aumento del peso minimo a 153 kg, dal quale ci si attendeva anche il beneficio aggiunto di limitare quelle velocità a centro curva più volte identificate come fattore di grande rischio per l'inadeguatezza delle vie di fuga di diversi circuiti in quel frangente. Il limite è salito due volte, raggiungendo per approssimazione successiva il limite dei 160 kg nel tentativo di ridurre il divario fra prototipi e CRT che, legate a propulsori derivati dalla serie ed allestite da team privati, faticavano per questioni tecnologiche e di budget a dimagrire più di tanto.
L'introduzione delle Open, pur mantenendo qualche vestigia delle precedenti CRT, ha risolto in gran parte i problemi di cui sopra, ed è evidente che il limite imposto non sia più necessario. Anche perché, come è facilmente comprensibile, un peso massimo più rilevante rende le moto più difficili da frenare e di conseguenza intrinsecamente meno sicure. Senza contare che una moto più leggera risulta evidentemente più guidabile, meno faticosa per i piloti (anche se le questioni di sindrome compartimentale potrebbero non trovare soluzione, perché derivanti in larga misura da altri fattori) e infine consumi di meno - cosa sempre gradita ai tecnici, alle prese con serbatoi sempre meno capienti.
Stando ai meglio informati (in questo caso il decano del giornalismo mondiale David Emmett) Mike Webb, direttore di gara permanente per la MotoGP, ha parlato di proposte in esame per la riduzione del limite a 155 o 150 kg: in entrambi i casi valori facilmente ottenibili dalle tre Case impegnate ufficialmente se si considera il regolamento originario della MotoGP, che nel 2002 stabiliva in 145 kg il peso minimo per le quattro e cinque cilindri.
Scendere ulteriormente sarebbe molto più impegnativo e costoso: il paragone con le vecchie 500 (prima a 115 e poi, dopo il 1990, a 130 kg) fatto da qualcuno non regge, dal momento che il motore a due tempi è fisiologicamente più leggero del quattro tempi a pari cilindrata - figuriamoci a cubatura doppia - e che allora non c'era tutto il bagaglio di elettronica che le attuali MotoGP si portano dietro.
Il problema è che questa riduzione, che dovrebbe teoricamente rendere la vita più facile agli impianti frenanti - meno massa da rallentare, meno energia cinetica da disperdere - potrebbe paradossalmente causare un effetto boomerang ed aggravare il problema se entrasse in vigore prima dell'arrivo di Michelin nel ruolo di fornitore unico per gli pneumatici. Vediamo perché.
Abbiamo parlato prima di energia cinetica. Per i meno avvezzi, si tratta dell'energia posseduta da un corpo in movimento, e per estensione è l'energia da spendere, attraverso un lavoro, per accelerare o decelerare questo corpo. La formula matematica che ne definisce le proprietà dice che T (l'energia cinetica) è pari a 1/2 di M (massa) per V (velocità) al quadrato; T= ½ mv2.
La cosa da notare qui è una piccola (ma grande) differenza fra le ultime due grandezze, ovvero quel numerino finale che fa da apice, che fa si che la velocità “pesi” sull’energia cinetica per il suo quadrato, mentre la massa con semplice relazione lineare. Semplificando, una riduzione della massa ha effetti enormemente minori rispetto ad una riduzione della velocità.
Il problema è che la riduzione della massa fa sì che si riduca anche il lavoro necessario per aumentare l’energia cinetica – una moto più leggera accelera più rapidamente. Ammettendo che parta dalla stessa velocità di percorrenza, la moto più leggera risulterà probabilmente più veloce al termine del rettilineo, aumentando l’energia cinetica (e quindi il carico sui freni) più di quanto non farebbe qualche chilo in più. Se poi consideriamo che a parità di aderenza disponibile una moto più leggera sarà probabilmente capace di tenere velocità alla corda superiori, il problema potrebbe aggravarsi ulteriormente.
E’ certamente vero, per onor di cronaca, che l’accelerazione delle MotoGP attualmente è in gran parte limitata dalla tendenza all’impennata – controllata dall’elettronica – che probabilmente si accentuerebbe con una riduzione della massa. Insomma, potrebbe benissimo darsi che le velocità di punta crescano in maniera marginale, resta però che la dipendenza quadratica dell’energia cinetica rispetto alla velocità fa si che anche un piccolo aumento porti ad un peggioramento della situazione.
Un fattore importantissimo, forse l’unico su cui sia possibile agire realmente, sta quindi nella condizione di parità di aderenza. Con l’avvicendamento di Michelin a Bridgestone, nel 2016, è facile immaginarsi qualche stagione di assestamento in cui gli pneumatici della Casa francese non saranno in grado di offrire le stesse prestazioni delle attuali Bridgestone.
Il fatto che il cambio di fornitore coincida con il nuovo regolamento della MotoGP offrirebbe un’ottima occasione per prendere due piccioni con una fava, almeno a breve termine - le prestazioni delle Michelin con il tempo arriveranno ad equivalere e superare quelle delle Bridgestone di oggi. Pare però ormai certo che l’alleggerimento delle MotoGP avverrà con un certo anticipo, sortendo effetti che potrebbero non essere quelli desiderati. Restiamo in attesa, con la massima fiducia nei tecnici che decidono le sorti dei regolamenti.