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Lo spostamento delle Olimpiadi 2020 all’estate 2021 è un segnale importante: di fronte all’incertezza globale legata alla pandemia e ai suoi tempi, il CIO aveva provato a studiare il rinvio di qualche mese, ma alla fine ha deciso lo slittamento di un anno. Anche la MotoGP 2020, alla fine, dovrà saltare direttamente al 2021? Dorna prova giustamente a resistere.
“Stiamo lavorando - è stata l’ultima dichiarazione di Carmelo Ezpeleta - per l’unica soluzione possibile: un calendario modificato”. Perché certo, il nostro non è un evento unico, è fatto di tante prove e si può almeno tentare di disputarne il numero più alto possibile.
Tutto è legato al ritorno alla normalità. Si può ipotizzare che le condizioni siano sufficienti per scendere in pista il 3 maggio, per il GP di Spagna in calendario a Jerez? Oggi francamente sembra un’utopia: anche se in Italia - e noi siamo in anticipo di dieci o quindici giorni sugli altri Paesi europei - la stretta sarà allentata, le precauzioni da rispettare saranno ancora incompatibili con la mobilità necessaria a team, piloti e organizzazione per concentrarsi in Andalusia provenendo dai vari Paesi. Non illudiamoci, il 3 maggio è da cancellare, niente GP, nemmeno a porte chiuse. E mettiamo pure una riga rossa su tutto il mese di maggio e i suoi eventi.
Qualcuno ha ventilato: sarà per Barcellona il 7 giugno, oppure poco più avanti per il Sachsenring, o al massimo per Assen alla fine del mese. E con ottimismo si potrebbe anche immaginare che per giugno l’onda del virus sarà in gran parte superata, o per lo meno sarà sotto controllo. Ma la minaccia di seconde ondate, concordano gli studi scientifici, non sarebbe affatto scongiurata, e molte limitazioni alla circolazione resterebbero in vigore. Dorna dovrebbe studiare, insieme ai vari Paesi di provenienza di piloti e tecnici, corridoi protetti per gli spostamenti aerei e terrestri. Con complicazioni e costi altissimi e inadeguati alla severità dei tempi. Senza contare che ogni evento, ragionevolmente, sarebbe a quel punto disputato a porte chiuse senza poter contare sulla risorsa della vendita dei biglietti.
Per essere valido, dicono le regole, il mondiale FIM deve svolgersi su un numero minimo di tredici prove; e intanto, con i nostri ragionamenti, siamo già a metà dell’anno e nulla è ancora accaduto. E allora, la prima gara di MotoGP e MotoE (la seconda per Moto2 e Moto3 che sono già scese in pista in Qatar) sarà calendarizzata a luglio? O direttamente ad agosto?
A questo punto si capisce bene che purtroppo non è questo, oggi, il modo corretto per procedere con le ipotesi. Troppe sono al momento le incertezze di ogni genere. Proviamo allora a cambiare prospettiva: a noi tutti - ci pare - basta che si riprenda a correre, anche otto, anche cinque gare soltanto. Che i titoli vegano assegnati oppure no, a questo punto ha ben poca importanza.
Secondo noi, nella prospettiva di oggi, per tutto il settore sarebbe un ottimo risultato rivedere il massimo campionato in pista in autunno. Con il GP di San Marino il 13 settembre a Misano sarebbe fantastico. E a porte aperte… sarebbe addirittura un sogno. Successivamente, la scelta potrebbe essere quella del rispetto del calendario già tracciato, e dunque Aragón e poi Thailandia, Giappone, Australia, Malesia, Usa, Argentina e Valencia il 29 novembre. Oppure - ed è un’alternativa più concreta - tarando su un inedito calendario europeo le effettive risorse disponibili, che saranno lontane da quelle pianificate all’inizio della stagione.
Dobbiamo ricordare a questo punto che il motomondiale, in tempi normali, sposta circa duemila persone tra tecnici, piloti, organizzazione e giornalisti, e quattro arei da trasporto per il materiale, dalle strutture alle moto. Un Impegno enorme, sia sul piano logistico sia su quello economico.
Nel primo caso ipotizzato - che al momento appare anche troppo ambizioso - avremmo nove GP. Nel secondo caso si potrebbero pianificare anche solo cinque o sei gare, geograficamente più concentrate. E se la mobilità di uomini e mezzi, nei mesi di ottobre e novembre, dovesse restare ancora difficile, allora si potrebbe anche ridurre il numero di gare secondo le necessità. Vi basterebbero tre gare?
Potrebbe essere l’occasione per mettere in scena una formula inedita…
Se sognare è lecito - e niente può far bene come sognare, in una fase così difficile della nostra esistenza - allora diamo spazio ai desideri più profondi degli appassionati. Fino ad ora abbiamo trascurato il mondiale SBK, un po’ per necessità e un po’ per la considerazione che per due campionati 2020 ad alto livello, in questa disastrosa stagione, lo spazio non ci sarà.
Ecco la proposta. Nel caso restasse sul tappeto l’unica opzione di un numero molto limitato di Gran Premi, perché non far scendere in pista MotoGP e Superbike insieme? Lo so, Jonathan Rea ha già in qualche modo bollato questa ipotesi come "una barzelletta", ed ha perfettamente ragione. Ma il mattatore delle derivate parlava in astratto - respingeva l’ipotesi di una sua wild card in mezzo alle GP - mentre noi proviamo a modellare il confronto in modo concreto.
Due classifiche separate, certo, ma una gara sola. Oppure anche due gare in due giorni diversi sul format della SBK, poco conta. Immaginiamo venticinque partenti, la griglia stabilita dopo qualifiche in qualche modo compensate, per non avere venti GP e cinque derivate in pista, ma un maggiore equilibrio.
Vincerebbe ancora Márquez? Marc o il Dovi o Rins, molto probabilmente, come è praticamente certo che vincerebbe una MotoGP anche in condizioni particolari, anche sul bagnato. Ma io immagino che vedremmo delle meravigliose sfide inedite ed eterogenee, magari Rea e Razga che stanno a lungo nel gruppo dei primi, Lowes e Davies che si sportellano con Iannone, Bautista in recupero che se la gioca con altri due ducatisti come Bagnaia e Miller. E Valentino dove sarebbe? E Alex Márquez supererebbe le qualifiche? E le Pirelli, e le Michelin? E…
Perché il punto è: tornare a correre è vitale, per tutto il settore e per la nostra passione. Servono coraggio e fantasia.
Voi lettori, che ne pensate?