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Quanto è complicato gestire due galli nel pollaio? Tra le squadre di punta della MotoGP c’è Honda che con superMarquez non ha questo problema, c’è Ducati che ha Dovizioso numero 1 nei fatti anche se non è scritto sul contratto, e poi c’è Yamaha che di fianco a Valentino Rossi aveva Jorge Lorenzo, dal 2017 ha Maverick Vinales e dal prossimo anno metterà Fabio Quartararo nel box con Vinales.
Affiancare due piloti di punta nella stessa squadra è una condizione piena di rischi, ma Lin Jarvis, abile manager di Yamaha Motor Racing in MotoGP, preferisce dover risolvere quel genere di problemi piuttosto che avere in squadra un pilota numero 1 e un pilota numero 2. Almeno così afferma nell’ambito del podcast “Last On The Brakes" ai presentatori della MotoGP Matt Dunn e Fran Wyld, in un intervista rilanciata dal sito speedweek.com.
Al centro del discorso Valentino e Jorge, che sono stati insieme nel team Yamaha per un totale di sette anni, prima dal 2008 al 2010 e poi, dopo il biennio che Rossi passò in Ducati, dal 2013 fino al 2016. La loro è stata a tratti un'aspra rivalità, gli appassionati ricordano bene quanto li divise il finale del 2015, ma tante altre sono state le occasioni di tensione tra due piloti veloci, vincenti, orgogliosi e poco disposti a tacere quando provocati. Sono state sette stagioni emozionanti anche per Lin Jarvis. Come ha affrontato quella fase?
"Con sensibilità, diplomazia e lavoro. Naturalmente - ha precisato il manager britannico - è stato un periodo molto positivo, ma anche piuttosto difficile: perché ogni atleta di punta è concentrato sul proprio successo e sui propri obiettivi, e l'ultima cosa che gli interessa sono gli obiettivi del compagno di squadra e se li raggiungerà o meno. Tu devi prenderti cura di tutti e due, individualmente, e assicurarti di trattarli in modo equo. E poiché non esiste una regola, ogni volta occorre adeguarsi alle diverse situazioni”.
Muri nel box, muri nel rapporto tra i due piloti, si è visto di tutto tra Jorge e Valentino. E Jarvis ammette che mediare non è mai facile.
“Noi cerchiamo di mantenere la nostra filosofia nei confronto dei piloti, però se uno vuole questo ma l’altro vuole l’opposto, allora dei fare in modo di distaccarti. In questo sport - ha detto - ci sono dei momenti caratterizzati dal grande ego, e ti trovi a dover gestire quello del pilota, quello del suo entourage e poi le aspettative e le richieste che a volte non riesci proprio a soddisfare. È piuttosto complicato, ma preferirei sempre competere con due top rider piuttosto che con un primo e un secondo pilota. È una sfida più grande e più eccitante”.
E sul prossimo futuro Jarvis ha concluso.
“Sono convinto che la squadra del prossimo anno sia buona: lo è quella di quest’anno ma lo sarà anche quella della prossima stagione. Maverick e Fabio sono due giovani, entrambi di altissimo livello. Il nostro obiettivo è quello di tornare vincenti”.
Ma certamente, aggiungiamo noi, la gestione di due top rider non è cosa alla portata di tutti.
E’ indispensabile che la figura chiave del team sia all’altezza della situazione, e in questo caso la qualità e l’esperienza del “managing director” di Yamaha Motor Racing sono di un livello superiore allo standard. Non vogliamo fare confronti e nemmeno nomi dell’epoca attuale, non sarebbe di buon gusto, ma se guardiamo al passato verifichiamo che mai due top rider sono stati nella stessa squadra per più di due o tre anni. Troppo complicato gestirli.
Perché un pilota di punta è sempre dotato di una grande personalità e non ammette sconfitte, ma fatalmente è soltanto uno dei due che vince. L’epilogo più frequente nella storia del motociclismo? Uno vince e l’altro va in crisi e magari abbandona.
Talvolta invece uno dei due piloti ha trovato altre strade per poter continuare, come è capitato ad Hailwood con Ago e poi ad Ago con Read.
Le scintille tra Phil Read e Bill Ivy in Yamaha (250 e 125), come più tardi quelle tra Pileri e Bianchi alla Morbidelli in 125, furono spente soltanto quando il direttore sportivo o il patron decise a tavolino chi doveva vincere.
Difficile evitare il duello fratricida tra due grandi piloti. Viene in mente Jean Todt quando dirigeva la squadra Peugeot alla Parigi Dakar negli anni Ottanta: Vatanen e Ickx dominavano il rally, ma ogni giorno si battevano tra loro sempre più duramente rischiando la catastrofe.
Il piccolo napoleone francese lanciò la monetina e poi disse “Vatanen”. Il belga masticò amaro per un paio di giorni ma si arrese.