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Apprezzo molto Joan Mir come pilota e come persona. Un titolo mondiale può capitare anche per caso, ne abbiamo visti tanti in mezzo secolo di corse, ma due titoli non arrivano se non hai classe e talento. Ho poi avuto modo di passare qualche ora con Joan fuori dal paddock e l’ho trovato semplice, disponibile, diretto. Mi piace.
Guardare il video pubblicato da HRC mette addosso una gran tristezza. Mir si scopre, si racconta: la sua infanzia a Palma di Maiorca è quella di un bambino un po’ introverso, coccolato dal papà che ha un negozio di skateboard e abbigliamento dedicato. Il piccolo Joan ama il mare, ama pescare, fa sport e a un certo punto arriva come tutti alle piccole moto e vince, vince tutto e facilmente fin da subito. “E continuerà a vincere” assicura il babbo.
Della mamma non si parla e naturalmente è un peccato, sia perché come tutti sanno è una bellissima donna, sia perché la mamma è la mamma e tante cose in più sarebbero saltate fuori. Si accenna alle prime corse nazionali, a quelle internazionali, al primo titolo in Moto3 e a quello in MotoGP con la Suzuki. Molto velocemente Mir diventa un campione e finisce alla Honda.
Il quadro è spietato e bisogna riconoscere ad HRC una rara onestà intellettuale. Anche se il finale amarissimo è molto più rapido della prima parte. Pochi minuti. Ed è un pochino masochistico il racconto del passaggio dall’orgoglio alla tragedia, il racconto del pilota fiero di essere approdato alla squadra dei suoi sogni e che finisce nel dramma della stagione 2023.
Cadute (soltanto due, senza insistere troppo) , facce scure, “il momento più complicato della mia vita” ammette sconsolato Joan Mir. Anche il padre è sbigottito, ma tenta ugualmente di guardare al futuro con ottimismo: “ci sono momenti molto brutti nella vita, ma loro stanno lavorando e ne verranno fuori”.
Fa tenerezza, Joan, è un gran bravo ragazzo e non meritava di finire nel tritacarne, nell’incubo. Chissà quando e come ne usciranno davvero, da questa crisi, lui e la HRC.