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MONTMELO’ – E’ passata ormai più di una settimana, ma Danilo Petrucci ancora non ci crede. «Non ho ben realizzato, anche se c’è un sacco di gente che mi fa i complimenti» scherza Danilo, che nel 2019 affiancherà Andrea Dovizioso nel box Ducati ufficiale.
«Per la verità, la firma non è ancora stata messa, anche se siamo d’accordo su tutto… Come capita ai “cornuti”, sono stato l’ultimo a saperlo: a me l’hanno detto dopo la gara del Mugello, mentre tutti lo sapevano già dal giovedì prima del GP d’Italia… Se non altro, questa notizia è servita per smaltire un po’ di rabbia per la gara rovinata dall’entrata di Márquez alla seconda curva. Nel 2016, ad Aragón, io feci qualcosa di simile a Scott Redding e venni punito con un “ride through”: evidentemente, nonostante tutti i discorsi e le promesse di essere più severi, è possibile spingere un pilota fuori pista senza essere puniti. In ogni caso, sapere che nel 2019 sarò nel team ufficiale Ducati è stata una bella sensazione».
Come è giusto che sia, Petrucci rimane concentrato su questa stagione («l’obiettivo è finire nei primi cinque del mondiale, e qui vorrei fare una bella gara: nel 2017 caddi a due giri dalla fine mentre ero quinto»), ma è impossibile non guardare alla prossima.
«Sinceramente non so dove e come la moto possa essere migliore di quella che ho oggi. Ci saranno più persone che ci lavorano, più materiale da provare; avrò più pressione e responsabilità, ma non so bene cosa aspettarmi, se non che quella Ducati sia dell’1% meglio di quella che ho oggi: una piccola differenza che però può dare un grande aiuto in una gara» è la sua speranza.
Al di là di come sarà la moto, la certezza è che Petrucci ha fatto qualcosa di grande per arrivare fino al team ufficiale: la sua carriera, totalmente differente da quella tradizionale di un pilota di MotoGP, è la conferma che con la dedizione e la voglia di non darsi mai per vinti, si può arrivare lontano. «Effettivamente l’inizio in MotoGP non è stato facile: ho fatto per tanto tempo ultimo in tutti i turni i prova, in qualifica, in gara…» ripercorre il suo primo anno Danilo, penalizzato da una moto per niente competitiva e da una squadra tra le peggiori del campionato. Nonostante questo, Petrucci è bravo a ringraziare chi gli aveva dato quella opportunità: per altri avrebbe significato la fine certa della carriera ancora prima che iniziasse, mentre per lui è stato effettivamente il modo per arrivare alla squadra ufficiale Ducati. «Per tanti motivi, non ho fatto la trafila che fanno tutti, perché ai miei tempi per fare la 125 ci volevano tanti soldi, che noi non avevamo, e perché ero già più di 1 metro e 70 ed ero troppo grande per quelle moto. Per questo ho iniziato subito con le quattro tempi: sono stato fortunato che, successivamente, anche il motomondiale è passato a quel tipo di motore. Poi mi ha aiutato la parentesi della CRT, con l’apporto fondamentale di Gianpiero Sacchi, che ne ha costruita una a Terni: non era competitiva, ma perlomeno ho potuto partecipare alla MotoGP (è con quella moto e quella squadra che il 99,9% dei piloti avrebbe smesso, NDA). La vera svolta è arrivata con il team Pramac, ma sarebbe stato più facile partire dalla Moto3».
Bravo Danilo: passare in sei anni dal ruolo di collaudatore (della SBK) a pilota nel team ufficiale Ducati MotoGP è un’impresa quasi impossibile.