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Lo diciamo spesso, noi giornalisti di settore, ai lettori che incontriamo dal vivo: quello che vedete è solo la parte bella del nostro lavoro. Dietro ogni articolo, video, contenuto social di cui fruite, solitamente c'è un volume di lavoro faticoso, a volte noioso, tante scomodità e via discorrendo. Per carità, lungi da me e da noi lamentarci: facciamo davvero il lavoro più bello del mondo, ma come tento spesso - e inutilmente - di spiegare a mia moglie quando si stupisce che sia stanco al ritorno da una trasferta, di lavoro si tratta e come tale impegna e costa fatica. Perché per citare uno dei decani da cui ho imparato il mestiere, non siamo pagati per guardare o guidare le moto, ma per raccontarle.
Tutta questa introduzione, però, mi serve stavolta per arrivare al racconto di una notevole eccezione alla regola di cui sopra. Perché capita - o meglio, capitava più spesso in passato - che qualche trasferta sia più bella e meno frenetica del solito, e che diventi l'occasione per vivere (e raccontare comunque, anche se con più calma...) viaggi ed esperienze memorabili.
Andiamo indietro di ormai quasi nove anni, ero un "semplice" collaboratore di Moto.it. Nell'estate del 2013 Yamaha organizzò la trasferta per la presentazione della XV950, la prima di quella famiglia Sport Classic che cambiò poi in Faster Sons con l'arrivo delle XSR. Il PR che allora organizzava gli eventi per Yamaha lancia una proposta indecente. Vista la collocazione in calendario dell'evento - nella stessa settimana di quello che sarebbe diventato l'ultimo GP corso a Laguna Seca, almeno ad oggi - Yamaha si offriva di spostare il biglietto di ritorno alla domenica, consentendo a chi voleva (ed era disposto a pagarsi la "vacanza"...) di assistere alla gara, naturalmente con pass gentilmente offerti dalla Casa.
Insomma, la presentazione stampa è diventata l'occasione per conoscere Shinya Kimura e Roland Sands, viaggiare (in auto) lungo la costa californiana con un'allegra combriccola, ma soprattutto assistere al Gran Premio da semplice spettatore, sia pure privilegiato. Munito di reflex - anche se purtroppo di ottica non all'altezza dell'occasione - il sottoscritto si piazza al Cavatappi, confortato dalla presenza di Gigi Soldano nelle vicinanze. E sfruttando il pass Track, quello che permette di andare praticamente ovunque inizia a scattare a ogni occasione.
Warmup, giro d'allineamento, gara, uno scatto dopo l'altro. Il problema, come ben potete immaginare, è che pur cambiando un po' posto e prospettiva, il servizio risulta leggermente monotono. Quindi, dopo tre giri, mi sposto dall'altra parte della cabina dei commissari. Perdo la vista sul Corkscrew, prendo la staccata dopo la curva sette. Alla tornata successiva, dopo Bradl, arrivano Rossi e Marquez praticamente appaiati. Marc all'esterno, Vale all'interno. Scatto a raffica, prendo la sequenza, li tengo fino alla cabina, dopodiché sento il boato della folla e... so di essermi perso qualcosa di epocale. Torno di corsa dov'ero prima, dove trovo il "Canz", Carlo Canzano, che mi racconta cos'è successo. E giustamente mi sfotte per un paio d'ore quando scopre che me lo sono perso.
Recupero la cronaca della gara del nostro Zam, e mi rendo conto che qualcosa non torna. Però nella sostanza la cosa non cambia nulla, quindi le foto finiscono nell'archivio dei ricordi, e la sequenza salta fuori solo quando... voglio raccontare agli amici di come sia riuscito a perdermi con puntualità svizzera uno dei momenti più celebri della MotoGP degli ultimi anni. Ma la sequenza, come dico sempre, dimostra anche un'altra cosa. Che quel sorpasso lì, quello del 2013, non solo è diverso (tranne che nelle fasi finali) da quello del 2008 di Rossi su Stoner, ma a voler essere pignoli non è nemmeno un sorpasso. Perché dei due, quello che stava cercando di (ri)passare al Cavatappi era Rossi e non Marquez.
Guardate con attenzione la gallery qui sotto, nella sequenza in cui viene proposta e poi vi spiego...
È il quarto giro, uscita dalla curva 6. Bradl è si e no un secondo avanti. Rossi, dietro di lui, è incalzato da Marquez che lo tampina già dal passaggio sul traguardo, quando fa segnare il giro più veloce. Marc ne ha visibilmente di più, gira più stretto, ha margine, il sorpasso è solo questione di tempo. E arriviamo quindi alla curva sei: Marquez esce più forte e l'accelerazione della sua Honda fa il resto, permettendogli di affiancare Rossi all'esterno e puntare la "sette", dove si entra già con i freni in mano, con la traiettoria più favorevole.
Insomma, all'arrivo al Cavatappi è davanti Marquez. Però alla otto, il Corkscrew appunto, l'interno ce l'ha Rossi, che tenta di ripassare in frenata e si riaffianca a Marquez. Inserisce, riguadagna terreno fino alla corda, poi Marquez "tira dritto" sulla via di fuga e chiude quello che il commento inglese alla gara chiama, giustamente, "A Valentino Rossi Memorial".
Quindi, la morale? Non c'è, nel senso che ognuno può leggere quello che vuole nella dinamica di quel memorabile duello che io mi sono bellamente perso. Io penso che la scelta della dinamica da parte di Marquez non sia stata casuale: Marc avrebbe potuto passare Rossi quasi ovunque, ma ha deciso di farlo lì, tagliando il Cavatappi anche se non ce ne fosse stato reale bisogno, per ufficializzare la sua candidatura a successore della leggenda. Un (quasi) sorpasso volendo un po' teatrale ma sicuramente non scorretto, che alla fine si è chiuso con il tentativo di strangolamento (quello sicuramente teatrale, viste le risate dei due) da parte di Rossi a Marquez, e lo scambio divertito fra Valentino e Livio Suppo nel dopogara.
Da parte mia ho un'altissima considerazione di quella situazione. Primo, perché mi offre lo spunto per fare il precisetti nel commentare come non si sia trattato proprio proprio di un sorpasso al Cavatappi, ma soprattutto, perché è sempre una grande soddisfazione poter raccontare una storia di vita vissuta che nella sua sfortuna - o fortuna, devo ancora decidere - è più unica che rara.