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Pagelle di fine anno. Una stagione dominata da Marc Marquez e dal risultato finale (quasi) scontato, ma tutt’altro che banale, con tante gare belle e spettacolari (finalmente), tanti spunti interessanti, tante sorprese. Come la ritrovata competitività di Valentino Rossi, inimmaginabile, per molti, alla vigilia. O come la crescita della Ducati e di Andrea Dovizioso, pilota ormai a livello dei “fantastici 4”. O come i progressi di Andrea Iannone, velocissimo ed entusiasmante. O come le prestazioni di Aleix Espargaro in qualifica. Non sono mancate, naturalmente, risultati al di sotto delle aspettative, come quelli ottenuti da Jorge Lorenzo, Dani Pedrosa, Stefan Bradl, Alvaro Bautista. Come sempre, però, un grazie a tutti questi campioni fenomenali: i piloti della MotoGP (e di tutte le altre categorie) fanno comunque qualcosa di speciale.
Via con le pagelle, rispettando la classifica del campionato.
Nel bilancio di fine anno, Marc si è dato 9 in pagella: «troppe cadute nelle ultime gare» ha giustificato il suo voto. E’ vero, ma secondo me, Marquez è scivolato solo quando se lo poteva permettere, quando non aveva niente da “perdere” e il GP di Motegi lo conferma: lì Marquez doveva arrivare secondo e secondo è arrivato. Ecco perché le tante scivolate (11) non incidono più di tanto sul giudizio complessivo: io quest’anno ho visto fare a Marc cose pazzesche, a mio modo di vedere addirittura superiori a quelle già stupefacenti del 2013. Se si ha la possibilità di vederlo da bordo pista, si capisce perché solo lui vinca con la Honda. Nella mia “carriera” mi ritenevo già fortunato ad aver avuto la possibilità di raccontare le gesta di un fenomeno come Rossi, invece in pochi anni ho visto anche uno come Casey Stoner e adesso Marc Marquez. Senza dimenticarsi, naturalmente, di Jorge Lorenzo. Fenomeno.
Una stagione eccezionale, la migliore degli ultimi cinque anni, a livello di quando conquistava gare e titoli a ripetizione. «Ma quando vinci è un’altra cosa, anche se nel 2014 ho fatto bene, non si può paragonare alle stagioni d’oro» è l’analisi del campione della Yamaha. Per una volta, però, non sono d’accordo con Valentino: al di là del risultato, quello di quest’anno è stato uno dei migliori Rossi di sempre. Due vittorie, 13 podi, una pole position, un solo errore in gara (ad Aragon) confermano che, dopo Marquez, è stato lui il migliore. «Ma Marc c’è e ha vinto 11 GP più di me» sottolinea Valentino, esaltando un aspetto non così comune: lui non si accontenta mai, anche quando avrebbe il diritto di farlo. Straordinario.
La sua stagione è cambiata subito in Qatar: se non fosse caduto al primo giro, mentre era al comando, il 2014 dello spagnolo sarebbe stato ben differente. Ma a Losail, purtroppo, Jorge è scivolato e da lì in poi la sua stagione – la peggiore dal 2008, da quando corre in MotoGP - si è trasformata in una lunghissima rincorsa, sempre però in affanno, mai veramente convincente, anche se nelle ultime 10 gare è stato il pilota che ha conquistato più punti. E’ stato un po’ l’anno delle occasioni perse, con tanti episodi sfavorevoli e, a volte, difficilmente spiegabili come la partenza anticipata di Austin, le difficoltà di Assen, la scelta della gomma di San Marino, i problemi di Phillip Island, il calo fisico di Sepang, i timori di Valencia. Rimane comunque un pilota di altissimo livello, che ha forse pagato caro gli enormi sforzi del 2013. Sgonfiato.
Il GP vinto a Brno gli ha permesso di entrare nella storia del campionato come il primo capace di battere Marc Marquez. E’ l’unica nota positiva di una stagione scialba, a tratti mediocre, sempre al di sotto delle aspettative, con una involuzione rispetto al passato. Fino al 2013, Pedrosa partiva a fionda nei primi giri, quest’anno, a parte un paio di eccezioni, non è mai stato efficace al via. «Colpa della nuova gestione elettronica della Honda» si giustifica Dani, ma la sua tesi è poco convincente. Come poco convinto è sempre sembrato nei sorpassi, nella sfida ravvicinata. Seconda guida.
Dopo i primi GP, temevo che il Dovi potesse sbottare, che venisse annichilito dall’ambiente Ducati come era successo a tanti in passato. Invece, grazie alla grande sintonia con l’ingegnere Gigi Dall’Igna, Andrea ha ritrovato entusiasmo, ha cominciato a credere nel progetto e da lì in poi la sua stagione ha avuto una svolta positiva, superiore a ogni aspettativa. Una pole position, altre quattro prime file, un terzo e un secondo posto in gara, una possibile vittoria sfumata per una caduta sono risultati per certi versi eccezionali. Un altro dato serve per chiarire ancora meglio come quest’anno Dovizioso abbia veramente fatto la differenza: in 14 GP su 18 è stato il miglior pilota Ducati al traguardo. Secondo me, in questo momento, Dovizioso fa parte dei “fantastici 4”: è più forte di Pedrosa. Motivato.
Personalmente mi aspettavo di più dal campione del mondo della Moto2: nel complesso non ha fatto male, ma a parte un paio di occasioni, come in Francia o in Malesia (a Sepang ha corso con un piede rotto), è sempre finito lontanissimo dalla vetta. Può fare meglio. Sufficiente.
Ha perso la sfida con il fratello, anche se gli è stato davanti a lungo. E’ troppo altalenante e, soprattutto, c’è troppa discrepanza tra le prestazioni in prova – dove è sempre velocissimo, quasi fenomenale – e quelle in gara, quando non avvicina minimamente i tempi del venerdì e del sabato. Colpa sua, colpa della moto? Difficile da dire, ma la sua Yamaha, anche se in versione “Open”, non sembrava così male. Incostante.
Una gran gara in Qatar, conclusa purtroppo anticipatamente con una caduta, un bel podio, anche se fortunato, in Australia sono gli acuti di una stagione piatta, con il primato di scivolate per la categoria (16) e pochi risultati importanti. E’ migliorato rispetto al 2013, ma è ancora troppo lontano da quelli davanti. Sempre all’inseguimento.
Anche lui aveva iniziato fortissimo in Qatar, con sei giri al comando che facevano sperare in una stagione da protagonista, così come il discreto quarto posto nel GP successivo, ad Austin; poi, però, il tedesco del team di Lucio Cecchinello si è perso, incapace di sfruttare la moto competitiva a sua disposizione. La sensazione è che farà fatica a emergere anche in futuro, anche se Cecchinello dice che deve solo superare le “paure” in gara, quando si mette «in modalità safety». Intristito.
Il suo modo di pilotare e di affrontare le corse è entusiasmante, piace agli appassionati e anche nell’ultima gara di Valencia si è visto come il sorpasso più difficile che Marquez abbia dovuto effettuare sia stato proprio quello su Iannone. Velocità e talento non gli mancano, la sua crescita nel 2014 è stata netta ed evidente: gli manca ancora un po’ di costanza, ma su questo si può lavorare. Elettrizzante.
Un ottimo avvio in Qatar prima della caduta nelle fasi finali, un buon podio in Francia: tutto il resto è da dimenticare. Colpa delle Showa che non fanno entrare in temperatura le Bridgestone: questa, perlomeno, è la difesa di Alvaro. Non c’è purtroppo la controprova per sapere se è effettivamente così, invece la stagione di Bautista è stata certamente negativa. Da dimenticare.
Certamente le prestazioni della Honda “Open” sono state al di sotto delle aspettative, ma anche il pilota britannico non ha brillato. Opaco.
I suoi risultati sono stati decisamente scarsi, soprattutto considerando come era stato accolto da qualcuno in Ducati e se confrontati con quelli del compagno di squadra, ma ritengo che Cal meriti la sufficienza per la tenacia e i miglioramenti mostrati nel finale di stagione. Con un contratto Honda già in tasca per la prossima stagione, avrebbe anche potuto “dargliela su”, invece a tenuto botta fino a Valencia. Combattivo.
Nel 2015 sarà il nuovo tester della HRC: una scelta corretta, perché Aoyama è uno costante e relativamente veloce, al di là dei (non) risultati del 2014. Collaudatore.
La sua è stata una stagione discreta, considerando anche il livello della Ducati a sua disposizione. In crescita.
Una stagione pesantemente condizionata dai problemi al polso destro, operato a luglio. Infortunato.
Merita la sufficienza per la tenacia e la dedizione mostrata durante la stagione. La sua, purtroppo, era la peggior squadra della MotoGP (non dal punto di vista umano, perché dentro al box c’erano tecnici validi, ma sotto quello gestionale e delle risorse, con tutte le, ovvie, conseguenze del caso): è già stato bravo a non avvilirsi. E nei test con la Ducati Pramac ha dimostrato di essere uno veloce. A denti stretti.
Considerando che veniva dalla Moto2, che non aveva mai provato la Yamaha, che ha avuto poco tempo e GP a disposizione, che ha patito qualche problema meccanico di troppo, non ha fatto male, con la soddisfazione di aver finito a punti tre volte. Dignitoso.
Pur disputando due GP in più e conoscendo molto meglio la moto del suo sostituto (De Angelis), ha raccolto tre punti in meno. Purtroppo è da qualche anno che Colin non è più all’altezza della situazione. Pensionato.