MotoGp: le scorie del mondiale 2015

MotoGp: le scorie del mondiale 2015
Uno sguardo dall'esterno, e inedito, al Mondiale 2015. Quello da cui, secondo Francesco Tassi, è partito il declino di Jorge Lorenzo
7 dicembre 2019

Del Mondiale 2015 se n'é parlato tanto, troppo, in tutte le salse. Quindi abbiamo riflettuto a lungo prima di pubblicare il pezzo che ci ha mandato l'amico Francesco Tassi. Che di mestiere fa tutt'altro, ma sa tenere in mano una penna e di moto se ne intende davvero. Abbiamo deciso di passare comunque il pezzo, nonostante appunto se ne sia parlato fin troppo, perché se il racconto degli avvenimenti e le relative interpretazioni e conclusioni sono ormai stantìe, leggendo fino in fondo capirete che in questo caso il filo logico ha una conclusione non banale. Almeno per quanto riguarda "il terzo incomodo".

Tornare al 2015 quando di fatto si è già aperta la stagione 2020 può sembrare un esercizio inutile e stucchevole. Eppure chi vi scrive è convinto che siamo ancora in presenza di scorie. Facciamo un rapido salto indietro di quasi un lustro, alla stagione che ha segnato un punto di non ritorno.

2015, l’antefatto

Dopo un terzo di stagione, la lotta per il mondiale si riduce ad affare privato interno Yamaha, con Rossi che ha preso il comando della classifica fin dall’esordio in Qatar e lo ha mantenuto grazie ad una presenza ininterrotta sul podio (fino alla Gran Bretagna), mentre Lorenzo reagisce tra Jerez e Barcellona mettendo a segno un mini-break di 4 vittorie consecutive.

E Márquez?

Al campione in carica non ne va bene una: al netto della ‘solita’ vittoria ad Austin, tra cadute, infortuni e scarso feeling con la sua Honda RC213V "che si muove molto in entrata e uscita, e derapa quando vuole lei, non io" il Mondiale è bello che andato.

Nel frattempo però, sotto silenzio, quasi in incognito, sta nascendo una rivalità brutale tra Marc e Vale.

In Argentina il primo incrocio pericoloso: l’asso di Tavullia rimonta sul numero 93, al penultimo giro i due si ingarellano con lo spagnolo che cade. A parole Marc minimizza ‘sono cose che capitano, da Vale c’è sempre qualcosa da imparare’ ma passano altre 5 gare e ad Assen la questione diventa seria: nuovo contatto nel finale tra i due con Rossi nuovamente vincitore dopo aver tagliato la chicane per evitare la caduta. Il fatto che entrambi esultino sotto la bandiera a scacchi per rivendicare la vittoria è un pessimo segnale.

Non che i due siano più tranquilli nel corso delle altre gare. Ogni volta che sono vicini le carenate non mancano (riguardare, per esempio, le fasi iniziali del GP di Germania). Dopo Motegi, Rossi si ritrova con 18 punti di vantaggio su Lorenzo, tanto veloce sull’asciutto quanto impacciato in presenza di due gocce d’acqua, e con 3 sole gare da disputare. 

Sembra fatta.

Il resto è storia, una brutta storia, dove l’aspetto agonistico è passato in secondo piano per lasciare spazio ad una vendetta consumatasi tra Phillip Island, Sepang e Valencia, che non ha precedenti, non solo nel motomondiale, ma nello sport in generale.
L’obiettivo malcelato di Márquez non era quello di far vincere Lorenzo, men che meno un gioco di squadra patriottico: Márquez voleva far perdere Valentino.

Attenzione, l’assunto è fondamentale. Perchè chiunque altro si fosse trovato al posto del maiorchino ne avrebbe beneficiato. Lorenzo, dal canto suo, non ha mai commesso nulla di scorretto: censurabile si per i gestacci sul podio di Sepang, ma il suo peccato è veniale.

Ultima considerazione maligna a margine, ovvero la mancata presa di posizione di Dorna e del suo primo attore: Carmelo Ezpeleta.

La spiegazione è cinicamente logica: pur con tutto l’appeal del personaggio, tra Valentino che vince amministrando un mondiale regolare e la rissa da saloon con gli occhi di tutto il mondo puntati, Dorna non ha avuto dubbi, perchè, come insegnava Oscar Wilde, ‘c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé’.

Ma di citazione in citazione, Battisti cantava ‘le conseguenze spesso fan soffrire’ e non c’è dubbio che le scorie di quella stagione siano divenute tatuaggi per Vale, Marc e Jorge. 

L’epilogo

Probabilmente chi ci ha rimesso di più tra i tre è stato proprio il beneficiario incolpevole dell’assurdo epilogo 2015, ovvero un Lorenzo che in pista diventa sempre meno martillo e più meteopatico.

A inizio 2016 Yamaha non è più la sua casa, e nel giro di pochi mesi decide di passare alla Ducati.
Le ‘montagne rosse’ sono impervie, e la prima, imbarazzante, stagione a Borgo Panigale permette al teammate Dovizioso di consumare una vendetta antica e freddissima nei confronti di Jorge, risalente ai tempi della 250.

Meglio senza dubbio il 2018, con le due gare italiane a fare da spartiacque alla sua carriera: il trionfo del Mugello arriva infatti mentre si sta definendo la separazione tra Jorge e la Ducati, quella di Misano può essere considerata l’ultima vera gara disputata.

L’approdo inevitabile in HRC fa cadere il quarto segreto di Fatima: Márquez è amico solo di se stesso.

Una nemesi amarissima. Aggravata da infortuni prima ancora di gareggiare.

Barcellona è il punto più alto, e al tempo stesso più basso della stagione: Lorenzo centra la top ten in qualifica, ma la sua gara dura un giro e 10 curve, poi emula Drugo Lebowski con uno strike che elimina Dovizioso, Viñales e Rossi. Le difficoltà lasciano il passo ad un vero e proprio calvario.

La caduta di Assen in cui rischia addirittura la paralisi lo fiacca definitivamente.

Il ritiro è l’unica soluzione percorribile. Per il fisico.

Ma anche per l’onore, perché HRC un’altra stagione del genere mai l’avrebbe tollerata.

Eppure la sensazione di chi scrive è che se Jorge fosse rimasto sulla sua moto naturale, la Yamaha M1, avrebbe continuato a vincere.

Non è andata molto meglio a Rossi dopo la decima interrupta.

Sembra una maledizione, ma da quel 2015 Vale non ha più avuto chance iridate.

Un declino, se così si può dire, imputabile più alla moto che al pilota.

Tuttavia una vittoria - Assen 2017 - nelle ultime 3 stagioni non è poco.

E’ nulla.

E Marquez?

Ad oggi, l’unico mondiale non vinto dal suo approdo in MotoGp è stato proprio quello del 2015.

Ormai raggiunto Rossi, battere i record di Agostini sembra un gioco da ragazzi.

Ma ‘quella’ macchia resterà legata a doppio filo alla sua carriera, e non si tratta di essere tifosi o meno di Rossi, quanto di questo sport. Inoltre, derubricare quanto combinato nel 2015 da Márquez ad un comportamento antisportivo (recidivo) è un errore da non commettere, perché se è vero che tutti hanno preso le distanze dal gesto orribile di Fenati su Manzi a Misano lo scorso anno, per onestà intellettuale andrebbero giudicate allo stesso modo almeno un paio di manovre di Márquez a Sepang.  

I fischi che attendono Marc sotto al podio in ogni angolo del globo non mentono.

Poi forse lo stimolano, vedi Misano 2019, ma è una situazione malsana.

Lo sport legittima l’ambizione, mai la vendetta.

Lo sanno i tifosi e gli addetti ai lavori.

Lo sa anche Marc.

 

Francesco Tassi

Naviga su Moto.it senza pubblicità
1 euro al mese