Nico Cereghini: “Ago, Rossi e chi li detesta”

Nico Cereghini: “Ago, Rossi e chi li detesta”
I piloti che vincono tanto e durano nel tempo fanno bene al motociclismo ma danno noia a quelli che si credono, a torto o ragione, i veri cultori dello spirito motociclistico. Poi il tempo aggiusta le cose | N. Cereghini
10 febbraio 2015

Ciao a tutti! Ieri notte mi sono sognato Agostini che voleva correre il TT ma gli inglesi non gli davano la moto per le vecchie ruggini; lui andava da Gresini e la moto si trovava, ma poi mancava la benzina, spariva il suo casco, e alla fine Giacomo si infilava tristemente in macchina per tornare a Bergamo con la tuta di pelle addosso. Come sento il rumore delle moto da corsa, anche se sono lontanissime come a Sepang, mi scatta qualcosa nella testa e comincio a sognare queste cose. Soprattutto sogno di piloti che per qualche motivo non riescono a prendere la partenza. Sono passati trent’anni da che ho smesso di correre ma forse non mi sono ancora abituato all’idea.
 

Ma Ago è Ago, e da lì oggi prendo le mosse. Agostini e Valentino. Da testimone diretto dei due fenomeni mi sento di affermare una cosa: forse può essere anche corretto dire che Rossi ha introdotto il divismo nel nostro mondo della moto; e forse si può persino accusarlo di non aver soffocato in qualche modo quel tifo da stadio che disturba certi nostri lettori. Ma il fatto è che non poteva fare altrimenti: i supervincenti fatalmente diventano divi e allargano il pubblico a dismisura.


Chi segue il motociclismo dagli anni Ottanta o dai Novanta, e ha visto in azione i grandi americani della 500 come Roberts, Spencer, Lawson, Rainey e Schwantz e poi il dominio di Doohan, sicuramente ha vissuto grandi emozioni e si è sentito addirittura affine a quei piloti, nei quali vedeva bene la comune passione. Ebbene, io lo raccontavo in prima persona e so bene quello che dico: il motociclismo di allora era uno sport di nicchia, seguito quasi soltanto dagli appassionati. E certamente non era così ai tempi di Agostini.


Come oggi Rossi anche Ago, sull’onda dei successi con la MV, era diventato un vero divo: era inseguito dai fans, posava nei fotoromanzi, era protagonista di film, andava in televisione, era amico delle star e passava le serate con Mal dei Primitives. E a me stava sullo stomaco perché mi pareva che la passione per la moto fosse per lui poca cosa, semplicemente uno strumento per avere successo.


Soltanto molto tempo dopo ho capito che quella era tutta scena, che non contava niente: Giacomo era ed è rimasto soprattutto un grande motociclista. Ma il succo è quello: il grande pilota, quello che dura nel tempo e vince molto, fa bene al motociclismo; moltiplica gli ascolti, promuove la moto, crea nuove opportunità per tutto il settore. Ma contemporaneamente dà noia agli appassionati, ai puristi, a quelli un po’ schizzinosi che preferiscono essere “pochi ma buoni”. Prima o poi, però, anche costoro se ne faranno una ragione. Quando Valentino avrà appeso il casco al chiodo lo rimpiangeranno, proprio come facemmo noi con Ago, quando ci ritrovammo da un giorno all’altro senza nostri campioni e con le tribune vuote.

Nico Cereghini - Ago, Rossi e chi li detesta
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