Nico Cereghini: “Ducati dieci anni dopo”

Nico Cereghini: “Ducati dieci anni dopo”
Corsi e ricorsi storici: anche Honda e Yamaha dovettero soffrire per tanti anni prima di tornare al titolo. Ci vuole il grande campione, e poi occorrono le scelte tecniche giuste e il tempo per imporle
28 febbraio 2017

Punti chiave

Ciao a tutti! Per tenere allenata la mente –come è raccomandato per restare giovani- ho studiato a memoria l’elenco dei campioni del mondo della top class; e molto spesso, quasi tutti i giorni, lo ripercorro: da “1949, Leslie Graham, Gran Bretagna, AJS” fino a “2016, Marc Marquez, Spagna, Honda”. Sono sessantanove nomi e cognomi, sessantanove Paesi e sessantanove marche, tutti in fila e con qualche nota per le tappe più importanti, tipo i sette titoli consecutivi di Ago e i cinque di Doohan e Rossi, il primo titolo a due tempi (di Ago), il primo titolo per una casa giapponese (il medesimo, sempre Ago!), l’ultimo titolo della 500 e il primo della MotoGP (Rossi). E scopro che ci sono corsi e ricorsi interessanti.


Dall’unico titolo conquistato in MotoGP dalla Ducati sono già passati dieci anni: 2007, Casey Stoner, Australia. Dieci stagioni sono una vita e sappiamo tutti come è andata, dal primo bombardone del 2003 al gran talento di Stoner, poi lo sviluppo rallentato da qualche rigidità e dalla carenza di investimenti, la fuga di Casey, il fiasco del matrimonio con Valentino, quindi l’Audi, i nuovi vertici tecnici e oggi finalmente il passo adeguato. Ogni sportivo italiano tocca ferro e sogna che a partire dal 2017 sia riscatto, Lorenzo o Dovizioso che sia. E mi pare interessante una considerazione: anche Honda e Yamaha, benché molto ricche, hanno avuto lunghi periodi critici.


Honda è sbarcata sulle corse negli anni Sessanta con uno squadrone e tanta tecnologia, dominando in tutte le classi tranne la 500; alla fine del ’67 si ritirò per concentrarsi sulla produzione, e quando decise di rientrare per prendersi il titolo che mancava, soffrì, per anni: convinta di poter vincere col quattro tempi, si svenò nel famoso supermotore a pistoni ovali che esordì nel ’79, e il tonfo fa male all’orgoglio ancora oggi. Con il due tempi si ripresentò nell’82, vinse il titolo nell’83 con Spencer, poi Spencer finì in tilt, tanto da fermarsi dopo la doppietta dell’85. Nei nove anni successivi la Honda ha colto due soli titoli, con Gardner e Lawson.


E il dopo Rossi. Quando Valentino passò alla Yamaha alla fine del 2003, alla Honda minacciarono sfracelli (ve lo ricordate?) e invece fino al 2011 di Stoner furono bocconi amari: dominio Yamaha con l’eccezione di Hayden 2006 (bravo lui, ma titolo fortuito) e del 2007 firmato Ducati.


Per Yamaha il digiuno fu ancora più lungo e più amaro. Dopo Ago, Roberts, Lawson e il drammatico incidente di Rainey nel 1993, furono addirittura undici le stagioni a secco: non bastò Cadalora, si rivide la luce con Biaggi, ma ci volle l’ingaggio del grande Valentino per tornare, e stabilmente, ai titoli della MotoGP. Sarebbe andata in un altro modo se Wayne Rainey non fosse caduto a Misano? Credo proprio di sì, esattamente come sarebbe andata diversamente in Honda se a Freddie Spencer non si fosse spento un interruttore nella testa. E allora la considerazione è questa: per vincere ci vuole la tecnologia giusta ma soprattutto ci vuole il grande campione; e se questo, per un motivo o per l’altro, a un certo punto ti lascia, allora sei fritto. Occorrono molti anni per ritrovare dei riferimenti sicuri, reimpostare il lavoro a casa e quello della squadra in pista, tornare competitivi di nuovo. Più o meno, facendo i conti a spanne, occorrono circa dieci anni.

Ducati 10 anni dopo
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