Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Ciao a tutti! Aspettando i prossimi test, una divagazione sul tema. Chissà perché, mi chiedevo qualche giorno fa, Agostini è per Lorenzo. Magari rivede nella guida di Jorge il bello stile classico che aveva in sella ai suoi tempi. O magari gli piace l'approccio mentale, o qualcosa del carattere, vai a saperlo. E subito dopo mi è sorta spontanea, come si dice, la domanda personale: c'è un pilota della MotoGP nel quale mi identifico un po', uno che guida e corre come potrei fare io? La risposta, mi secca ammetterlo, è meno gloriosa di quanto potevo immaginare. Se devo essere onesto, se proprio devo, allora vi dirò che il pilota che più mi assomiglia è quel succhiaruote di Héctor Barberá. Io andavo forte, diciamo abbastanza forte, se avevo qualcuno davanti. Viceversa, con pista libera, facevo fatica.
Bisogna dire che ai miei tempi non eravamo abituati a girare da soli. Niente test invernali, nessuna preparazione alla gara, semmai qualche giro di pista in solitario semplicemente per rodare, perché la RG 500 rompeva spesso e bisognava risparmiare sui pistoni e sugli alberi motore. Mi tocca ammettere che qualche mio concorrente, e penso a Lucchinelli, sapeva girare fortissimo anche da solo, però persino a un vice campione del mondo come Bonera, per dire, capitava di cadere all'ultimo giro quando aveva dieci secondi di vantaggio su Agostini. Mugello settembre 1975, prima gara delle 500 sul nuovo circuito. A girare forte da soli eravamo poco abituati, e a me piaceva correre le 24 Ore anche per quel motivo lì: in pista c'era sempre un mucchio di gente, sui quattro chilometri del Bugatti di Le Mans partivano sessanta equipaggi, trovavo riferimenti dappertutto anche di notte, anche con la nebbia e la pioggia, e mi divertivo come un matto.
Vi racconto un aneddoto da succhiaruote. Anche per tentare di capire come agisce e ragiona uno come Barbera. Quella volta eravamo a Misano per una gara internazionale, e nelle prove ufficiali, ultimo turno, noto un pilota che mi precede di due o trecento metri, un privato romano che si chiamava Scafoletti e correva con una Harley-Davidson ex ufficiale, una 500 bicilindrica particolare, due tempi e quattro carburatori.
Lo riconosco anche da lontano per via della tuta: bianca, con la testona rossa del diavolo stilizzata sulla schiena. Ci sto dando dentro da un po', un paio di giri e lo prendo, mi dico. Però poi, sorprendentemente, verifico che non sto guadagnando niente. Ma cosa fa questo Scafoletti? Non è mai andato così forte, è impazzito? Dai e dai, impegnandomi al massimo, comincio a rosicchiare qualcosa, e dopo tre giri a tutta manetta, con l'urgenza di anticipare ogni apertura e ritardare ogni frenata, finalmente mi avvicino abbastanza per capire cosa sta succedendo. Macché Scafoletti, la tuta è uguale ma il pilota che c'è dentro è un altro: è Johnny Cecotto, bicampione del mondo, sulla sua Yamaha 500...
La cosa bella è che giro a Misano con la RG come non avevo mai girato: bravo, 1'24.4, mi dice il mio team manager Bruno Sacchi, che non ha mai sbagliato un crono. La cosa brutta è che Ago va in pole con 1.24.6. A me danno il terzo tempo e protestiamo, ma non c'è niente da fare, mica avevamo il transponder, e con il cronometraggio manuale si manovrava a piacere. Con Agostini in pole venivano cinquantamila spettatori, voleva dire che si correva sul serio, con un giornalista in pole stavano quasi tutti a casa. La vita del succhiaruote, lo dicono anche le critiche al povero Barberá, non è mai facile.