Nico Cereghini: “Forza Marquez, ti abbracciamo e siamo con te”

Nico Cereghini: “Forza Marquez, ti abbracciamo e siamo con te”
Ciò che sta vivendo il più forte pilota della MotoGP è difficile da accettare, addirittura intollerabile se davvero la grave situazione del suo braccio destro è la conseguenza di una serie di errori che si poteva evitare
7 dicembre 2020

Ciao a tutti! Si parla quasi soltanto di Marc Marquez in questi giorni ed è giusto, perché è il numero uno della MotoGP e perché gli è franata addosso una montagna. Non vi nascondo che ho una gran paura: ciò che sento dire dai suoi medici e da tanti specialisti non lascia intravvedere un rapido recupero, ma piuttosto molti mesi ancora di terapie e di riabilitazione. Marc ne uscirà, ne sono sicuro, ma chissà quando.  

Nel nostro sport abbiamo vissuto tanti momentacci. Inutile fare la lista, sabato scorso abbiamo raccontato con Cadalora il dramma di Wayne Rainey, che era il più forte della sua epoca e ha pagato un prezzo altissimo alla sfortuna. Ma questa volta è diverso, non è stata una caduta drammatica a gettare Marc Marquez nell’angoscia. Qui leggiamo una sciagurata combinazione di coraggio, improvvisazione, imperizia, superficialità. 

Ho svegliato il dottor Costa venerdì mattina presto, appena ho saputo del terzo intervento a Madrid. Quel medico dimenticato dalla MotoGP, esule nella sua Imola e che conosco da cinquant’anni, resta un gigante. Claudio aveva visto giusto fin dall’inizio e la prima cosa che mi ha detto due giorni fa (leggi l'articolo) è stata: “la parte dell’osso che non vuole guarire va tolta, perché lì ci può essere una infezione. E poi niente placche, ma fissatori esterni”.

Superato il terzo intervento, con una nuova placca e senza fissatori esterni, ora Marc è sottoposto a una pesante terapia antibiotica. Uno dei medici che lo ha seguito in questi giorni ha dichiarato alla stampa spagnola che se l’infezione non rientrerà in qualche giorno allora occorrerà intervenire di nuovo. Per fare, evidentemente, quello che Costa avrebbe fatto già a settembre, due mesi fa.

In un mondo iperprofessionale, il talento più formidabile, il pilota più veloce, ricco e famoso è stato seguito con un dilettantismo che colpisce. Il dottor Mir che lo ha operato per primo, ha detto a Marc che tornare subito in moto era assolutamente da evitare? Puig dice di no. La commissione medica che a Jerez lo ha dichiarato idoneo si è davvero accontentata di un protocollo che si limita a qualche flessione? Puig e la Honda hanno valutato i rischi del rientro record del loro superpilota? Questa è tutta gente di grande esperienza, che segue il motociclismo da molti anni, eppure adesso sembra che si siamo mossi come peggio non si poteva. 

Voglio pensare che Marc torni quello di prima, quel temerario artista della moto; anzi adesso lo voglio ancora più forte, più ammirevole e più detestabile che mai, con tutte le sue insuperabili grandezze e i suoi momenti di follia. La sua è una nemesi: lui che sa guidare al limite la moto più impressionante del mondo e la domina anche quando si mette di traverso o parte per la tangente, lui che sa salvare metà delle sue cadute e sa come cadere quando non lo può evitare, proprio lui che ha tutto sotto controllo ora è in un letto d’ospedale pieno di dubbi e di angosce sul futuro del suo braccio e della sua carriera.

E’ una cosa così intollerabile che proprio tutti gli appassionati della moto, anche il critico più accanito del pilota Honda, anche chi lo ha fischiato per il finale del 2015 e lo giudica un pilota troppo spesso al limite delle regole e dell’etica sportiva, non può che gridargli: “forza Marc, ti aspettiamo forte, ti abbracciamo, siamo tutti con te”.

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