Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Ciao a tutti! Tocca aspettare chissà fino a quando per sapere chi abbia vinto davvero la MotoGP di Losail, e d’altra parte la materia è delicata (leggi l'articolo), e non si può liquidare con leggerezza: vittorie, titoli, regole, immagine e capitali, un'intricata materia da tribunali e (purtroppo) non da forum o da bar. Sarebbe bello se lo fosse. Per esorcizzare questa brutta ombra mi piace riportare i riflettori - invece dei deflettori - sul Dovi e su Márquez, sul duello che ha vivacizzato la gara al top di domenica. Marc contro Andrea, il diavolo e l’acqua santa, ancora una volta lo zeroquattro opposto al 93, sempre quei due, così diversi eppure spesso così appiccicati.
Gran bella sfida, limitata dalle gomme ma combattuta sul filo della strategia e della perfezione di guida. I pneumatici sono inadeguati per una gara giocata liberamente fin dalle prime battute, questa è la dura realtà, e allora non resta che amministrare: individuare (e non è facile) il ritmo ideale per preservare il grip, imporre questo ritmo alla compagnia e condurre le danze senza perdere posizioni, rimettere le cose a posto quando dalla fila salta fuori uno più vivace, arrivare al finale con la moto in ordine, e infine mantenere la lucidità nell’inevitabile corpo a corpo. Come vedete, tanta scienza. E questa è la parte che a mio parere Dovizioso ha recitato alla perfezione, e che gli calza a pennello: pragmatico e metodico fino al punto di rischiare l’apprezzamento di una parte del pubblico, come spesso ha riconosciuto per primo dicendo: “So che il mio atteggiamento può non piacere ad alcuni, ma non ho alcuna intenzione di cambiare”. Il Dovi non ama fare lo show, guida con pugno di ferro in guanto di velluto, è dolce con la moto ed aggressivo con i rivali soltanto quando serve. Ma guida benissimo, ed è perfetto per la sua moto e per le gare di oggi: per la Ducati di Dall’Igna, che mantiene un vantaggio sul piano del bilanciamento dinamico e sa risparmiare le gomme, e per la MotoGP attuale, che non perdona i colpi di testa. Tutto sotto controllo.
E dall’altra parte c’è Marc Márquez, che lo show lo adora e fa spettacolo tutte le volte che può. Temibile ancora di più, adesso che la Honda gli ha fornito un supermotore che nulla ha da invidiare al Desmoducati. Nessuno sa guidare come Marc, nessuno sa spingersi come lui oltre il limite senza farsi male. Il pilota catalano è anche bravissimo a caricare l’avantreno il minimo indispensabile, e di solito sa tenere la gomma fresca, invece al finale del GP del Qatar è arrivato quasi sulle tele, e forse più degli altri: eppure non ci ha pensato due volte, ha cercato il varco fino all’ultima curva, si è infilato, è stato battuto soltanto dalla lucida intelligenza del rivale. Una volta di più, secondo un copione già visto e che ormai è il “loro” copione. E questa volta a Marc sarebbero bastati cinquanta metri di rettilineo in più, facendo suonare un campanello di allarme per Ducati.
Non trovate anche voi che questa sia una bellissima sfida? Certo, molto differente da quelle epiche che opposero per esempio Schwantz a Rainey nella furibonda staccata di Hockenheim 1991, o a quella tra Rossi e Stoner a Laguna Seca nel 2008. Più scientifica, meno colorata e meno acrobatica. Ma in un certo senso ancora più sottile e apprezzabile per i palati fini. Se siete d’accordo.