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Ciao a tutti! Parlare di rischio, in questi giorni difficili e di grande allarme, può sembrare di cattivo gusto, ma dobbiamo pur sopravvivere e di sicuro sopravviveremo anche a questa sciagura del coronavirus. Anche se non si sa ancora bene che prezzo pagheremo. E allora, per provare a dimenticare per un attimo i rischi che oggi siamo costretti a correre senza aver scelto di farlo, preferisco parlare di quegli altri rischi, quelli che ci prendiamo spontaneamente, con la nostra passione.
L’occasione mi viene dalla visione di una bellissima puntata di Atlantide, programma di Purgatori su La7, dedicata all’alpinista Daniele Nardi scomparso un anno fu sul Nanga Parbat, un difficilissimo Ottomila del Kashmir. Amo la montagna quasi quanto la moto, leggo tutti i libri che mi capita di trovare, mi affascinano le spedizioni himalayane estreme anche se non sono ancora riuscito a rispondere al quesito di base: cosa spinge un alpinista ad affrontare rischi così enormi? Il rischio l’ho conosciuto anch’io e l’ho visto da vicino, ma questo mi sembra indecifrabile. Ed ecco spuntare Walter Bonatti.
Bonatti era una bellissima persona, un bergamasco che oggi avrebbe novant’anni ma è morto nove anni fa. Il più grande alpinista italiano. Atlantide ha scovato una sua vecchia intervista Rai del ’62, e alla domanda diretta, “Chi ve lo fa fare?” Walter risponde così.
“La risposta è difficile, non può essere sintetica. Diciamo innanzitutto che siamo noi a volerlo, sentiamo questo desiderio per la vitalità e la passione che abbiamo. Ma la gente -analizza Bonatti in un modo che trovo molto originale- non conosce il nostro mondo, dispone di pochi dati, giudica attraverso il lato materiale, che è quello meno espressivo. All’esterno si ignora la parte spirituale, direi la forza spirituale: il desiderio di vivere intensamente, la volontà di fare esperienze nuove e anche l’amore per la natura”.
Sono parole che spiegano molto bene quasi tutte le passioni, soprattutto quelle che contengono anche una parte di rischio. Come la moto. La nostra passione, naturalmente, può essere vissuta in relax quasi assoluto facendo il turismo più pacifico del mondo; ciò che per la montagna è l’escursionismo sui sentieri. Oppure si è spinti a cercare il limite, come fanno quelli che con la moto corrono, dai livelli più amatoriali fino a quelli più professionali nella MotoGP o alla Dakar. Se non vedi la spinta che c’è dietro, dice Bonatti, non puoi capire. E la spinta non è qualcosa di materiale, è una tensione emotiva e spirituale che ti anima, ti attira e ti guida.
Un bel concetto, Walter Bonatti era uno che elaborava le cose e ci dedicava del tempo. Il grande alpinista mi fa comprendere qualcosa in più anche sulle indicibili sofferenze che i conquistatori degli Ottomila affrontano ad ogni spedizione -le temperature a meno trenta, il vento a centocinquanta all’ora, il corpo che pezzo a pezzo congela- e intanto mi fornisce una chiave di lettura per tutte le passioni e anche per la nostra in particolare. Prima o poi mi capiterà di incrociare Marco Confortola, altro grande alpinista e motociclista: mi piacerebbe molto indagare insieme a lui.