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Ciao a tutti! Ho visto lo show in diretta e poi l’ho rivisto subito dopo in replica. Come non avevo mai fatto in vita mia. Adrenalina, pelle d’oca, spettacolo puro. A memoria, non ricordo una gara/thrilling come quella della MotoGP domenica in Australia. E di sicuro non ho mai visto una gara così combattuta, così serrata, nella fase finale di stagione, con i giochi ancora aperti e il campionato mondiale sul piatto. Un poker di grandi!
Visto il passo registrato nelle prove e lette le interviste, mi aspettavo Lorenzo, e forse Rossi, e invece sono esplosi Marquez e Iannone che hanno battuto i due piloti Yamaha con i quali lottavano nel finale. Appena tagliato il traguardo, i tre del podio sembravano perfettamente felici. In quel momento l’adrenalina, l’euforia, la complicità, e anche la consapevolezza di aver fatto una gara memorabile non lasciavano spazio alle ombre. Ma mi sono detto che, forse, dietro al capolavoro di Marquez in quell’ultimo giro c’è stata anche una piccola leggerezza di Lorenzo, che si sentiva ormai al sicuro. Ed è difficile capire quanto veramente è stato perfetto Andrea Iannone: un leone, certo, ma probabilmente in fondo ai suoi pensieri resta il dubbio che la vittoria fosse addirittura alla sua portata. Come del resto Valentino Rossi: dietro all’amarezza per essere rimasto giù dal podio ci saranno anche i rimpianti, con le prove sbagliate e qualche sbavatura di troppo nella corsa. Soltanto loro lo sanno, soltanto i protagonisti potrebbero dire quanto sono soddisfatti e quanto delusi dal risultato. Ma forse, anche volendo, non lo potrebbero fare.
Non dico niente di nuovo, me ne rendo conto. E qualcuno obietterà che è molto meglio fare il pilota che l’operaio all’Ilva di Taranto. Ma la festa di domenica mi ha fatto ricordare quanto stress c’è dietro a queste imprese dello sport. Quanta fatica fisica e mentale. Ci sono piloti che, magari anche vincenti, dopo un po’ hanno gettato la spugna. Uno come Lorenzo, per dire, finita la gara non può nemmeno dire apertamente quello che pensa per non sembrare debole agli occhi dei suoi avversari o essere giudicato dal pubblico e dallo sponsor. Meglio sorridere come giustamente ha fatto Jorge, come se quei cinque punti che Marc gli ha soffiato in poche curve non contassero nulla. Meglio abbozzare.
Il pilota è solo, ed è sempre stato così. Agostini all’epoca mi sembrava freddo, non si lasciava mai andare, e poi ho scoperto che non poteva fare altrimenti, non voleva che trasparisse la paura di morire. Ai suoi tempi ogni gara era una scommessa, e nascondere i sentimenti era necessario. Fausto Gresini, l’attuale manager di Bastianini e company, quando nel ‘90 se la giocava in 125 con il diciassettenne Capirossi, soffriva. Io lo vedevo teso e tormentato, e nelle telecronache qualche volta ho detto che era fortissimo, ma forse vulnerabile proprio per i suoi pensieri. Una volta ad Hockenheim mi prese da parte e mi pregò di non dirlo più: per gli sponsor, precisò, che magari avrebbero perso fiducia, e poi anche perché non era vero. Va bene, gli risposi. Anni dopo, Fausto da manager seguiva Sete Gibernau in guerra con Rossi, e quando gli domandai se era più stressante stare al muretto oppure correre, lui mi rispose: “Correre. Di sicuro. Quando correvo mi svegliavo al mattino della gara con lo stomaco annodato”.