Nico Cereghini: “Márquez e Rossi quasi uguali”

Nico Cereghini: “Márquez e Rossi quasi uguali”
Mettili vicini e si accendono sempre. Perché sono molto simili: stessa fame, stesso orgoglio, stessa aggressività che si esprime in maniere diverse. Uno vuole lo scettro, l’altro non lo molla
17 settembre 2019

Ciao a tutti! Anch’io, come molti di voi, sono rimasto impressionato dalla reazione di Marc Márquez dopo la bellissima vittoria di Misano: un misto incontenibile di rabbia, di liberazione e di gioia, un sentimento così forte (lo avrete notato) da trasformare i suoi lineamenti. Marc festeggia ogni vittoria (e sono già 51 in MotoGP) con lo stesso entusiasmo della prima, e fa bene: intanto al successo non ci si abitua mai, intuisco, e poi questo rito della festa serve anche a ringraziare tutta la sua squadra davanti al mondo, e a motivarla. A cominciare dagli italiani Ginetto e Carlo, che giustamente stravedono per lui.

Questa è stata una vittoria evidentemente molto importante, per Márquez. Lui ha dichiarato che la lite con Rossi in Q2 gli ha dato un’extra motivazione, io penso piuttosto che tornare al successo sia stato per lui una liberazione: le ultime due sconfitte in volata – prima il Dovi in Austria e poi Rins a Silverstone - gli saranno rimaste sullo stomaco. Non bisogna credere fino in fondo alle parole dei piloti: Marc aveva liquidato quelle due sconfitte con un’alzata di spalle - "ciò che conta è che mi avvantaggio in campionato", diceva- ma pochi gli avevano creduto, e se conosco un po’ la psicologia dei piloti quell’atteggiamento era soltanto un modo di caricarsi invece di deprimersi.  

Ma torno allo scontro con Valentino in Q2. Se n’è parlato tanto, troppo, e starei volentieri fuori dalla mischia; non lo faccio perché vorrei proporvi una lettura un po’ diversa. Sulla dinamica non mi interessa tornare, non esistono certezze, bisognerebbe entrare nella testa dei due protagonisti per chiarire chi credeva davvero che cosa e quando. Vorrei invece sottolineare come, appena se ne presenti la minima occasione, i due galletti si accendano come fiammiferi. Perché? Perché, almeno questa è la mia opinione, sono molto più simili di quello che entrambi vorrebbero.
 

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Valentino è protagonista del mondiale da ventiquattro anni. Una enormità. Agostini, che ha lasciato un segno indelebile, ha disputato tredici stagioni, Kenny Roberts sette e Freddie Spencer ad alto livello soltanto sei. Marc Márquez è entrato in scena con la 125 nel 2008, undici anni fa, ha avuto Rossi come obiettivo fin da ragazzino, è in MotoGP dal 2013 e da allora fa il bello e il cattivo tempo; vuole (giustamente) lo scettro del re. E quell’altro non lo vuole mollare: il Dottore vince poche gare (purtroppo) ma non vuole abdicare, si rifiuta di considerare il 93 come il suo erede naturale, e gli nega la sua personale investitura. Basterebbe una parola, ma da Rossi non arriva. 

L’extra motivazione dopo la scaramuccia delle Q2? Credo che Marc abbia tirato fuori questa storia per provocare Valentino un po’ di più. Come per dirgli: sabato pensavi di darmi noia e invece, pensa, mi hai fatto arrabbiare e ho vinto anche per merito tuo! I due si specchiano continuamente l’uno nell’altro, ne hanno proprio bisogno. Alla fine non si può dire che siano uguali, Valentino e Marc, però quasi: stessa fame, stesso orgoglio, anche la stessa dose di aggressività. Márquez ha le sue entrate decise, spesso al limite del lecito e qualche volta oltre, mentre Rossi in pista è più moderato - anche se in certi episodi del passato è stato anche duro - e punta da sempre sulla finezza di guida e non sull’acrobazia. Ma il pesarese ha un’altra doppia arma di cui spesso si è servito per colpire: il sarcasmo e l’ironia. Due assi quasi uguali, in conclusione. Ma con quattordici anni di differenza.

Nico - Marquez e Rossi

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