Nico Cereghini: "Mugello, troppo bello per cambiare"

Nico Cereghini: "Mugello, troppo bello per cambiare"
Attiva dal 1975, prova italiana del mondiale dal '76, la pista non è mai cambiata. Difficile trovare un layout così bello e spettacolare. Ma quanto lavoro: negli anni Settanta era molto pericolosa, oggi è tra le più sicure
29 maggio 2018

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Ciao a tutti! Domenica si corre al Mugello il GP d'Italia, si attendono centomila spettatori e sarà una festa, la pista è bellissima e lo spettacolo che si gusta dalle colline che la circondano è grandioso. Non mancano i limiti, come i prezzi troppo cari dei biglietti e la viabilità che va in crisi a fine giornata, ma insomma ci si accontenta, e il bilancio resta super positivo. C'è una cosa che mi piace sottolineare del Mugello: dal '75 la pista non è cambiata per niente, stesse quindici curve e stesse altimetrie, caso unico nel panorama motoristico internazionale. Era una pista pericolosa ed è diventata un pista sicura lavorando soltanto sugli spazi esterni e non - come si è fatto dappertutto, a Misano come a Monza, a Le Mans come a Laguna Seca - sul layout del tracciato.


Quando nel 1976 il mondiale si presentò al Mugello per la prima volta, il GP delle Nazioni, come si chiamava allora, era la terza prova della stagione. Sheene aveva 30 punti con due vittorie, Lucchinelli 22 punti ma appiedato da due vertebre rotte nei test, Ago (titolato sulla Yamaha) aveva corso in Francia e in Austria con la MV e si era appena procurato due Suzuki RG come quasi tutti i privati della 500, e Paolo Beltramo assisteva alla sua prima gara mondiale portato da mia sorella. Walter Villa era il campione della 250, Paolo Pileri della 125 (Cecotto e Nieto per 350 e 50) e il Mugello ci faceva paura: esisteva da un anno, aveva già fatto delle vittime, non aveva spazi di fuga. All'esterno di quasi tutte le curve, all'Arrabbiata come alla Biondetti, due o tre metri fuori dall'asfalto erano stati piantati dei grossi pali di legno che reggevano le reti di contenimento. Due o tre file di reti e poi guardrail. Lo dissi, al magistrato che domenica sera interrogò molti piloti dopo la doppia tragedia: "Le faccio avere il giornale su cui scrivo, ho appena pubblicato quattro pagine sul pericolo di questi pali troppo grossi". Andai a Roma a testimoniare, ma l'inchiesta sulle morti di Otello Buscherini (Yamaha 250) e di Paolo Tordi (Yamaha 350), entrambi morti per lo sfondamento della gabbia toracica, si perse nel nulla. Eppure ci furono anche molte anomalie, troppe cadute e troppi grippaggi: io partivo dalla seconda fila in 500 e non conclusi il secondo giro, tre pistoni bloccati su quattro. Era il maggio 1976, il Mugello era proprietà dell'Aci di Firenze, la commissione tecnica della federazione motociclistica italiana faceva il bello e il cattivo tempo, la prima associazione dei piloti - APIM, con Ascari, Villa, Lusuardi e il sottoscritto a gridare più forte - chiedeva cambiamenti e veniva osteggiata in tutti i modi. Fummo definiti di volta in volta i nemici di Monza o i nemici di Imola o del Mugello, eravamo semplicemente i nemici della pericolosità dei circuiti e per questo molto scomodi. Potrei scriverci un libro, una volta in un sopralluogo ci mostrarono compiaciuti un nuovo grande spazio di fuga all'esterno di una curva pericolosa e per la gara ci misero una nuova tribuna. L'incompetenza e la superficialità erano perfette per far crescere il business dei gestori delle piste. Conobbi soltanto due persone molto valide, in quel periodo: l'ingegnere Giuseppe Bacciagaluppi, che dirigeva la pista di Monza, e il ticinese Luigi Brenni, che era in corsa per la Federazione internazionale e fu bloccato.


Vi racconto questa storia per tante ragioni. La prima per ricordare Otello e Paolo, due ragazzi veloci e pieni di passione; la seconda per compiacermi del fatto che quei tempi nerissimi sono per fortuna superati, e che oggi si corre con un elevato livello di sicurezza; la terza per ribadire quanto bello e amato è il Mugello, per molti piloti il miglior circuito del mondo. Dal 1988 è di proprietà Ferrari, e la svolta vincente per completare le strutture e gli spazi di sicurezza viene da lì, ma chi ha disegnato il tracciato nei primissimi anni Settanta va ricordato perché è stato un vero artista. Ingegnere Gianfranco Agnoletto, altro che Tilke.

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