Nico Cereghini: “Non sono moto telecomandate”

Nico Cereghini: “Non sono moto telecomandate”
I controlli elettronici non limitano lo spazio di intervento dei piloti in MotoGP, e la caduta di Márquez lo dimostra. Le doti personali di guida restano fondamentali, e in più occorre saper gestire una serie di elementi molto complessi
16 aprile 2019

Ciao a tutti, e che domenica bestiale quella appena passata! Dal mattino alla sera motori in tutte le salse e, almeno per le "due ruote", motori roventi con sfide super appassionanti. Vietato annoiarsi, e dopo aver fatto i miei più sentiti complimenti al Bautista di Assen SBK (ma anche a Van der Mark e Rea) e a tutti i piloti che hanno animato una bellissima MotoGP ad Austin, da Rins a Rossi e Miller eccetera, lasciate che mi dedichi a Márquez e alla sua inaspettata caduta: nono giro, curva dodici, quasi quattro secondi di vantaggio su tutti, la regia lo trascura per occuparsi della battaglia alle sue spalle. Quando lo ritroviamo è sorprendentemente a terra, impegnato a rialzare la moto per provare a ripartire. Momenti drammatici per il pilota e per il suo team, che sfiorano il ridicolo quando, dopo una serie di tentativi andati male, un nuovo marshall accorre a dare una spinta ma lo butta giù un’altra volta. E per qualche secondo Marc resta a terra sulla schiena, braccia spalancate come per dire “basta, mi arrendo, non è giornata!”


Il replay ci illumina: il pilota della Honda sembra arrivare un po’ lungo, la moto si scompone leggermente, poi nell’inserimento forzato su una linea leggermente più larga l’avantreno scappa di colpo e ciao. Curva da prima, la velocità è bassa, ma la fuga finisce lì. E certamente l’immagine è forte e colpisce, ma sono state le parole di Márquez nel dopogara a colpirmi di più. Esattamente ha detto: «Ho frenato tre metri più tardi in una staccata da 300 metri, ero due km/h più lento del mio giro più veloce, ero inclinato di due gradi in più, ho dato un po’ più di pressione sul freno». Tradotto: stavo facendo tutto bene e me lo conferma la telemetria, ero perfettamente dentro i limiti, può essere che abbia esagerato un po’ col freno davanti, ma poco. E con quelle parole, forse inconsapevolmente, Marc ha ribaltato l’opinione corrente, o meglio la "credenza popolare".


Non è vero che queste moto “elettroniche” siano facili da guidare, non è vero che il livello dei piloti venga quasi completamente appiattito. Persino un assoluto fuoriclasse come Marc Márquez, se vuole vincere le gare, deve fare tutto alla perfezione, perché tutto si paga, e la minima perdita di concentrazione, la minima sbavatura può essere fatale. La verità è che questi piloti della MotoGP sono diventati dei veri fenomeni: per la guida – che resta fatta di centimetri e di gradi, di traiettorie, di staccate, di pieghe, di rapidi spostamenti in sella - e poi per la straordinaria capacità di gestire una serie di elementi complessi e fino a pochi anni fa inimmaginabili; elementi tecnici, fisici e mentali: dalle gomme alle mappature, dalla forma fisica fino alla preparazione mentale, allo sviluppo della vista e dell’equilibrio.


Se in gara capita spesso che i migliori piloti, pur con moto differenti, tengano a lungo lo stesso passo, questo dipende soltanto dalle gomme, che hanno dei limiti di durata e pretendono una gestione molto accorta. Ma i piloti della MotoGP sono tutti uomini eccezionali, dal primo all’ultimo sulla griglia, come mai è successo – potete credermi - nella storia della moto. Ne volete una prova inconfutabile? Eccola qui, è Alvaro Bautista in SBK: ha due braccia e due gambe come Rea o Lowes, ma è più avanti di anni. E anche rispetto ai suoi compagni di marca fa una differenza clamorosa, attualmente incolmabile.

Nico Cereghini - Elettronica
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