Nico Cereghini: “Otto Ducati. Ed è la moto che fa il pilota”

Nico Cereghini: “Otto Ducati. Ed è la moto che fa il pilota”
E’ proprio grazie alle otto Ducati in pista che riescono ad emergere i talenti come Marco Bezzecchi, per dirne uno. Da sempre la buona moto fa il buon pilota, e quando mancavano le moto competitive abbiamo attraversato gli anni più bui
24 ottobre 2022

Ciao a tutti! Dopo l’impegnativa trasferta asiatica -la spettacolare Australia e la più tattica gara malese- Pecco Bagnaia ha messo in tasca 41 punti contro i 16 di Quartararo ed è (lo dico toccando tutto quello che è ferroso nei dintorni) vicino al titolo con la bellezza di sette vittorie. Un titolo che alla Ducati manca dal 2007 e all’Italia (moto e pilota nazionali nella top class) da mezzo secolo…

Ricordo en passant che l’anno scorso il campione del mondo Fabio Quartararo vinse cinque GP (Bagnaia quattro degli ultimi sei) e l’iridato 2020 Mir è salito sul gradino più alto del podio una volta soltanto. Tornando ancora più indietro, Marc Marquez ha conquistato tre titoli su sei con meno vittorie di Pecco; e Jorge Lorenzo ha una media di 7,33 GP vinti nei tre anni dei suoi titoli.  E c’è ancora gente che dubita della classe di Bagnaia…

Ma non è questo il punto che voglio sottolineare. Oggi voglio parlare anzi di Bezzecchi. Per dire semplicemente che, come sempre è accaduto, è la moto che fa il pilota. E se Marco Bezzecchi non fosse in sella a una delle otto Ducati probabilmente non sarebbe il pilota che è, lo avrebbero notato in pochi, magari sarebbe rimasto nella seconda parte della classifica per anni. E questo vale anche per Bastianini, per Martin, per Marini. E se Morbidelli fosse su una Ducati chissà.

Del resto, da dove sono usciti piloti come Lucchinelli, Uncini e Ferrari che per anni hanno rappresentato l’Italia nel mondiale? Dalla 500 Suzuki RG, la moto da corsa che dal ’76 fu a disposizione dei migliori privati e che trasformò una schiera di piloti doppiati, senza gloria e con poco futuro, in campioni. Da noi come in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, dappertutto.

Ci vuole la moto competitiva, la moto relativamente “facile” da approcciare e poi da portare al limite. Agostini sarebbe emerso comunque, ai tempi suoi, ma se non avesse trovato la Morini e poi la MV avrebbe come minimo perso degli anni prima di farsi notare; se Valentino non avesse trovato l’Aprilia 250 e poi la Honda 500, stessa cosa.

A chi si lamenta del fatto che ci sono ben otto Desmosedici sulla griglia, per prima cosa raccomando di ascoltare il live di Zam con Davide Tardozzi, che chiarisce come Ducati abbia risposto a una precisa esigenza, che le altre case hanno ignorato. E poi faccio notare che Ducati ha messo in pista otto supermoto, tutte capaci di vincere i GP; non otto “ciofeche” imbellettate alla meglio, tanto per riempire la griglia e fare il business. Qualcuno forse ricorda i tempi delle CRT, quando si dovette ricorrere ai motori derivati dalla serie per avere un numero dignitoso di partenti? Parliamo di dieci anni fa, non della preistoria.

Concludo dicendo: lecchiamoci i baffi invece di criticare, sempre, a prescindere. Criticare pare sia diventata una vera esigenza personale, quasi un costume nazionale. I tempi sono grami, è vero, ma non certo nella MotoGP italiana.

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