Nico Cereghini: "Pensa se i Marquez fossero tre"

Nico Cereghini: "Pensa se i Marquez fossero tre"
Dominerebbero probabilmente tutte le classi del mondiale. Perché qui è evidente che i geni di famiglia sono quelli giusti. E apprezzo anche il padre Julià, sempre presente, ansioso però mai invadente | N. Cereghini
8 luglio 2014

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Ciao a tutti! Meno male che i fratelli Marquez sono soltanto due. Uno in più, e anche la Moto2 diventerebbe un affare di famiglia. A metà giugno festeggiavamo la prima doppietta fraterna, in 65 anni di campionato mondiale velocità non era mai accaduto che due fratelli vincessero due gare nella stessa giornata, e tredici giorni dopo ecco arrivare il bis. Marc che domina la MotoGP, Alex che scala la Moto3 con sempre maggior sicurezza.

La cosa naturalmente mi ha colpito e ho cercato di studiare papà Julià e mamma Roser dentro il box. Non sembrano così diversi dagli altri genitori che ho conosciuto nelle corse, sembrano ansiosi come tutti, il padre ha confessato che il lunedì è uno straccio per la tensione accumulata, eppure hanno prodotto due superfiglioli. Non uno, due. E qui non si tratta di caricare di aspettative il più piccolo, che ha appena fatto i diciotto anni e in fondo non ha vinto ancora nulla. E’ il fratello maggiore che lo dice: «Alex è ancora più competitivo di me».

La mamma non segue le corse, il papà sì.
Sempre presente. La cosa non stupisce più: da quando esiste il fenomeno dei baby-piloti, e le giovani generazioni mettono il casco e appiccicano il numero di gara già a cinque o sei anni, è logico che non possano viaggiare da soli e che provveda papà. E’ lui che talvolta li spinge, oppure semplicemente si adegua perché gli piace. Passione, due soldi, un furgone e tutte le domeniche dedicate alle creature. Per uno che sfonda, o due come nel caso Marquez, ce ne sono centinaia che purtroppo si perdono e magari finiscono per odiare le moto, le corse, e pure papà.

Per uno che sfonda, o due come nel caso Marquez, ce ne sono centinaia che purtroppo si perdono e magari finiscono per odiare le moto, le corse, e pure papà

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Le riflessioni si accavallano. Sicuri che dietro il troppo precoce ritiro di Casey Stoner non ci fosse un padre fissato? Tutta la famiglia Stoner si era trasferita dall’Australia in Inghilterra, disposti a vivere in roulotte per mesi per far correre il ragazzo. Chissà che pressione. E Jorge Lorenzo? Non è stato lui stesso a raccontare che papà gli imponeva ore ed ore di pistina ed era durissimo se non migliorava? Li ho visti personalmente, i papà che tirano schiaffoni sui caschi dei bambini nel minicross quando sbagliano la gara o finiscono per terra.

Ma Julià pare aver fatto le cose per bene. Non so se aveva pianificato tutto, so che era un motociclista appassionato, che andava troppo forte su strada e si è fracassato un braccio, che ha fatto i salti mortali per aiutare i figlioli. E lui mi pare del tipo giusto. Quel tipo di padre che c’è ma sta da parte, che non invade gli spazi altrui, che rispetta i ruoli. Come Graziano Rossi, che non manca mai nelle gare europee (in aereo non va), e addirittura non mette piede nel box, come Giordano Capirossi che ancora incontro nel paddock anche se Loris ha smesso di correre da un po’. “Forza dell’abitudine”, mi ha detto.

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