Nico Cereghini: “Rossi, Salom, lottare ancora”

Nico Cereghini: “Rossi, Salom, lottare ancora”
Le esigenze di moto e F1 non coincidono, spesso contrastano. Come negli anni Settanta, per la sicurezza bisogna ancora lavorare e discutere. Dopo il venerdì nero, una domenica che autorizza la fiducia
7 giugno 2016

Punti chiave

Ciao a tutti! Louis Salom è stato molto sfortunato: correva nel campionato più avanzato del motociclismo, girava su una pista considerata sicura, era protetto al meglio dalla testa ai piedi. Eppure ha perso la vita. Un momento prima impostava un curvone come già aveva fatto centinaia di volte su tutte le piste del mondo, un momento dopo subiva delle lesioni irreparabili. Morire a ventiquattro anni è terribile e ingiusto. La verità è che, purtroppo, il nostro è uno sport molto pericoloso, e spesso facciamo di tutto per dimenticarcene.


Una dinamica strana, ma era strana anche quella del grande Marco Simoncelli a Sepang nel 2011. Si cade anche senza logiche. Noi ci aspettiamo che chi disegna le piste e gli spazi esterni preveda tutto, non sembrerebbe difficile farlo, e invece lo spazio lì al Montmelò manca. Non meravigliatevi se Valentino Rossi dice che almeno venti curve del mondiale sono altrettanto carenti: la sicurezza non è un valore fisso, non è un numero, è un obiettivo che si sposta continuamente più avanti. Con qualche ostacolo di troppo, come nella F1.


Negli anni Settanta – e ne sono stato testimone diretto - la Formula 1 voleva i guard-rail vicinissimi alla pista, per avere, in caso di uscita, l’angolo di incidenza più contenuto possibile. Meglio strisciare che impattare duro. Noi motociclisti facemmo una lunga battaglia, e gli spazi progressivamente e con fatica si trovarono, ma non sempre sufficienti. E’ lì che la F1 vuole l’asfalto all’esterno: dove la barriera resta vicina, per loro è vitale poter lavorare di sterzo e di freni per scongiurare l’impatto.


Senza quell’asfalto, il povero Louis Salom avrebbe avuto più chances di sopravvivere? Probabilmente sì, di solito moto e pilota prendono sulla ghiaia traiettorie diverse. E allora, anche se è difficile, bisogna riprendere quelle battaglie degli anni Settanta: non ci si può accontentare, dalle protezioni attive a quelle passive c’è sempre molto lavoro da fare. Dico la verità, qualche volta dubito del mio mondo. Mi aveva molto deluso sentire le lamentele di Lorenzo e Rossi sulle modifiche alla pista. Inaccettabile che a caldo, dopo aver disertato la convocazione della Safety Commission con una buona dose di superficialità, i due piloti Yamaha alzassero la voce per ragioni che apparivano utilitaristiche. Mi ha incoraggiato invece il bel riscatto della domenica: un confronto acceso ma corretto per la vittoria della MotoGP, un campione intramontabile che colleziona un altro capolavoro, la mano tesa con un sorriso al giovane rivale. Proprio colui che – nella convinzione di Rossi e di molti di noi - gli ha fatto perdere il titolo del 2015.


Bello che Valentino abbia usato quasi le stesse parole di sua madre Stefania nella nostra intervista di marzo: “La moto – hanno detto entrambi - non sempre è un’amica, e qualche volta purtroppo ti tradisce”. Vale ha aggiunto: “Ci ho pensato molto, stanotte: abbiamo bisogno di concentrazione e tranquillità. Era la cosa da fare”. Voglio immaginare che da qui si possa tutti ripartire: dall’equilibrio, dalla serenità, e dalle riunioni della Safety Commission.

Rossi, Salom, lottare ancora
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