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Ciao a tutti! Dei tre giorni di test a Losail una cosa in particolare mi colpisce: l’uscita di Franco Morbidelli sulla MotoGP. Franco, lo sapete, viene dal titolo mondiale 2017 in Moto2, è un gran bel pilota, apprezzato fin dal 2013 quando vinse l’europeo Superstock 600 e passò nel mondiale maggiore. “La MotoGP - ha detto il Morbido - è una moto completamente diversa da tutte le altre: l’inizio è stato scioccante, solo al terzo turno dei test ho cominciato a guidarla davvero”.
“Scioccante”. Detto da un campione del mondo. Un aggettivo che può rendere bene l’idea di cosa voglia dire guidare oggi una 1000 da 260-270 cavalli. E poi “completamente diversa da tutte le altre”. Evidentemente qui c’è il confine tra una moto da corsa convenzionale e un missile che vuole tutta un’altra tecnica di guida. E il discorso mi pare interessante da sviluppare, anche per cercare di capire come lavora e ragiona il pilota di oggi.
Lo sapete, la Moto2 non ha assistenze elettroniche mentre la MotoGP ne è piena. Tanto per cominciare, Franco era abituato a lavorare moltissimo sulla manopola del gas, aveva sviluppato negli anni una sua speciale sensibilità per connettere il cervello alle ruote attraverso il polso. E da un giorno all’altro ha dovuto resettare tutto se stesso e ricominciare da capo: con la MotoGP, gas chiuso o gas full open. Con 260 o 270 cavalli sotto il sedere. Ogni motociclista può immaginare quanto deve essere difficile. E questo è soltanto l’inizio, perché abbiamo ormai imparato che alla MotoGP, per funzionare, non basta la perfetta taratura dell’elettronica (che pure è molto impegnativa da trovare, attraverso tutti i turni di prova in pista e poi ancora dopo ore di lavoro dentro il box). Serve anche quel famoso bilanciamento della moto, carichi davanti e dietro, assetti sulle sospensioni. In modo che il pilota possa far scivolare la moto quel tanto che serve: per impostare la curva, per chiuderla il prima possibile, per uscire più forte. Noi possiamo soltanto intuire quanto sia complicato guidare e lavorare sulle moderne MotoGP, e vi basterebbe seguire un turno di prove ufficiali dentro il box per capirne un po’ di più. Davvero impressionante osservare il gruppo dei tecnici intorno al pilota e alla moto, il silenzio, la serietà, la tensione, l’assoluta concentrazione di tutti. Elettronica, sospensioni, gomme, la regolazione da fare, lo sterzo che chiude, il dettaglio da provare. Vi assicuro che non c’è spazio nemmeno per una battuta o per un mezzo sorriso.
E certamente, per chi come me ha vissuto anche epoche diverse, viene da dire che Ago e Lucchinelli, ma pure Cadalora e Biaggi, si divertivano di più. Questa è una lontana foto del ‘76. “Marco, quanti giri hai visto in sesta?” Chiede Roberto Gallina al suo pilota, solo per definire il rapporto finale della RG 500, uno dei pochi parametri sui quali allora si poteva intervenire. “Diecimila e cinque mi pare -risponde il pilota - o forse undicimila? Il prossimo turno ci guardo meglio”. Ma certo, sono passati quarant’anni e tutto il mondo è cambiato, Agostini e Lucky si sono divertiti da matti, ma hanno anche perso decine di colleghi sulle piste più assurde e nell’indifferenza generale. Personalmente - lo dico per inciso - non ho rimpianti: quell’atmosfera di grande passione è andata in parte perduta, ma abbiamo guadagnato gli standard di sicurezza dei circuiti e delle attrezzature, e insieme allo sviluppo tecnologico è cresciuta la grande professionalità dei piloti. Massima ammirazione per Franco Morbidelli e tutti gli altri.